Dieci anni senza Lucio Dalla Una vita «profonda come il mare»

Sono passati dieci anni dalla morte di Lucio Dalla, il primo marzo del 2012, tre giorni prima del suo 69esimo compleanno il 4 marzo 1943, diventato il titolo di uno dei suoi brani più amati. Fu stroncato da un infarto in un hotel di Montreux, in Svizzera, dove la sera prima si era esibito sul palco di uno dei festival jazz più importanti del mondo.

Musica senza tempo

«Andrei in Afghanistan, e più giù in Sud Africa, a parlare con l’America, e se non mi abbattono anche con i russi parlerei» cantava così Lucio Dalla in Se io fossi un angelo. Una poesia che risuona attuale, come se fosse stata scritta in questi giorni per provare a raccontare la realtà, la guerra in Ucraina.

Le sue canzoni sono state un caleidoscopio che girava velocissimo, passando da brani più intimi e personali, come Cara e Tu non mi basti mai, a brani universali, come Futura o Washington.

Chi era Lucio Dalla

«Volevo essere capito come volevo io, volevo che la mia canzone bella, strana, anomala, patologica, arrivasse come quella di Baglioni. Per assimilare un pezzo come Com’è profondo il mare non bisogna solo stare fermi ad ascoltare, bisogna lasciarsi prendere dal groove, per me è come se fosse un rap: volevo coinvolgere la gente e sconvolgere un po’ i principi dell’ascolto tipico della forma canzone. L’ho scritta in mezz’ora ed è stata la prima volta in cui ho pensato: ehi, possiamo comunicare qualcosa scrivendo». Raccontava così Lucio Dalla nel 2006, quando per la prima volta nel 1977 iniziò a scrivere le parole delle sue canzoni, dopo 13 anni in cui si era occupato solo delle musiche.

Artista fra la gente

Fino a quel momento Dalla è un ragazzo bravo a recitare, a cantare, a ballare e ama il jazz. Proprio il jazz lo traghetta nella musica: studia il clarinetto da autodidatta e entra in una band di Bologna, città dove «non si perde neanche un bambino».

Dopo il jazz e l’iniziale fase beat, Dalla si butta a capofitto nella complessità, collaborando con lo scrittore Roberto Roversi, con cui inciderà tre dischi: Il mondo aveva cinque teste (1973), Anidride Solforosa (1975) e Automobili (1976).

Lucio Dalla nella sua Bologna, in Piazza Maggiore

Però, non piace. Respinto dall’altro, nella sua solitudine sente progressivamente la necessità di trovare un modo per farsi amare. Proprio a partire dalla fine degli anni ’70, l’istante in cui Dalla decide di mettere la parola nei testi, la sua parola, si avvicina al pubblico. Improvvisamente, il mondo sembra ascoltarlo, osservarlo e capirlo con gli stecchi occhi con cui Dalla provava a scavarci dentro.

Diventa il cantautore attento e sensibile alle stranezze e alle particolarità dell’uomo e del suo agire. In questo modo la sua canzone è straordinariamente aperta e inclusiva, fino a essere popolare, offrendo tutto di sé all’altro da sé.

La sua musica, dunque, è fatta

per incontrarsi e per ballare

«Balla balla ballerino tutta la notte e al mattino»

per desiderarsi

«Ho chiuso un po’ gli occhi e con dolcezza è partita la mia mano»

per amare

«Tu, tu non mi basti mai, davvero non mi basti mai, tu tu dolce terra mia dove non sono stato mai»

per riflettere

«Troppo sangue qua e là sotto i cieli di lucide stelle, nei silenzi dell’immensità»

e per sentirsi liberi

«Vorrei entrare dentro i fili di una radio e volare sopra i tetti delle città, incontrare le espressioni dialettali, mescolarmi con l’odore dei caffè»

Carlotta Bocchi

Un libro nello zaino e una canzone nella testa. Scarpe comode per vagare nella mia città, Milano, accogliente e ostile allo stesso tempo. Sono appassionata di cronaca, mafie e criminalità, migrazioni e tematiche sociali.

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