Un’inchiesta giornalistica svela nuovi inquietanti dettagli sulla persecuzione della minoranza musulmana degli uiguri in Cina. 14 testate internazionali, tra cui L’Espresso, hanno avuto la possibilità di accedere a migliaia di foto e documenti hackerati dai server delle forze di sicurezza locali. Tutte le testate hanno deciso di pubblicare gli articoli lo stesso giorno, martedì 24 maggio, in coincidenza con la visita dell’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani in Cina.
Il materiale, denominato Xinjiang Police Files, non lascia spazio a particolari dubbi o interpretazioni: le immagini mostrano uiguri imbavagliati, ammanettati e percossi da schiere di poliziotti in tenuta da combattimento.
I documenti
I file comprendono in totale 452 registri con più di 20.000 nomi di persone tenute sotto stretta sorveglianza, ognuna delle quali è associata a un numero con un codice identificativo. Per gli internati viene specificata la durata della detenzione e il tipo di accusa, da cui è possibile giudicare l’arbitrarietà dei motivi d’arresto, che molto spesso si basano su semplici sospetti di tipo religioso. «Ha indossato il velo dal 2012 al 2013», è ad esempio uno di questi. Oppure: «Ha iniziato a farsi crescere la barba lunga nel 2014. Si è rifiutato di raderla quando gli è stato chiesto dall’ufficiale del comitato del villaggio. Famiglia con una forte appartenenza religiosa.»
La parte più impressionante sono però le circa 5.000 foto scattate tra gennaio e luglio 2018 nel distretto di Konasheher, nello Xinjiang. In base alla documentazione, è possibile identificare 2.884 detenuti, tra cui donne, bambini e anziani. Come riporta L’Espresso: «Le immagini evidenziano che si tratta di strutture carcerarie di massima sicurezza sorvegliate da forze militarizzate e mostrano una situazione di detenzione e segregazione, in palese contrasto con le foto diffuse finora dalla propaganda di regime». Di fronte a tentativi di evasione, l’ordine delle guardie è quello di «sparare per uccidere».
Il genocidio degli uiguri
Sotto la guida di Xi Jinping, il governo cinese ha adottato una politica di repressione nei confronti degli uiguri, minoranza turcofona prevalentemente musulmana che vive in gran parte nella regione autonoma dello Xinjiang, nel nord ovest della Cina. Un rapporto dell’Onu ha accertato la detenzione di oltre un milione di uiguri in campi dove vengono sottoposti a indottrinamento e lavori forzati.
Pechino ha sempre negato qualsiasi forma di abuso nei confronti delle minoranze etniche. Anche dopo la pubblicazione degli ultimi documenti, la portavoce dell’ambasciata cinese negli Stati Uniti, Liu Pengyu, ha ribadito che «i problemi dello Xinjiang riguardano, in sostanza, la lotta al terrorismo, alla radicalizzazione e al separatismo, non i diritti umani o la religione». Per poi aggiungere che la regione da diversi anni «non ha più assistito ad alcun caso di violenza terroristica», e che sulla questione «è stata diffusa una grande quantità di notizie false».