Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità. Ma John Mpaliza, attivista congolese di 54 anni, non punta alla luna. Vive in Italia da trent’anni ma è la sua Terra, la Repubblica Democratica del Congo, quella che vuole cambiare. Con le sue marce punta a sensibilizzare l’opinione pubblica, in particolar modo i giovani, su ciò che accade in questo gigante nel cuore dell’Africa e non solo. Zaino in spalla e bandiere della pace nelle mani, John cammina di città in città. Accompagnato da grandi e piccoli per parlare di giustizia, diritti umani, legalità, crisi climatica e consumo critico. Su queste tematiche gli studenti di alcune scuole di Bari e Bitonto hanno condiviso pensieri e riflessioni durante la tappa finale della «Marcia dei Bruchi» in Puglia, una delle tante organizzate da Mpaliza.
Partita il 25 febbraio scorso da San Severo, l’iniziativa ha attraversato tutte le province della Puglia, coinvolgendo tantissime scuole e diverse migliaia di studenti a Grottaglie, Francavilla Fontana, Lecce, Brindisi. Infine è approdata martedì 5 aprile nel capoluogo. Dal 2010, John marcia in Italia e in Europa. Il primo cammino intrapreso è quello di Santiago de Compostela, poi è partito alla volta di Roma, Bruxelles, Helsinki. «Nel 2014 ho lasciato lavoro, casa e tutte le comodità per dedicarmi interamente all’attivismo – racconta John – Prima di potermi laureare in ingegneria informatica ho dovuto faticare tanto, ho lavorato anche come bracciante agricolo nel foggiano. Quando sono arrivato in Italia volevano farmi rifare la licenza media, non riconoscendo il mio diploma di maturità».
La «cassaforte del mondo e cuore della tecnologia»: il Congo
«Si dice che non ci sia un grammo di terra africana per cui non si farebbe fuori qualcuno». John prova a spiegare così ciò che sta lacerando il Congo in questi anni. «Sono nato a Bukavu, una città nell’est del paese, è lì che viene estratto il Coltan – continua l’attivista – un materiale indispensabile per la costruzione di molti dispositivi elettronici».
Nessuno di noi può farne a meno, ma pochi sanno davvero cosa sia. Eppure, si combattono guerre per averlo. È nei nostri smartphone e computer. Il Coltan, COLumbite TANtalite, è un minerale fondamentale per il funzionamento dei chip elettronici. L’ottanta per cento delle riserve mondiali si trova in Congo. «Dal ‘96 si combatte una guerra silenziosa per estrarlo – spiega John – potenze occidentali (Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Francia, etc.) hanno usato i paesi vicini, come Ruanda, Burundi e Uganda, per depredare il Congo. Stupri e uccisioni sono il mezzo. A oggi si contano più di 10 milioni di morti».
A questo punto John ci mostra un filo rosso che ha sul braccio, in memoria del padre, morto proprio nel 1996 a causa di questa guerra e di una sorella dispersa dal 1998.
Al dramma del Coltan si aggiunge anche quello del cobalto. Indispensabile per le batterie al litio, per le macchine elettriche e cuore della transizione ecologica. «Il 70% di cobalto mondiale arriva dal Congo!». Coltan e cobalto sono il cuore della tecnologia ma la loro estrazione avviene con gravi violazioni dei diritti umani: uso di manodopera minorile, stupri usati come arma di guerra, uccisioni, etc.
Il Congo è il paese più ricco di materie prime al mondo. Giacimenti di oro, diamanti, coltan, cobalto, terre rare. «C’è una leggenda che dice: “Dio, mentre stava creando il mondo, inciampò sul Kilimangiaro e il sacco pieno di minerali, che aveva sulla testa si riversò sul Congo”. Penso che renda bene l’idea» spiega John.
