Venezia non deve morire, spunti per tentare di salvarla

Un primo passo è stato compiuto: dal primo agosto le grandi navi non potranno più transitare davanti a San Marco e sul canale della Giudecca. Ma questo basterà? Il turismo di massa non è più sostenibile e per il post pandemia è necessario ripensare a un nuovo modello per salvare il gioiello della Laguna.

I dati sul turismo

Per stabilire in termini numerici e statistici in cosa effettivamente consiste questo turismo di massa ci viene in soccorso un articolo pubblicato su Nature nell’ottobre 2020, scritto da Silvio Cristiano, ricercatore di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e Francesco Gonella, professore di Fisica presso il medesimo ateneo. Il pezzo, intitolato ‘Kill Venice’: a systems thinking conceptualisation of urban life, economy, and resilience in tourist cities è consultabile e scaricabile al link https://doi.org/10.1057/s41599-020-00640-6. Secondo i dati forniti dalla Città di Venezia nel 2018, i turisti registrati regolarmente nelle strutture ricettive sono passati dai 4.2 milioni del 2013 ai 5 milioni del 2017. Venezia, inoltre, non conosce una “bassa stagione”, fondamentale invece per le altre città turistiche. Questa continua “invasione” ha portato la città a doversi attrezzare per offrire più posti letto e più case in affitto: i posti letto sono diventati quasi 33mila con un +74% rispetto al 2013. Nel 2017 erano presenti 274 hotel solo nel centro storico, più di 4800 appartamenti per turisti, 377 affitta camere e 291 strutture bed and breakfast. Rispetto al 2008 i posti letto a disposizione sono aumentati del 500% creando un serio problema proprio alla residenzialità.

Sono infatti, al 2019, 52.143 gli abitanti a Venezia città, con un -21,5% rispetto a vent’anni prima. Questo significa che la città non è più a misura di residente ma a misura di turista. I ristoranti sono aumentati, dal 2008 al 2019, del 160% prendendo lo spazio prima occupato da negozi e uffici. La pausa imposta dalla pandemia potrebbe davvero essere arrivata nel momento giusto, prima che il processo possa diventare irreversibile. E non solo per quanto riguarda i numeri che abbiamo snocciolato nelle righe precedenti ma anche perché l’economia veneziana sta diventando totalmente dipendente dal turismo. Nell’articolo di Cristiano e Gonella si sottolinea un aspetto importante e allo stesso tempo preoccupante: gran parte dei salari dei lavoratori a Venezia dipendono dal flusso di turisti in città. E questo non soltanto per i lavoratori dei servizi alberghieri e ricettivi ma per altre categorie: dipendenti del trasporto pubblico e privato, guide turistiche, commercianti di souvenir e di beni di prima necessità, ristoratori, lavoratori del mondo dello spettacolo e della cultura. Un primo segnale del legame pericoloso tra economia locale e turismo è arrivato dopo l’acqua granda del novembre 2019 (https://www.veneziatoday.it/cronaca/video-acqua-alta-12-novembre- 2019.html) che ha causato migliaia di cancellazioni e quindi un vuoto per tutta la città. Qualche mese dopo è scoppiata la pandemia e da marzo 2020 il turismo è praticamente morto, rendendoci tutti consapevoli che questo potrebbe essere l’ultima occasione per salvare Venezia. Ora o mai più.

 

Troppi turisti e pochi veneziani

Il flusso di turisti a Venezia non deve assolutamente fermarsi. Questo va detto perché non dobbiamo rassegnarci davanti a un’idea di turismo che non contempli il rispetto per l’ambiente. Ben vengano quindi i visitatori, le passeggiate a Piazza San Marco, i giri in gondola e le bevute nei bacari. Ma con un’altra prospettiva. Abbiamo parlato infatti con Rudi Bressa (https://twitter.com/rudibressa), giornalista ambientale freelancer che ha tentato di indicarci una via per il futuro di Venezia: «Quando si parla di turismo sostenibile», ci ha detto Bressa, «si fa riferimento a un tipo di turismo che porti sicuramente risorse alla popolazione locale ma che rispetti il territorio e che abbia un impatto positivo all’interno della comunità e dell’ambiente che lo ospita». Negli ultimi anni infatti Venezia era diventata l’opposto di un modello sostenibile ed era, prima della pandemia, l’esempio perfetto di quello che si chiama “overtourism”. La “pausa”  portata dalle restrizioni imposte per prevenire la diffusione del Coronavirus ha portato una crisi per le attività senza precedenti ma può senza dubbio rappresentare un momento di riflessione importante per cambiare il modello di turismo dei prossimi anni. E non si parla di una Venezia senza più ospiti e visitatori, che rappresentano una grande fonte di guadagno per la città, ma di una città dove il turismo non sia più l’unica soluzione per portare ricchezza. La giornalista Sara Moraca (https://twitter.com/Vagabondamente), in un articolo su Inside Climate News del 12 maggio 2020 (https://insideclimatenews.org/news/12052020/coronavirus-venice- canals-clear-climate-change-flood/), riporta le parole di Lidia Feruoch, presidente della sezione veneziana del gruppo ambientalista Italia Nostra che ha sottolineato l’importanza di un cambio di passo. «Basta con la monocultura turistica», ha detto Feruoch, sottolineando l’importanza di un cambio di paradigma che ci ha spiegato bene anche Rudi Bressa. «Venezia è stata oggettificata, diventando un grande luna park», ci ha detto il giornalista padovano, «e questo ha causato un problema demografico con una notevole riduzione del numero della popolazione locale». Se andiamo a vedere i numeri infatti attualmente gli abitanti a Venezia città sono meno di 53mila. E si tratta di un trend molto preoccupante considerando che nel 1971 erano circa 110mila. Il tipo di ospite che sta caratterizzando Venezia negli ultimi ce lo descrive Rudi Bressa in poche parole: «Si tratta di un turista mordi e fuggi», ci ha sottolineato, «che arriva, spende e se ne va». Questo tipo di turista non porta infatti nessun vantaggio ad ambiente e popolazione.

