
La sentenza della Corte d’appello di Milano ha confermato la condanna all’ergastolo per Alessandro Impagnatiello, responsabile dell’omicidio della compagna Giulia Tramontano. Dal dispositivo finale, però, è stata esclusa l’aggravante della premeditazione. Una decisione, quella della corte, che ha suscitato molta indignazione.
Sì all’ergastolo, no alla premeditazione
Mezza giornata di udienza, due ore di camera di consiglio. Alla fine la sentenza della Corte d’assise d’appello contiene una conferma e una smentita. La conferma è l’ergastolo con tre mesi di isolamento diurno a carico di Alessandro Impagnatiello, che il 27 maggio 2023 ha ucciso la compagna Giulia Tramontano, incinta, con 37 coltellate.
La smentita è invece su un punto cardine del processo, che sin dall’inizio ha sollevato opinioni contrastanti. La premeditazione era stata rigettata dalla gip Angela Minerva ai tempi della convalida del fermo e riconosciuta poi dai giudici del primo grado. La lettura del dispositivo finale, invece, ne ha, un po’ a sorpresa, comunicato l’esclusione.
Le ragioni dell’esclusione
È noto che Alessandro Impagnatiello abbia somministrato, circa sei mesi prima dell’omicidio, del veleno per topi alla compagna già incinta. Secondo l’accusa, questo dimostrerebbe mesi di pianificazione da parte dell’ex barman e toglierebbe ogni dubbio circa la premeditazione. Questa non è stata però la valutazione della Corte, che ha scelto di procedere diversamente.
Per conoscere le ragioni della decisione occorrerà aspettare la pubblicazione delle motivazioni complete, ma è probabile che la Corte sia stata più incline ad accogliere l’interpretazione della difesa. Secondo i legali di Impagnatiello, l’omicida avrebbe adoperato il veleno non per uccidere la compagna, ma solo per provocarle un aborto.
Le reazioni alla sentenza
Alessandro Impagnatiello è rimasto impassibile alla lettura della sentenza. La sua legale Giulia Geraldini, invece, ha voluto commentare: «Non si tratta di vittoria o sconfitta, perché penso che questo processo sia una sconfitta generale. Ma il fatto che la Corte abbia ascoltato in parte le mie ragioni mi rende soddisfatta. Sono curiosa di leggere le motivazioni».
Dall’altra parte, la famiglia di Giulia, ancora molto provata, non ha voluto lasciare dichiarazioni in aula. Più tardi, la sorella Chiara ha sfogato la propria rabbia sui social, dove ha scritto un messaggio inequivocabile: «Vergogna, vergogna. La chiamano legge ma si legge disgusto».