Rischi sanitari e ambientali. Queste le motivazioni con cui il 13 febbraio 2021, giorno dell’insediamento del Governo Draghi, la prima sezione del Tribunale amministrativo di Lecce ha ordinato lo spegnimento, entro 60 giorni, dell’area a caldo dell’ex Ilva di Taranto.
L’acciaieria, gestita dal 2018, dopo varie trattative, da ArcelorMittal, è da anni al centro della cronaca italiana, per l’inquinamento causato soprattutto dalle anomalie impiantistiche all’altoforno 2.
L’intenzione dell’azienda franco indiana ora è promuovere immediatamente un appello al Consiglio di Stato. Non bisogna però trascurare nemmeno il malcontento dovuto all’impatto sociale della chiusura sui lavoratori della città.
Le cause
«Non ci sono alternative allo spegnimento dell’area a caldo» commenta Rinaldo Melucci, sindaco di Taranto. I dati e i monitoraggi sulle emissioni dell’ex Ilva e sui rischi per la popolazione documentano «come l’acciaieria, così, sia insostenibile».
Gli impianti dell’area a caldo, tra cui motore e altoforni, sono sotto sequestro penale da luglio 2021. Il loro utilizzo è stato fino ad ora consentito, sulla base di un programma di risanamento ambientale. Le rilevazioni di sostanze tossiche nell’area però sono preoccupanti, in particolare nel rione Tamburi, confinante con l’acciaieria. A febbraio 2021 erano state poi individuate alte concentrazioni di biossido di zolfo.
L’obiettivo dell’ordinanza, presentata allora dal sindaco Melucci, era indurre ArcelorMittal e Ilva a individuare e rimuovere entro 30 giorni le fonti inquinanti del settore siderurgico. L’alternativa sarebbe stata lo spegnimento degli impianti.
Il ministero dell’Ambiente però, vicino alle posizioni del colosso siderurgico, aveva appoggiato i ricorsi, finchè la questione non è finita al Tar. ArcelorMittal ora dovrà non solo spegnere l’area a caldo dell’ex Ilva, ma anche risarcire il Comune Taranto.
Le criticità
Non sono però tutti contenti. Sia i sindacati nazionali dei metalmeccanici, sia quelli locali, oltre a Confindustria temono che allo spegnimento dell’area a caldo, corrisponderà a una chiusura totale dell’ex Ilva, unico stabilimento sul territorio italiano per la produzione a ciclo integrato dell’acciaio. Se lo stallo degli impianti si dovesse protrarre oltre le due settimane potrebbe poi portare danni e problemi permanenti e dare il colpo di grazia.
Secondo Giuseppe Romano, di Fiom, sarebbero 13.000 i posti di lavoro a rischio, tra i dipendenti di ArcelorMittal, quelli in amministrazione straordinaria e i 1600 operai già in cassa integrazione. Tra le questioni che il Consiglio dei ministri, appena insediato dovrà affrontare, questa dovrà sicuramente essere una priorità.
Per il 17 febbraio intanto è stato proclamato uno sciopero. Ne seguirà uno di 24 ore, il 24 febbraio, contro il blocco delle trattative sul nuovo piano industriale, su cui si lavora dallo scorso dicembre.