Dal Congo all’Italia senza dimenticare le proprie origini
«Ricordo che mia mamma, quando pioveva, ci faceva uscire fuori con il sapone per lavarci. L’acqua era poca e bisognava sfruttare tutte le occasioni». È questo uno dei pochi ma bellissimi ricordi di John legati a Bukavu, città in cui ha vissuto fino a nove anni, prima di trasferirsi nella capitale Kinshasa: «Mia sorella si sposò e andò lì. Io ero sempre con lei perché soffrivo di bronchite asmatica e visto che studiava medicina, mi aiutava». John, però, non ha dimenticato il clima della sua città natale: «Al tempo dei colonizzatori veniva chiamata la “Svizzera dell’Africa”. Lì non ci sono mai 30 gradi».
A Kinshasa, John continua il percorso scolastico fino all’Università, dove si iscrive ad Ingegneria politecnica, dal 1989. «Ho sentito della caduta del muro di Berlino alla radio e poi sono esplose le prime manifestazioni studentesche».
Il motivo delle proteste è che dal 1985 Mobutu, il Presidente dell’allora Zaire, come veniva chiamato il Congo dal 1971 al 1997, era diventato un dittatore. Nel 1991 chiude tutte le università e ordina di fermare le proteste con la violenza. John viene mandato in prigione per tre mesi. «La mia famiglia si attivò per cercarmi e mi fa andare via quel pericolo. Nel mese di novembre arrivo in Algeria dove un vecchio amici del liceo mi aiutò ad iscrivermi per fare ingegneria elettronica presso l’Università di Orano».
In Algeria trova però una situazione politica difficile. In estate del 1992, con un visto Schengen, visita Francia, Belgio e come ultima tappa Roma. «Il giorno in cui dovevo ripartire persi l’aereo, tornai dalla famiglia che mi aveva ospitato – racconta John – Erano in lutto perché pensavano fossi morto nell’attentato che ci fu all’aeroporto di Algeri quel giorno». John fa richiesta di asilo politico e si stabilisce in Italia. Passa dai campi di pomodori del foggiano alla laurea in Ingegneria informatica presso l’Università di Parma, fino ad ottenere la cittadinanza dopo anni di attesa.
Passo dopo passo nasce la “Marcia dei Bruchi”
«La marcia è il mezzo più bello, nonviolento, per protestare, ci si innamora dei luoghi e delle persone – racconta Mpaliza – l’importante è capire da dove partire e dove arrivare, anche metaforicamente». Il nome «marcia dei bruchi» nasce nel 2021, quando un bambino gli dice che camminando insieme «saremo come tanti piccoli bruchi che si trasformeranno in farfalle che cambieranno il mondo». L’unica condizione per partecipare al fianco di John è che i ragazzi riflettano in classe sui messaggi che l’attivista cerca di comunicare. Poi ci si incontra in strada e si cammina insieme per quasi un chilometro: canti, musica e striscioni accompagnano John fino alla prossima meta.
John non parte mai leggero, il suo zaino è sempre troppo pesante. «Porto con me la chitarra oppure una cassa per la musica, è un bel modo per comunicare con i giovani» spiega Mpaliza. «Sul mio cammino ho incontrato spesso persone buone. Ci sono momenti in cui ho pensato di mollare, ma sono solo attimi passeggeri».
A Navelli, in Abruzzo, John ha passato proprio uno di quei momenti. «Ero stanco e diluviava. A un certo punto incrocio una macchina che vuole darmi un passaggio. Io rispondo che sono in marcia a piedi e non posso salire sull’auto, così ripartono. Alla fine trovo ospitalità in un bed&breakfast. La proprietaria ascolta la mia storia e si rifiuta di farmi pagare – ricorda John – Il giorno dopo riparto. Verso le 10 arriva la stessa auto del giorno prima, scende un signore con in mano un sacchetto con dei viveri. La moglie rimane in macchina, stava piangendo. Tutta la notte non aveva dormito perché era preoccupata per la mia sorte. Hanno fatto il giro della provincia per trovarmi e assicurarsi che stessi bene».
«Il prossimo anno marcerò in Piemonte, è bello vedere tanta partecipazione. «Se vuoi andare veloce vai solo, se vuoi andare lontano vai con gli altri» conclude John.