Samuela Comola: «Stavo per ritirarmi dal biathlon e poi è arrivato l’oro mondiale»

Fatica, dedizione e riscatto. Samuela Comola conosce bene queste parole. Come tensione, quella che la accompagna in ogni gara. Battiti a mille che a ogni poligono devono scendere per avere più stabilità ed evitare errori. Proprio la precisione è cruciale nel biathlon, uno sport invernale che abbina lo sci di fondo al tiro con la carabina, e Comola lo sa bene. La 24enne di Champorcher, un piccolo comune di 390 abitanti in Valle d’Aosta, ha preso in mano una carabina per la prima volta a sette anni. Da quel momento in poi è stato un crescendo, fatto di alti e bassi e di momenti difficili che la valdostana ha superato tornando più forte di prima e diventando un punto fermo della nazionale azzurra.

L’alpina del Centro Sportivo Esercito di Courmayeur non è una predestinata, ma con il lavoro e la dedizione ha scalato le classifiche raggiungendo prima la Coppa del Mondo e poi l’oro mondiale. Il trionfo della staffetta femminile a Oberhof, in Germania, già di per sé è storico, perché mai l’Italia aveva ottenuto questa soddisfazione in una prova a squadre. Ma lo è ancor di più per Comola, una ragazza semplice, umile e solare che ha raggiunto il suo sogno.

La versione podcast dell’intervista

 

 

A che età ha messo per la prima volta gli sci ai piedi?
Avevo quattro anni. Ero davanti a casa mia a Champorcher ed erano sci di plastica. Mio papà, Fabrizio Comola, me li muoveva, io non facevo niente. È stato lui a trasmettermi la passione. Ha iniziato a fare di sci di fondo intorno ai vent’anni, ma ha sempre amato questo sport.

Come si è avvicinata al biathlon?
Appena ho potuto mi sono iscritta allo sci club di Champorcher, ma il biathlon è arrivato un po’ per caso. Inizialmente con lo sci club facevamo solo gare di sci di fondo, perché il biathlon non era ancora così popolare. Poi un giorno è stata annullata una competizione per mancanza di neve. Allora il presidente dello sci club, Alessio Gontier, ci ha proposto di andare la sera stessa nel garage di casa sua per provare a sparare. Quella è stata la prima volta in cui ho preso in mano una carabina. Avevo sette anni ed è stato amore a prima vista.

Con cosa giocava da bambina?
Ho dei ricordi bellissimi dell’infanzia. Ero sempre assieme a mia sorella Michela e non stavamo mai ferme. Quasi mai giocavamo in casa, ci piaceva stare all’aperto. Non abbiamo mai avuto un videogioco. Ma non ci è mai pesato, perché ci divertivamo con le piccole cose. Non guardavamo nemmeno i cartoni animati perché la TV ci annoiava e dopo pochi minuti uscivamo a giocare nel giardino davanti casa. Lì avevamo l’altalena, i pattini a rotelle, la bicicletta, le macchinine e la cucina giocattolo con cui preparavamo delle merendine. Non ci serviva altro per divertirci.

Al di là del biathlon quali sono i suoi hobby?
Nel tempo libero pratico altre attività sportive, non riesco proprio a stare ferma. Mi piace l’arrampicata, lo scialpinismo e soprattutto il trekking in montagna, perché posso godermi dei passaggi fantastici. Una delle esperienze che più mi intrigano è dormire in rifugio o in bivacco, ma purtroppo ho poco tempo per farlo.

Qual è il suo percorso preferito?
Il mio posto del cuore è quello che dalle frazioni alte di Champorcher porta al rifugio lago Muffè e poi nel parco del Mont Avic, dove ci sono cinque laghi bellissimi e si può ammirare un panorama mozzafiato con sullo sfondo il Monte Cervino e il Monte Rosa.

Il mare, invece, le piace?
Si, ma non è una cosa che sento mia. Mi piace andare in vacanza, ma non riesco a stare molti giorni al mare perché mi stufo subito. So nuotare bene, ma l’acqua mi mette un po’ di paura se sono sola.

Sente mai il peso di non poter avere una vita più libera?
No, anche se a fine stagione dopo aver girato il mondo per quasi cinque mesi non vedo l’ora di tornare a casa per riabbracciare la mia famiglia e gli amici. Per via delle gare e degli allenamenti li vedo pochissimo durante l’anno e questo un po’ mi pesa, ma per fortuna ad aprile ho la possibilità di rivedere tutti.

Quando ha capito di poter intraprendere una carriera agonistica di alto livello, cos’è che è cambiato nella sua vita?
Fare biathlon ad alto livello è sempre stato il mio sogno fin da bambina, quando guardavo le gare della tedesca Magdalena Neuner in televisione. Era il mio idolo e volevo diventare come lei. Inoltre, ho sempre ottenuto buoni risultati e quindi il desiderio di continuare è stato automatico. Quando sono entrata in Asiva (il comitato valdostano degli sport invernali n.d.r.) ero adolescente. In quel momento lo sport non era il mio primo pensiero. Ma anche quegli anni mi hanno insegnato tanto, fossi stata troppo focalizzata sul biathlon probabilmente oggi mi sarei già ritirata.

