È iniziata la guerra dell’oro nero, quella tra Stati Uniti e OPEC+, l’organizzazione allargata dei paesi esportatori di petrolio. L’oggetto della contesa è il prezzo del greggio, che continua a crescere toccando i 78,56 dollari al barile. Un costo inaccettabile per le famiglie americane, che ha spinto il Presidente Joe Biden all’impensabile: chiudere uno storico accordo con altre 4 super potenze (Cina, India, Giappone e Corea del Sud) per abbassare il prezzo del petrolio.
Come? Tramite il rilascio delle riserve strategiche, che i paesi conservano per rispondere a eventuali emergenze, come guerre o pandemie. Ma se India e Gran Bretagna si limiteranno a liberare – rispettivamente – 1,5 e 5 milioni di barili, gli Stati Uniti, invece, ne rilasceranno 50 milioni. Un partenza sprint, dunque, in spregio all’OPEC; che possedendo il 79% delle riserve mondiali di petrolio, riesce a influenzarne il costo.
OPEC e OPEC+
L’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) è nata nel 1960 a Bagdad. Comprende 14 paesi, che formano un cartello in grado di contrastare il predominio delle compagnie petrolifere anglo-americane. Il paese guida è l’Arabia Saudita, che è il maggiore produttore dell’organizzazione, di cui fanno parte Iraq, Iran, Emirati Arabi e Kuwait. Senza dimenticare i paesi africani (cioè Libia, Algeria, Angola, Nigeria, Repubblica del Congo, Gabon e Guinea Equatoriale) e quelli del Sud America (Venezuela e Ecuador).
Ma non tutti i maggiori produttori al mondo di greggio hanno aderito all’OPEC. Russia e Messico, ad esempio, ne sono fuori, anche se indirettamente ci rientrano. Tramite l’OPEC+, un’alleanza nata nel 2016 che unisce – ai membri dell’OPEC – paesi come Kazakistan, Azerbaijan, Bahrein e Malesia. Oltre a Russia e Messico, per l’appunto.
Muro contro muro
È la prima volta che un gruppo di nazioni entra apertamente in guerra con l’OPEC+. Il costo del greggio lo ha reso necessario, perché 78,56 dollari al barile sono troppi per il mercato dell’energia di New York (NYMEX). Ma il prezzo lo fa chi possiede il petrolio, quindi l’OPEC+, che continua a tenerne bassa l’estrazione. Sulla base di un pretesto, indicato dal ministro dell’Energia degli Emirati Arabi Uniti Suhail Al Mazrouei: l’eccesso di offerta.
Gli USA, però, hanno bisogna che il costo scenda, e subito. Pertanto, hanno messo mano alla riserva da 604,5 milioni di barili, stoccata in Texas e Luisiana. Ottenendo l’effetto opposto, perché anziché abbassarsi, il prezzo del greggio è cresciuto del 2,3%. Il mercato, infatti, teme la reazione dell’OPEC+, che ha minacciato di tagliare la produzione. In leggera crescita dal mese di luglio, con incrementi mensili da 400mila barili al giorno.
Si capisce, allora, perché la partita sarà ancora lunga. Anche se un braccio di ferro potrebbe portare a una crescita del prezzo del petrolio. Ma Biden non può tirarsi indietro, visto che le elezioni di MidTerm del 2022 si avvicinano. Mentre i sondaggi, per lui, sono in caduta libera a causa dell’inflazione, che in America ha superato il 6%. Ecco perché si dice pronto a tutto pur di ridurre la spesa delle famiglie americane: persino a bloccare le esportazioni di greggio degli Stati Uniti.