Elezioni in India: Modi vince, ma non potrà governare da solo

La chiamata alle urne più vasta della storia ha il suo vincitore: Narendra Modi sarà primo ministro dell’India per un terzo mandato. La sua, però, sta venendo dipinta da molti come una vittoria “dimezzata”, perché non ottenuta con la larga maggioranza attesa. Di fronte alla crescita dell’opposizione ci si domanda allora come avverrà la composizione del governo indiano per la prossima legislatura.

Vittoria di misura
Modi è primo ministro dell’India dal 2014.

Una maratona elettorale da capogiro: sei settimane che hanno visto 642 milioni di indiani (il 66,3% degli aventi diritto e di cui quasi la metà donne) recarsi alle urne per esprimere il proprio voto nel Paese che ospita la democrazia più grande del mondo. A vincere è stato ancora Narendra Modi, 73 anni, capo del governo dal 2014, che si avvia così a iniziare il suo terzo mandato. Un risultato senz’altro atteso, ma non privo di sorprese, perché Modi ha ottenuto la riconferma con numeri molto inferiori alle aspettative.

Nel dettaglio, il Partito del Popolo Indiano (Bjp), di cui Modi è il leader, ha conquistato 240 seggi all’interno della Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento indiano. Per governare in solitaria, un partito indiano dovrebbe ottenere la maggioranza assoluta dei seggi, vale a dire 272 su 543. È la prima volta che il Bjp non ci riesce: nella tornata elettorale del 2019 aveva guadagnato ben 62 seggi in più e anche alla sua prima elezione, nel 2014, Modi aveva ampiamento trionfato sugli avversari.

Rahul Gandhi, leader dell’opposizione.

Escluso un governo di maggioranza assoluta per il Bjp, va detto che anche alla coalizione non va  molto meglio: l’Alleanza Nazionale Democratica, composta da Modi e partiti affiliati, arriverà infatti a contare 292 seggi. Sufficienti per formare un governo, ma forse non abbastanza per fronteggiare un’opposizione in enorme crescita. Sull’altro versante, infatti, la coalizione INDIA, che unisce 25 partiti di centro sinistra, si è guadagnata 234 seggi. L’alleanza fa capo al Congresso Nazionale Indiano, il partito secolarista guidato da Rahul Gandhi che ha quasi raddoppiato i suoi seggi in parlamento. Il leader dell’opposizione ha festeggiato così i risultati dello scrutinio: «Sono orgoglioso del popolo e lo ringrazio per aver difeso la Costituzione». Per poi attaccare: «Gli elettori hanno punito il Bjp».

Dove ha perso Modi

Le ragioni dell’insuccesso di Modi sono da ricercarsi nel calo di voti in quell’area che negli anni scorsi era stata la roccaforte del suo partito, la cosiddetta “cintura Hindi”, la fascia centrale del Paese. Al di là della provenienza geografica dei voti, però, a essere messa in discussione è tutta la politica del primo ministro. Da sempre Modi punta su un nazionalismo dalla forte matrice induista, in perenne conflitto con le minoranze religiose, specialmente quella musulmana, all’interno del Paese. Per mantenere il controllo sulla nazione, poi, negli anni Modi ha limitato la libertà di stampa e ha perseguito una politica di stampo conservatore, insistendo sulla centralizzazione del potere a discapito dei leader locali.

Nell’ottica di Modi, il rafforzamento dell’India era funzionale a portare il Paese più popoloso del mondo al tavolo delle grandi potenze mondiali, ma questa linea politica così aggressiva ha probabilmente dimenticato i grandi problemi di inflazione e disoccupazione che tormentano gli indiani. E fra questi sono da ricercarsi i voti di chi questa volta ha accettato di credere alle parole di Rahul Gandhi, che ha promesso sussidi, attaccato gli imprenditori e suggerito una riforma nella pubblica amministrazione.

I prossimi alleati per la formazione del governo
Il fiore di loto stilizzato è il simbolo del Bjp (Bharatiya Janata Party, “Partito del Popolo Indiano”).

Incapace, come detto, di andare al governo senza fare compromessi, il Bjp deve guardarsi intorno alla ricerca di alleati affidabili. All’interno della coalizione, i partiti più votati dopo quello di Modi sono stati due, il Telegu Desam e il Janata Dal. Si tratta di due partiti “regionali”, cioè non presenti su tutto il territorio, ma con un grande radicamento in alcune regioni. Partiti come questi hanno segnalato una grande crescita, rosicchiando voti agli schieramenti più tradizionali, tanto del governo quanto delle opposizioni. Per Modi sarà importante allora scendere a patti con essi, rinunciando alle sua ambizioni sempre orientate alla centralizzazione del potere pur di mantenere il controllo su aree del Paese altrimenti irraggiungibili.

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