Gli influencer sono sempre più presenti nella vita (e negli smartphone) degli italiani. «Il loro feed – sottolinea Ciro Pellegrino, capo cronaca della redazione napoletana di Fanpage.it – è una sorta di palinsesto generalista: non può trasmettere solo messaggi commerciali. Ma anche sociali, politici e culturali». A testimoniarlo sono i numeri. Secondo una survey condotta dalla società di ricerche Eumetra e dal Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Pavia, sono 28 milioni gli italiani che seguono almeno un influencer sui social network. Una cifra pari al 76% della popolazione tra i 16 e i 65 anni.
Le star dei social
Prima, però, facciamo un po’ d’ordine. È necessario distinguere l’influencer dal content creator. Il primo, spiega Pellegrino, «sfrutta la grande notorietà raggiunta da solo sui social per lanciare un messaggio potente». E, in tal senso, Chiara Ferragni è l’esempio perfetto. Il «genio dell’imprenditoria», come la definisce Alberto Mingardi, docente di Comunicazione pubblica e politica dell’Università IULM di Milano, è diventata la regina incontrastata della categoria.
Il content creator, invece, si occupa di «disintermediazione, pone dei temi di vario tipo attraverso i social. E lo fa – prosegue Pellegrino – grazie alla sua user base, non necessariamente ampia. Una dinamica che deve essere comunicata, anche all’interno di un giornale». Il veicolo del creator non è la sua immagine, ma il brand per il quale realizza un contenuto.
Il timore degli influencer
Il fenomeno influencer e content creator ha raggiunto una dimensione tale da portare alla nascita di un soggetto giuridico che tuteli il loro lavoro. Primo sindacato nel nostro Paese a rappresentare la categoria, Assoinfluencer – Associazione Italiana Influencer offre servizi e corsi di formazione, occupandosi anche della difesa dei compensi dei loro iscritti.
Una delle principali preoccupazioni delle star dei social network è subire un danno d’immagine. E, di conseguenza, perdere visibilità, followers e contratti pubblicitari. Un esempio è il caso che ha coinvolto Ferragni e il marito Fedez. Dopo il pandoro-gate, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sfruttato il palco di Atreju per mettere in guardia gli italiani sul ruolo degli influencer. Persone che, secondo la premier, «non devono essere prese come modello». Nel suo intervento, sostiene Mingardi, la leader di Fratelli d’Italia «aveva in mente alcuni personaggi che, negli anni scorsi, avevano provato a utilizzare la propria popolarità per scopi non politici in senso stretto, ma comunque di orientamento dell’opinione pubblica anche su questioni politiche».
La guerra nelle redazioni
La risposta del rapper non si è fatta attendere. In una delle sue Instagram stories ha attaccato il governo e il suo operato durante la pandemia citando numeri e fatti. Proprio come farebbe un giornalista. Ma, a questo punto, la domanda sorge spontanea: giornalisti e influencer saranno in futuro due figure sovrapponibili?
Secondo Pellegrino, «nelle redazioni lo sono già». Il solo strumento in mano ai primi è la capacità di trovare notizie: «L’unico vantaggio che abbiamo noi giornalisti è che rispondiamo a una domanda che le persone si fanno dalla notte dei tempi quando si svegliano la mattina, ‘cos’è successo oggi?’. E lo facciamo con metodo, fonti e verifiche». Quella tra giornalisti e influencer «è una guerra già iniziata. E per certi versi – confessa Pellegrino – la stiamo pure perdendo».
Opinion leader
Il caso più emblematico di questa sovrapposizione riguarda gli Europei di calcio 2024, dove tiktoker e influencer avranno un accredito stampa. Ma, come ricorda il giornalista di Fanpage.it, non è una novità: «li invitano già a Sanremo o alla Fashion Week, perché muovono soldi e interessi. Alcuni sono competenti sui temi di cui parlano». La differenza sta nel ruolo. «Il problema – aggiunge – è capire per chi lavorano i tiktoker. Dobbiamo chiederci se dietro di loro ci sia un brand e da chi sono pagati». Al contrario, un professionista dell’informazione «dovrebbe garantire regole etiche e deontologiche. Il suo padrone dovrebbe essere solo l’editore». In questo senso, a differenza dell’influencer, deve raccontare i fatti nel modo più oggettivo possibile, con la libertà di parlarne bene e male.
Abbiamo dato vita ad una petizione in cui chiediamo al Governo che vengano varati i decreti attuativi rispetto al bonus psicologo e che, in generale, ci sia un impegno a stanziare maggiori fondi per la salute mentale. È ora che il benessere psicologico di tutti, e dei nostri…
— Fedez (@Fedez) November 3, 2023
Molti influencer, però, tendono a dire la propria su questioni di interesse pubblico. «È loro diritto – spiega Mingardi – esprimere la loro opinione, come di tutti. In altri tempi, la stampa selezionava gli opinion maker in parte perché visibili, in parte perché avevano qualcosa da dire. Per commentare i guai in Medio Oriente si doveva aver studiato la questione». Un meccanismo che oggi «è totalmente saltato. Commenti su tematiche importanti sono affidati a dei narratori che non offrono più solo un punto di vista eccentrico, ma che presentano le loro ‘ricette’, non si capisce bene a che titolo». Come sottolinea il docente, questo problema affonda le radici proprio nella stampa, che «purtroppo sembra disinteressarsene cavalcando lei per prima quanto emerge dai
social».