Metaverso, ricercatrice denuncia: «Violentata, è stato un vero incubo»

Azioni virtuali, conseguenze reali. È successo nel Metaverso, la ricercatrice Nina Jane Patel è stata aggredita da un gruppo di uomini. Nel neonato Horizon Worlds, la piattaforma social VR di Meta, verrà introdotta la distanza sociale per evitare altre molestie.

Lo sfogo della vittima

Nina Jane Patel ha denunciato la violenza subita a fine dicembre in un lungo post su Medium.com. Patel lavora per la società Kabuni, specializzata nello sviluppo di esperienze virtuali. La donna stava testando la realtà virtuale online. Dopo appena 60 secondi un gruppo di avatar l’ha palpeggiata, aggredita verbalmente e violentata in gruppo. «La realtà virtuale è progettata in modo che mente e corpo non percepiscano la differenza fra esperienza digitale e quella reale. La mia risposta fisiologica e psicologica è stata come se quella brutta cosa fosse accaduta nella realtà», ha scritto Patel.
«L’attacco, un minuto dopo essere entrata in Horizon, mi ha colto di sorpresa, terrorizzata, paralizzata. Non sono nemmeno riuscita a mettere in atto la barriera di sicurezza. È stato un vero incubo».

«Non essere sciocca non era reale»
Il Metaverso

Il Metaverso di Facebook permette agli utenti di lavorare, giocare, connettersi con gli altri e molto altro. Si tratta di una realtà virtuale a cui si accede con un visore e con un sistema di acquisizione del movimento per poter interagire con gli oggetti nella realtà virtuale. Patel spiega che sono le caratteristiche strutturali del Metaverso a rendere l’esperienza così reale. La ricercatrice ha raccontato l’esperienza su Facebook, è rimasta stupita da quanti abbiano minimizzato l’accaduto: «I commenti al mio post andavano da: “La soluzione è semplice: non scegliere un avatar femminile” a “Non essere sciocca, non era reale” o ancora “Stai solo cercando di attirare l’attenzione” e “Gli avatar non hanno la parte inferiore del corpo da aggredire”».

La reazione di Meta

Meta inizialmente non aveva adottato provvedimenti, bollando la vicenda come una mancata reazione della ricercatrice. Secondo il colosso di Zuckerberg, la donna avrebbe potuto attivare lo strumento chiamato “safe zone”, zona sicura, che chiude l’Avatar in una bolla protettiva, arrivando quindi a colpevolizzare la vittima. La risposta ha generato clamore: « È l’equivalente digitale di dire alle donne che se non vogliono essere molestate mentre camminano per strada dovrebbero restarsene a casa. La cara vecchia misoginia con una nuova confezione adatta all’era digitale», ha dichiarato l’esperta di tecnologia ed editorialista del Guardian Arwa Mahdawi. Tanto che pochi giorni fa Meta ha svelato di aver introdotto una nuova impostazione predefinita chiamata “Personal Boundary”, confini personali. Un distanziamento sociale che obbliga gli avatar a tenere la distanza di un metro su Horizon Worlds e Horizon Venus.

Eleonora di Nonno

Classe '99, pugliese ma abito il momento. Divoratrice di libri e inguaribile ficcanaso. Per descrivermi ecco le rime di Caparezza: "L'inchiostro scorre al posto del sangue; Basta una penna e rido come fa un clown; A volte la felicità costa meno di un pound".

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