L’Iran e le sue milizie proxy (vale a dire filo-Teheran) starebbero pianificando un attacco massiccio e coordinato su Israele. Una risposta, oltre dieci giorni dopo, all’attacco israeliano sul consolato iraniano a Damasco, in Siria. Stati Uniti e l’Occidente si preparano a una strategia comune per schermare l’alleato mediorientale.
Attacco al cuore di Tel Aviv
Missili ad alta precisione e droni. E il mirino puntato non su tutto lo Stato di Israele, bensì su edifici ben precisi: quelli del governo di Benjamin Netanyahu. L’indiscrezione arriva da Washington e da altre intelligence europee, che aggiungono anche un dettaglio riguardo alla tempistica. L’attacco è infatti definito imminente: «È una questione di quando, non di se».
L’escalation con Teheran sembra ormai cosa fatta e finita. Bisogna solo comprenderne a pieno le conseguenze e le ricadute pratiche, sul conflitto israelo-palestinese e sui civili da ambo le parti. Il leader supremo iraniano, l’Ayatollah Ali Khamenei, non lascia molto spazio a interpretazioni. «Israele deve essere punito e lo sarà», ovviamente in riferimento al raid del 1° di aprile in Siria, che ha ucciso 7 pasdaran, i membri delle guardie rivoluzionarie islamiche iraniane (IRCG). «Quando hanno attaccato il consolato, è come se avessero attaccato il nostro suolo. Il regime malvagio (il governo israeliano, ndr) ha commesso un errore e deve essere punito».
Israele al contrattacco (verbale)
La risposta alle minacce iraniane non si è fatta attendere. Israel Katz, il ministro degli Esteri di Tel Aviv, ha ribattuto a Khamenei aprendo a una controffensiva militare sul suolo nemico. «Israele risponderà se l’Iran attacca dal suo territorio», ha affermato mercoledì 10 aprile. A fargli da eco anche il ministro della Difesa Yoav Gallant: «Sappiamo come rispondere a un’offensiva decisa».
Molti media persiani, in particolare quelli più vicini alle IRCG, hanno archiviato gli avvertimenti dei ministri di Netanyahu come semplice propaganda. Insomma, un tentativo – a loro parere disperato – di dissuadere Teheran dal rispondere militarmente. Contando che, secondo il Washington Post, l’Ayatollah vuole colpire in territorio israeliano in maniera calibrata, «per evitare una rappresaglia ancora più grande».
La mediazione non-mediazione americana
Washington sta guardando da vicinissimo una situazione che sembra poter esplodere da un momento all’altro. L’inviato statunitense in Medio Oriente Brett McGurk ha chiamato i ministri degli Esteri di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Iraq. La richiesta è semplice: trasmettere un messaggio a Teheran chiedendo di allentare la tensione.
Intanto, come ha rivelato Axios, Stati Uniti e Israele starebbero organizzando a quattro mani una difesa aerea e missilistica nella regione contro possibili colpi di testa iraniani. E tutte le missioni diplomatiche straniere a Tel Aviv stanno elaborando – o lo hanno già fatto – piani di evacuazione d’emergenza. Il sostegno degli alleati non viene meno. «Come ho detto a Netanyahu, il nostro impegno nei confronti di Israele contro queste minacce è ferreo – lasciatemelo dire ancora – ferreo. Faremo tutto il possibile per proteggere Israele». Il presidente americano Joe Biden continua la sua strategia della carota e del bastone. Ma fino a quando reggerà?
Le vie di Teheran sono infinite
Altro motivo di apprensione per Washington è l’Iraq. Il prossimo 15 aprile Mohammad Shia al Sudani, primo ministro iracheno, visiterà la Casa Bianca. E il risultato dell’incontro sarà decisivo. Le forze paramilitari filo-iraniane Asa’ib Ahl al-Haq considereranno la visita di Sudani un successo solo se otterrà il ritiro di tutte le forze straniere dal territorio del Paese. Altrimenti, «se gli sforzi diplomatici dovessero fallire», potrebbero passare a mezzi più pratici e violenti per costringere i militari americani a ritirarsi dall’Iraq.
L’Iran però non si limita a sfruttare la pressione dei suoi proxy. Nella serata italiana di mercoledì 10 aprile, l’agenzia di stampa Mehr News lancia una notizia: il ministro della Difesa persiano avrebbe sospeso il traffico aereo sulla capitale a causa di «esercitazioni militari». Un flash poi subito smentito dalla stessa agenzia. Ma ci sono in ogni caso conseguenze. La compagnia aerea Lufthansa ha annunciato di aver interrotto tutti i voli per Teheran a causa della situazione mediorientale.
Non solo. Le minacce sono anche economiche. L’Iran ha pieno controllo dello Stretto di Hormuz, uno dei colli di bottiglia più importanti per il commercio globale. E il comandante in capo delle guardie rivoluzionarie ha minacciato la chiusura del chokepoint in caso di continui dialoghi tra gli Emirati Arabi Uniti e Israele. «Potremmo chiudere Hormuz, ma non lo stiamo facendo. Tuttavia, se il nemico verrà a disturbarci, rivedremo la nostra politica». E le richieste agli alleati di interrompere gli accordi economici con Tel Aviv vanno proprio in questa direzione.