Dagli Stati Uniti arriva l’ennesimo schiaffo contro Donald Trump. La Commissione sorveglianza della Camera dei rappresentanti ha acconsentito alla pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi dell’ex Presidente relative al periodo 2015-2020.
Il voto della Commissione
La Ways and Means Commitee ha ordinato l’invio dei documenti alla Camera con 24 voti favorevoli – tutti Democratici – e 16 contrari – quelli dei Repubblicani. Questa decisione pone fine a una battaglia legale cominciata nel 2019 tra i Democratici e Trump. L’ultima volta che il Congresso aveva richiesto le dichiarazioni dei redditi di un Presidente risale ai tempi di Richard Nixon.
Questo voto è arrivato il giorno dopo che la Commissione della Camera ha raccomandato al Dipartimento di Giustizia di perseguire penalmente Trump. Tale raccomandazione riguarda quattro capi d’accusa: incitamento all’insurrezione (l’assalto a Capitol Hill), ostruzione di un procedimento ufficiale (la certificazione della vittoria di Biden), cospirazione per frodare gli Stati Uniti e cospirazione per rendere false affermazioni (la produzione di certificati elettorali falsificati dei Grandi elettori). Si tratta di deferimenti nei confronti di un ex Presidente senza precedenti nella storia americana.
I rapporti di Trump con il fisco
Da un’inchiesta condotta dal New York Times nel 2018 risulta che l’ex Presidente non avrebbe pagato le tasse federali in 11 dei 18 anni di presentazione della dichiarazione dei redditi. Inoltre, a inizio dicembre una giuria di Manhattan ha condannato per frode fiscale e falsificazione di documenti la Trump Payroll Corporation e la Trump Corporation.
Tornando a quanto deciso nella notte del 20 dicembre, il New York Times ha riportato i dati sui redditi di Trump diffusi dalla Commissione della Camera. Si parla di 1.1 milioni di dollari versati dall’allora Presidente nei suoi primi tre anni di mandato, a fronte di un reddito lordo di 24.3 milioni nel 2018. Mentre nel 2020 Trump non avrebbe versato nulla al fisco perché ha denunciato una perdita di 4.8 milioni causata dalla pandemia.
Le dichiarazioni dalla politica statunitense
La presentazione delle dichiarazioni dei redditi non è espressamente richiesta dalla legge per i candidati alle presidenziali statunitensi. Ma è una prassi ormai consolidata da tempo. Negli ultimi 40 anni ogni aspirante inquilino della Casa Bianca ha sempre dimostrato trasparenza su questo tema. Mentre Trump cerca di tenere le sue dichiarazioni dei redditi private fin dal 2016. Il mese scorso la Corte Suprema americana ha però bocciato il suo ultimo appello. «Non scoprirete molto dalle mie dichiarazioni dei redditi, ma è illegale renderle pubbliche se non sono vostre», ha commentato il tycoon dal suo social Truth.
A fare da eco alle parole dell’ex Presidente ci ha pensato il suo partito. I Repubblicani hanno avvertito che questa costrizione rappresenta un attacco alla privacy di tutti i cittadini e uno scorretto espediente per arginare i rivali politici.
Sono di diverso avviso i Democratici. Brendon Boyl, membro della Commissione, ha dichiarato che «questo è uno dei voti più importanti che ho espresso come membro del Congresso». Mentre Jimmy Gomez, un altro deputato Democratico della Commissione, ha affermato: «Il popolo americano vuole sapere se il Presidente degli Stati Uniti prende decisioni in base al loro interesse o al proprio interesse finanziario».
Le possibili conseguenze sulle presidenziali del 2024
L’esito della vicenda potrebbe avere conseguenze sulla corsa alle presidenziali del 2024. A metà novembre Donald Trump ha annunciato la sua candidatura, ma questi guai giudiziarie rischiano di intaccare ulteriormente la sua reputazione.
A trarne vantaggio potrebbero essere sia il Partito democratico sia gli avversari di Trump alle primarie repubblicane. In particolare, queste vicende potrebbero favorire la candidatura di Ron DeSanctis, attuale Governatore della Florida ed ex delfino di Trump.