Femminicidio di Giada Zanola, l’ex Andrea Favero: «L’ho sollevata e spinta giù dal cavalcavia»

«L’ho sollevata dalle ginocchia e l’ho spinta oltre la ringhiera». Con queste parole Andrea Favero, 38 anni, ha ammesso l’omicidio della compagna Giada Zanola, 33 anni, madre del loro unico figlio. La donna è precipitata dal cavalcavia sull’A4 a Vigonza, in provincia di Padova, nella notte tra il 28 e il 29 maggio. Ma la testimonianza di Favero, al momento in custodia cautelare in carcere con l’accusa di omicidio, non è utilizzabile come confessione in sede processuale. Quelle parole, infatti, non sono state pronunciate davanti a un legale, anche se rappresentano in concreto un’ammissione di colpevolezza. Ma come funziona la disciplina italiana in tema di confessione in un processo penale?

La confessione nel processo penale: come funziona

«La confessione – spiega l’avvocato Angelica Vitali del Foro di Milano – non è annoverata dalla legge italiana tra i mezzi di prova, cioè quegli strumenti processuali che permettono di acquisire un elemento probatorio nel dibattimento». Ciò significa che «è sempre liberamente valutabile dal giudice: quest’ultimo può anche ritenerla non attendibile o non credibile». Insomma, anche se espressa con tutte le regole normative del caso, «non comporta automaticamente una condanna».

Quelle che in gergo tecnico si chiamano «dichiarazioni autoincriminanti» – tra le quali si annovera la confessione – devono però essere espresse alla presenza di un difensore. Ma perché? «Fa parte del cosiddetto diritto alla prova – aggiunge l’avvocato Vitali. – Se rese nel corso dell’attività investigativa, senza la presenza di un difensore, non sono utilizzabili in dibattimento. Ciò è previsto al fine di garantire e non ledere il diritto di difesa dell’imputato», a cui deve sempre essere concessa la possibilità del contraddittorio, nonostante gli indizi di colpevolezza.

Una prova inutilizzabile nel processo

Le dichiarazioni di Favero, quindi, non potranno essere utilizzate nel processo a suo carico. La confessione non ufficiale del femminicidio era infatti arrivata nel tardo pomeriggio del 29 maggio, quando la polizia stava ancora indagando sull’ipotesi del suicidio. Nelle nove pagine di ordinanza di custodia cautelare – firmata dalla gip Laura Alcaro – si fa riferimento al verbale di quanto dichiarato dal presunto responsabile proprio in quella circostanza. La spontanea ammissione, per quanto ritrattata, verrà però utilizzata come un chiaro indizio di colpevolezza. Come pure il tentativo di depistaggio messo in atto da Favero, che alle 7.30 del mattino seguente aveva telefonato a Giada e, non ricevendo ovviamente risposta, le aveva scritto un messaggio rimproverandola di non aver salutato lui e il loro bambino.

 

Valentina Cappelli

Giornalista praticante e dottoressa in Giurisprudenza presso l'Università Cattolica di Milano. Aspirante giornalista televisiva, mi appassionano le tematiche di cronaca giudiziaria, politica, cultura e spettacolo.

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