Morire per freddo nel cuore di Milano. Andarsene senza fare troppo rumore, invisibile nella morte come nella vita. Questa è la storia di molti clochard. Questa è la storia di Issaka Coulibay, 27enne originario del Togo fuggito in Italia in cerca di una vita migliore. Viveva da anni a Milano, quasi come un fantasma, senza un lavoro, una casa, un letto sul quale dormire. Fino al giorno della sua scomparsa, avvenuta a fine novembre e rimasta ignota per quasi due mesi. Una morte silenziosa, come era stata la sua vita.
Il decesso di Issaka
Il corpo di Issaka è stato ritrovato in strada il 25 novembre scorso, davanti all’ex caserma Mancini di via Corelli, a Milano. L’edificio, abbandonato e fatiscente, diventa di notte una sorta di rifugio abusivo per chi non ha una casa. Gli agenti e i soccorritori che hanno trovato il suo corpo lo hanno dichiarato “morto per cause naturali”. Presumibilmente per il troppo freddo, come accade a molti migranti irregolari. Nella sua tasca è stato ritrovato un documento, che ha permesso di dare un’identità a quell’invisibile senzatetto.
Appassionato di calcio, in passato Issaka aveva giocato come portiere per il St. Ambroeus, la prima società sportiva milanese composta da profughi e richiedenti asilo iscritta alla FIGC. Da tempo i compagni di squadra non ricevevano sue notizie.
Il commento del St. Ambroeus
«Abbiamo appreso con estremo dispiacere della morte di Issaka Coulibay, il portiere di una squadra di amici che qualche volta è venuto ad allenarsi con noi negli scorsi anni», ha commentato il St. Ambroeus in un post diffuso sui social.
«Ci sono morti per cui si può solo provare enorme dispiacere, ci sono morti invece per cui non si può che provare molta rabbia. Morire di gelo in una città come Milano non può essere classificato semplicemente come morte naturale, se a Issaka fosse stato concesso di vivere regolarmente con dei documenti molto probabilmente non staremmo scrivendo questo post, e lui, con una vita regolare, magari starebbe pensando a come rincominciare il campionato dopo la pausa invernale». Così la squadra ha denunciato lo stato di illegalità in cui Issaka era costretto a vivere. Per il St. Ambroeus «Issaka è morto di clandestinità, perché quando non ti viene concesso di avere dei documenti sei costretto a vivere e a morire ai margini della società, senza un permesso di soggiorno, senza la possibilità di lavorare regolarmente, senza la possibilità di affittare una casa, guidare una macchina o accedere a quei servizi basilari che sono concessi a tutti».
Infine, qualche parola per salutare Issaka: «Eri un portiere fortissimo, ti vogliamo ricordare così, in mezzo ai pali del torneo estivo del Pini che porti la tua squadra in finale. Che la terra ti sia lieve. Giustizia per Issaka, e documenti per tutte e tutti. La clandestinità uccide».