Sale a 67 il numero delle vittime del naufragio di migranti nelle acque di Cutro avvenuto domenica 26 febbraio. Continuano incessanti le ricerche in mare.
Gli ultimi ritrovamenti
L’ultimo corpo in ordine di tempo recuperato dai soccorritori è quello di una bambina, che si aggiunge agli altri 14 minori deceduti. Alcuni di loro sono ancora ricoverati all’ospedale di Crotone, altri sono stati accolti al Cara di Isola di Capo Rizzuto. Ieri il mare aveva restituito altri due corpi senza vita: tra cui un cadavere di un bambino di pochi anni.
Proseguono intanto senza sosta le attività di perlustrazione via mare, via aria e via terra alla ricerca dei corpi che mancano all’appello. Il numero complessivo rimane ancora imprecisato.
La Procura cittadina sta coordinando una task force composta da Polizia di Stato, Carabinieri e sezione operativa navale della Guardia di finanza. La squadra ha confermato la notizia dell’individuazione dei tre presunti trafficanti di uomini che avrebbero condotto il barcone dalla Turchia in Italia in condizioni meteo-marine di pericolo: sarebbero partiti il 22 febbraio da Smirne. Si tratterebbe di un cittadino turco e due pakistani che avrebbero chiesto 8mila euro a testa per il viaggio. Il riconoscimento dei sospetti scafisti sarebbe avvenuto grazie alla visione di foto da parte dei sopravvissuti.
L’apertura della camera ardente al Palamilone
Al PalaMilone, il palazzetto dello sport di Crotone, è stata aperta oggi la camera ardente che accoglie le bare delle vittime del naufragio di Cutro. È stata aperta in un’atmosfera di grande commozione e cordoglio dalla preghiera interreligiosa guidata dall’imam della moschea di Cutro, Mustafa Achik, e del vescovo di Crotone, Angelo Raffaele Panzetta. Presenti tutti i 27 sindaci del crotonese e gli amministratori locali. Tanta è la commozione per le bare. Soprattutto per quelle bianche contenenti le salme dei bambini.
Tanta gente è arrivata da tutta la Calabria per rendere omaggio. Due donne crotonesi sono state le prime ad entrare: «Speriamo sia l’ultima – ha detto una di loro tra le lacrime – dal governo devono vedere cosa fare». «Siamo qui – ha aggiunto l’altra – perché è una tragedia immane che non può non colpirci. Siamo stati fortunati a nascere qui».
Le testimonianze dei sopravvissuti
Numerosi sono stati i racconti appresi soprattutto in ospedale, tradotti dai mediatori culturali della Questura e delle associazioni di volontariato.
«Circa quattro ore prima dell’urto della barca, è sceso nella stiva uno dei due pakistani e ci ha detto che dopo tre ore saremmo arrivati a destinazione. Si è ripresentato un’ora prima dello schianto dicendoci di prendere i bagagli a prepararci a scendere, visto che eravamo quasi arrivati. Poi, all’improvviso il motore ha iniziato a fare fumo, c’era tanto fumo e puzza di olio bruciato». Inizia così il drammatico racconto di uno dei superstiti del naufragio. «La gente nella stiva iniziava a soffocare e a salire su – racconta ancora – Ho fatto in tempo ad afferrare mio nipote e a salire in coperta, dopo di che la barca si è spezzata e l’acqua ha iniziato a entrare. Quando sono salito senza più riscendere, sotto c’erano circa 120 persone, tra donne e bambini. Ho visto che il siriano e due turchi hanno gonfiato un gommone e sono scappati».