CHI SONO I RISERVISTI ITALIANI CHE LA LEGA VUOLE ARRUOLARE

Al via il prossimo 8 luglio l’esame del progetto di legge per l’istituzione della riserva ausiliaria dell’esercito

Al via il prossimo 8 luglio l’esame del progetto di legge per l’istituzione della riserva ausiliaria dell’esercito. Un progetto che è tornato d’attualità con lo scoppio della guerra in Ucraina e con l’escalation bellica in Medio Oriente. Ad annunciarlo ieri, 18 giugno, il Presidente della quarta Commissione, Nino Minardo, in quota Lega, nel corso dell’Ufficio di Presidenza della stessa Commissione. Il testo della proposta cita a esempio altri Paesi europei, come la Spagna, la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, la Svizzera, che si sono dotati di uno strumento simile.

Chi riguarda la proposta

Secondo la proposta di Minardo potrebbero entrare a far parte della riserva solo coloro che «abbiano già prestato servizio quali volontari in ferma triennale o volontari in ferma iniziale, dopo che siano stati collocati in congedo». La ferma iniziale è il periodo di servizio militare iniziale per i volontari nelle Forze Armate italiane rivolto ai giovani tra i 18 e i 24 anni di intraprendere una carriera militare con un impegno iniziale di tre anni, rinnovabile. La ferma triennale (anch’essa di tre anni) rappresenta il livello successivo e più avanzato rispetto alla ferma iniziale. La differenza sostanziale è che al termine del servizio, c’è la possibilità di essere immessi nei ruoli del servizio permanente delle Forze Armate.

Chi soddisfa questi requisiti potrebbe, su base volontaria, candidarsi per la riserva per cinque anni prolungabili con ulteriori rinnovi. La riserva potrebbe essere mobilitata dal Governo in tempo di conflitto o in situazioni di grave crisi che potrebbero ripercuotersi sulla sicurezza dello Stato, per la difesa dei confini nazionali, oppure in caso di dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri.

Doveri e stipendi

Chi sceglie di entrare nella riserva ha il dovere di «garantire la propria reperibilità, deve sottoporsi annualmente all’accertamento del possesso dei requisiti psico-fisici necessari per il richiamo in servizio e frequentare corsi, per l’addestramento, l’aggiornamento e il mantenimento delle qualifiche acquisite nel corso del servizio».

Peraltro, se richiamato il riservista ha il «diritto alla conservazione del posto di lavoro» ed è assegnato «all’arma e alla specialità di appartenenza, in quanto possibile, conservando il ruolo e il grado rivestiti». Il modello proposto si ispirerebbe a quello austriaco dove i riservisti sono obbligati a fare trenta giorni di addestramento all’anno per almeno cinque anni.

Lo stipendio annuo per riservista si aggirerebbe intorno ai seimila euro. Un assegno che incentiverebbe così la candidatura dei cittadini italiani in congedo che abbiano prestato servizio come volontari in ferma triennale o in ferma iniziale.

La critica delle opposizioni

Il deputato del PD Stefano Graziano – che nella precedente legislatura aveva proposto una legge delega, poi approvata, sul tema dei riservista – ha preso le distanze da questa iniziativa della Lega. «La proposta di legge che ho presentato un anno e mezzo fa non ha alcun assetto militare, né prevede funzioni operative in ambito bellico. Al contrario, si tratta di un progetto pensato per valorizzare, in chiave civile e sociosanitaria, e supportare le attività logistiche e assistenziali della Croce Rossa».

Ancora più duro Angelo Bonelli, deputato e co-portavoce di Avs: «Il disegno di legge per istituire una riserva militare da diecimila riservisti è l’ennesima conferma della volontà della destra meloniana di trasformare l’Italia in un Paese militarizzato, che estende la cultura militare anche alla società civile. Quello del Presidente della Commissione difesa Minardo è un progetto ideologico, che guarda all’Austria come modello, ma ignora completamente le emergenze vere del nostro Paese: il crollo del welfare, l’abbandono delle persone con disabilità, la solitudine degli anziani, la mancanza di risorse per chi fa volontariato nei territori».

E aggiunge: «Invece di investire nelle reti di assistenza civile, nel rafforzamento della protezione civile, nei giovani che ogni giorno si impegnano per l’ambiente e nella prevenzione delle calamità naturali, il governo pensa a corsi di addestramento, vincoli di reperibilità e mobilitazioni armate. È l’idea di una nazione in cui si preferisce la disciplina militare alla solidarietà sociale, la gerarchia all’assistenza. L’Italia ha bisogno di un investimento serio nel volontariato e nei servizi pubblici, non di riservisti da attivare in caso di crisi».

 

Alessandro Dowlatshahi

Classe 1998, ho conseguito la Laurea Magistrale in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Milano, chiudendo il mio percorso accademico con un lavoro di ricerca tesi a Santiago del Cile. Le mie radici si dividono tra l’Iran e l’Italia; il tronco si sta elevando nella periferia meneghina; seguo con una penna in mano il diramarsi delle fronde, alla ricerca di tracce umane in giro per il mondo.

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