 

La soluzione nel turismo di qualità

È importante spiegare che per proporre una soluzione per il futuro di una città turistica come Venezia è necessario allargare il proprio orizzonte di 360°, cercando di raccogliere opinioni e proposte da diverse discipline. Secondo quanto ci ha raccontato il giornalista Rudi Bressa bisogna parlare «con guide turistiche, economisti e persone che si occupano di ambiente». Solo in questo modo infatti si può pensare a un modello che tenga conto di ogni aspetto e non vada a penalizzare qualcuno degli attori coinvolti. Una delle soluzioni potrebbe infatti venire dall’idea di un turismo di qualità. Che significa? «Si tratta di un modello che si propone di abbandonare le solite rotte come Piazza San Marco e Rialto», ci spiega Bressa, «ma che offre dei pacchetti pensati ad hoc per un turista “culturale”, che vuole conoscere i punti più nascosti, sia a livello museale che a livello paesaggistico». Secondo il freelancer infatti l’obiettivo è quello di «uscire da quel circolo vizioso che era il turismo di massa». Prima del lockdown di marzo 2020 infatti si era arrivati a dei numeri incredibili se pensiamo all’estensione di Venezia: fino al 2019 si raggiungevano in media 18 milioni di visitatori l’anno con punte di 28 milioni. In media quindi si trattava di circa 52mila turisti al giorno, un numero quindi superiore a quello dei residenti in città. E qui si trova anche la causa del fuggi fuggi verso la terraferma. La prevalenza di turisti infatti impone che ad aprire siano solo attività commerciali per persone non residenti: addio quindi a cartolerie, panifici e bottegai ma solo fast food, catene di abbigliamento e attività che poco hanno a che fare con la storia e le caratteristiche di Venezia. Un’altra soluzione, più discussa e di difficile realizzazione, potrebbe venire dall’idea di un turismo a “numero chiuso”. Si tratterebbe infatti di vendere dei pacchetti che permettano di tenere conto del numero di accessi in città, ovviamente senza penalizzare i residenti. Quest’ultimi infatti protestarono molto quando nel 2018 videro installati ai piedi del ponte di Calatrava e vicino alla stazione Santa Lucia i tornelli per regolare l’afflusso dei turisti. Si trattava infatti di grosse strutture metalliche, alte più di un metro e caratterizzate da due varchi che offrivano un aspetto quasi militaresco alla città veneta. Inoltre, i tornelli non furono apprezzati nemmeno dai commercianti che lamentavano perdite economiche causate da un afflusso più lento alla città.

 

Le nuove opportunità

Quando si cerca di cambiare drasticamente un aspetto così radicato come quello del turismo di massa è fondamentale spiegare alla cittadinanza i benefici di ciò che si propone. Modificare il modello turistico significa influenzare anche le dinamiche economiche della città. «Senza turisti non guadagniamo più», è una delle frasi più ricorrenti tra i commercianti quando si tentano di offrire nuove prospettive per il futuro. Ma migliorando la qualità del visitatore potrebbe aumentare le opportunità per chi intende aprire una nuova attività. Non ci sarebbe più spazio per le grandi catene di fast food che acquistando palazzi levano anche possibili spazi abitativi ma si aprirebbe la strada all’ingegno anche dei giovani. Penso magari al caso di un gruppo di ragazzi che ha affittato una struttura per permettere ai turisti di lasciare valigie in sicurezza o a chi offre un servizio di ristorazione mantenendo i prezzi nella media senza approfittarsene del turista. «Cambiare un aspetto culturale come quello dell’idea del turismo», ci ha detto Rudi Bressa, «non è mai semplice. Bisognerebbe spiegare che l’obiettivo è quello di cambiare il volto della città da qui ai prossimi anni». Il concetto di futuro infatti spaventa Venezia, sia per la precarietà a livello ambientale sia perché continuando con il ritmo degli ultimi anni l’effetto Disneyland potrebbe essere letale.

 

L’allarme riscaldamento globale

Oltre ai problemi legati al turismo di massa un altro allarme globale spaventa Venezia: quello del riscaldamento globale. Ne parla proprio Sara Moraca su Inside Climate News: secondo le analisi di Luigi D’Alpaos, professore di ingegneria civile edile e ambientale all’Università di Padova, pubblicate su Nature, è previsto, da qui alla fine del secolo corrente, un innalzamento di 50 centimetri del livello del mare che porterà a dover innalzare il sistema del MOSE (Modulo sperimentale elettromeccanico) per 187 giorni l’anno e talvolta per settimane consecutive. E questo potrebbe causare ulteriori problemi per il capoluogo veneto. Se infatti la laguna dovesse rimanere chiusa per così tanti giorni annualmente non ci sarebbe un sufficiente scambio d’acqua con il Mare Adriatico creando un’insufficienza di ossigeno che metterebbe a rischio l’intero ecosistema lagunare.

Matteo Sportelli

La politica è ciò di cui amo scrivere e ciò che più mi appassiona. Ho conseguito la laurea triennale in Comunicazione, Media e Pubblicità all'Università IULM di Milano e la laurea magistrale in Mass media e Politica all'Università di Bologna.

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