Il presidente del governo iraniano, Ebrahim Raisi, è morto in un incidente aereo. Era il papabile successore della guida spirituale del paese, l’ayatollah Khamenei. Negli ultimi mesi il nome di Raisi ha occupato diversi titoli di giornali internazionali, è stato pronunciato numerose volte nelle linee televisive occidentali, era difficile non sapere chi fosse. Eppure il passato del falco – appellativo che si era fiduciosamente guadagnato per la sua lealtà allo Stato Islamico iraniano – si è costruito tra luci e ombre. È una tela intricata quella che caratterizza l’ascesa della carriera politica di una delle figure più famose del ventunesimo secolo. Ma chi è stato Raisi prima di essere presidente?
Le origini
Classe 1960, Raisi nasce a Mashhad. Rimane orfano all’età di cinque anni e viene cresciuto in una famiglia clericale sciita – ramo minoritario dell’Islam che crede nella discendenza di Ali. L’insegnamento religioso è il fulcro di tutta la sua esistenza, compresa la sua carriera. Inizia come procuratore a Teheran nel 1985, sono anni simbolici per il Medioriente. Ma la vera svolta arriva tre anni dopo, nel 1988, quando appena ventottenne assume un ruolo di rilevanza nel Comitato della Morte di Teheran. Si tratta di una cerchia ristretta di magistrati incaricati di giustiziare i dissidenti politici o gli eventuali collaboratori del governo iracheno.
Storicamente sono i colpi finali della guerra tra Iraq e Iran, iniziata nel 1980. Una lotta sanguinosa esplosa a causa dell’invasione irachena di una regione meridionale dell’Iran. Raisi, sguardo fermo e sangue freddo, i numeri dei suoi giustiziati non sono certi anche se si crede superino i mille. Ciò che è certo, però, è che i processi dei dissidenti con lui durano meno di dieci minuti poi, inevitabilmente, c’è l’impiccagione. Ma la grande fedeltà dimostrata al governo in quegli anni difficili gli assicurano una lunga scalata.
Il rapporto tra gerarchia laica e religiosa
Perché da magistrato Raisi è diventato presidente? Come funziona la Repubblica Islamica iraniana? il 1979 è la data di inizio del sistema che oggi vige in Iran, la Repubblica Islamica. Da questo momento si pone fine all’impero persiano e inizia il periodo degli Ayatollah – le guide spirituali, con l’ayatollah Khomeyni. Si tratta di una realtà che si fonda sul concetto islamico di Velayat-e Faqih. Significa che la gerarchia religiosa, o clericale, dall’alto del proprio sapere interpretativo può esercitare il potere politico.
La figura di Raisi si inserisce perfettamente in questo contesto. La Repubblica iraniana si basa su una concezione giuridica che pone le sue radici su un’interpretazione religiosa dei testi della giurisprudenza. Ecco perché il giovane magistrato Ebrahim Raisi è riuscito a raggiungere l’apice politico di presidente.
La carriera politica
Quella stessa fedeltà gli ha intaccato il percorso politico per un breve periodo. Si candida alle elezioni del 2017, contro Hassan Rouhani. Perde perché escono delle registrazioni del 1988 dove la sua voce scandisce il numero delle persone mandate a morte, indipendentemente dall’età o dal sesso. Ma la memoria è breve e Raisi vince le elezioni del 2021. La parte della popolazione consapevole dei crimini non ha votato, quell’anno è indicato come il momento di minore affluenza alle urne iraniane – e gli permette di guadagnare il 62% dei voti.
Dal 2021 Ebrahim Raisi governa la Repubblica islamica di Iran, fino al 19 maggio 2024 quando l’elicottero che lo trasporta cade nella regione di Tabriz. L’ayatollah Khamenei lancia un messaggio televisivo per pregare per il suo fedele falco. Colui che ha appoggiato il regime repressivo, culminato nel sostegno ai servizi di sicurezza durante le manifestazione che dal 2022 incendiano le piazze delle maggiori città iraniane. Occhiali da vista e copricapo dei discendenti del profeta non si vedranno più sul volto di chi era il papabile successore dell’Ayatollah.