Elezioni in India, un miliardo di votanti per la riconferma di Modi

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Quasi un miliardo e mezzo di persone. Anzi, per essere precisi gli aventi diritto di voto sono 969 milioni, di cui 18 hanno ricevuto quest’anno per la prima volta la tessera elettorale. Le elezioni in India non sono un semplice appuntamento politico. Soprattutto quando a esprimere la preferenza è il 10% dell’intera popolazione mondiale.

Come funzionano le elezioni?

I seggi apriranno venerdì 19 aprile. Da quelli trasportati sul dorso di elefanti, quelli a quasi 5mila metri di altezza sull’Himalaya e quelli raggiungibili solo in barca. Un esercizio democratico – orgoglio della nazione asiatica – che si vanta di dare importanza anche all’ultimo degli ultimi. Certo, per far votare anche l’ultimo degli ultimi (e nel 2019 l’affluenza è stata il 67%) è improbabile che l’elezione si possa esaurire nell’arco di 24 ore.

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Aprile 2014, il personale elettorale trasporta macchine per il voto elettronico in un centro elettorale nello stato indiano nord-orientale dell’Arunachal Pradesh

Ed effettivamente il processo è diviso in ben sette fasi differenti nei 28 Stati da cui è composta l’India. Per un totale di 6 settimane, fino al 1° giugno. I numeri giganteschi non sono certo terminati qui. Serviranno oltre 15 milioni di scrutinatori per sorvegliare sul milione o poco più di cabine elettorali elettroniche. Il costo? 1.200 miliardi di rupie, pari a 13 miliardi e mezzo di euro. In Italia sono stati spesi intorno a 400 milioni di euro per l’ultima tornata.

Modi III?

Che le elezioni indiane siano sui generis lo conferma anche il numero di partiti ufficialmente registrati: si parla di 2600. Un vespaio di possibilità che però alla fine si riduce a un solo nome, quello del favorito. Si tratta di Narendra Modi, primo ministro dal 2014 e a capo del primo schieramento politico del Paese Bharatiya Janata (BJP, traducibile con Partito del Popolo Indiano).

Narendra Modi India
Il primo ministro indiano Narendra Modi è il favorito per le elezioni che inizieranno venerdì 19 aprile

L’economia, una delle punte di diamante del raggruppamento BRICS. Il conservatorismo religioso, con cui l’India si è allontanata dall’idea di Stato laico e secolarizzato e si è diretta con decisione verso un governo induista. Questi alcuni dei risultati della decennale reggenza Modi, che ne hanno garantito un successo schiacciante alle ultime elezioni del 2019. In quell’occasione il BJP vinse 303 seggi sui 543 presenti in Parlamento. Insomma, senza contare le alleanze e la coalizione, aveva già raggiunto la maggioranza.

E quest’anno? Tutti gli elementi portano a un Modi III. Anzi, il Bharatiya Janata sembrerebbe puntare ai 400 seggi. Grazie a un vero e proprio culto della persona che si è sviluppato intorno al capo del governo. Ma anche grazie a un sistematico indebolimento dell’opposizione tramite indagini o arresti dubbi per corruzione. È il caso del primo ministro di Dehli e critico del governo Arvind Kejriwal, fermato dalla polizia statale lo scorso maggio e tutt’ora in prigione.

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Cresciuto in una famiglia povera e di bassa casta del Gujarat, dove aiutava il padre nel suo commercio di foglie di tè, Narendra Modi ha fatto delle sue umili origini uno dei suoi elementi di forza. È molto più facile, in questo modo, dipingersi come l’esatto opposto dell’élite politica corrotta. Altro suo cavallo di battaglia è la retorica del Modi ka Parivar: è il popolo indiano il suo figlio, non avendone lui di naturali.

Una forza che nasce però da un impegno al contatto diretto con la popolazione. Dall’attività sui social media (incluso WhatsApp), al suo programma radiofonico in cui permette alle persone di interagire direttamente con lui. Ma l’arma vincente è quella religiosa. Essendo assurto come grande rappresentante della agenda nazionalista induista, nel 2019 Modi ha guadagnato oltre l’80% delle preferenze dei fedeli.

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