Quanto è stato difficile conciliare sport, scuola e vita privata nel periodo dell’adolescenza?
Girare l’arco alpino italiano per fare gare mi piaceva molto perché eravamo un gruppo di amici e ci divertivamo un sacco. A differenza dei miei coetanei, durante l’inverno dovevamo fare alcune rinunce, per esempio uscire nel weekend. Ma non mi è mai pesato, perché ero determinata a raggiungere il mio sogno di diventare una biathleta professionista e visto che dedicavo la maggioranza del mio tempo a questo obiettivo, il resto passava in secondo piano. È un sacrificio, ma quando raggiungi i risultati per cui hai lottato in tante ore di allenamento è una soddisfazione immensa, che ti ripaga di tutti gli sforzi.

Le è mai capitato di pensare di mollare tutto e lasciare il biathlon?
Si mi è successo circa tre anni fa. Ero reduce da due stagioni negative e non mi riconoscevo più perché ero diventata quasi menefreghista. Anche se le competizioni non andavano bene, non ero dispiaciuta. Avevo perso la motivazione e gareggiare era diventato un peso.

Cosa le ha fatto cambiare idea?
A un certo punto ho pensato: «No, devi reagire!». Istintivamente ho preso il telefono e ho chiamato Gabriele Ghisafi, un mio ex allenatore dello sci club di Champorcher. Non so per quale motivo l’ho fatto, ma sapevo che lui aveva sempre creduto in me e, nonostante non lo sentissi da anni, era l’unica persona che poteva aiutarmi. Gabriele mi ha dato una spinta fondamentale per tornare ad allenarmi con motivazione e cambiare rotta. È stato l’unico a credere in me, quando nemmeno io ci credevo più.

Grazie alla sua crescita negli ultimi due anni, ha messo a tacere chi dubitava di lei. Cosa direbbe ora a queste persone?
In Italia, al di là del calcio, la cultura sportiva è bassa. In uno sport di nicchia come il biathlon se ottieni risultati vieni elogiato, ma appena sbagli una gara ti scavano la fossa. Lo sport, però, è fatto di alti e bassi. Un giorno puoi essere preciso al poligono, ma faticare sugli sci e viceversa. Inoltre, è sufficiente un’influenza per perdere performance. Bisognerebbe analizzare un’atleta nel suo complesso, non basandosi su un singolo risultato. Anche perché i piazzamenti non dipendono solo da te, ma anche dagli avversari. Non tutti possono essere Dorothea Wierer o Lisa Vittozzi, ma tutti mettono lo stesso impegno e la stessa dedizione.

Qual è il momento più difficile di una gara?
Il pre gara lo vivo serenamente. Poi in prossimità della partenza mi sale l’ansia, ma quella fa parte della vita di ogni atleta. Cerco di rimanere calma, perché se affronto una competizione con troppa tensione so già che andrà malissimo. L’eccessiva ansia toglie energie mentali e fa perdere la concentrazione. L’esperienza accumulata negli anni per fortuna mi permette di gestirla bene. Il momento più difficile è durante la prova, quando ti giochi un piazzamento importante nell’ultimo giro. In quel frangente devo ancora migliorare, soprattutto nelle gare con partenza a intervalli, mentre in quelle sull’uomo è più facile.

Ha qualche rito scaramantico che ripete sempre prima delle gare?
No, però ho la solita routine. Al mattino vado a correre in solitaria, perché voglio rilassarmi e immergermi nei miei pensieri. Non ascolto nemmeno la musica perché ho bisogno di ricaricarmi parlando con me stessa. Questo mi aiuta ad attivarmi in vista della gara.

Quale valore ha per lei l’oro mondiale in staffetta?
Non riesco a descriverlo, ancora non mi rendo conto di ciò che abbiamo fatto. Dopo la mia prova, non sono riuscita a guardare la gara. Sono andata a cambiarmi, senza portare il telefono con me. Ogni tanto buttavo un occhio, ma prima di seguire la competizione ho fatto il defaticamento senza avere alcun aggiornamento. Ho guardato una delle due serie di Hannah Auchentaller e poi sono tornata negli spogliatoi. Ero tesissima. Quando ho visto che Lisa Vittozzi era in ottima posizione ho pensato: «La medaglia dovrebbe esserci». Lì ho iniziato a fantasticare, sperando nell’oro. Dopo l’ultimo poligono sono corsa ad abbracciare i fisioterapisti che erano alla partenza. È stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita, lo porterò sempre dentro di me.

A Oberhof ha sfiorato anche la medaglia personale. Cosa ha pensato nell’ultimo giro dell’Individuale?
Gli allenatori in pista mi urlavano: «Sei terza!». Mi sembrava impossibile, invece era realtà. Mirco Romanin, in particolare, mi ha caricata tantissimo. Non so come non abbia perso la voce quel giorno. Nell’ultimo giro ho cercato di tenere duro, ma forse ho pagato una partenza troppo forte. Mi sono mancate le energie. Ma per me quel quarto posto equivale ad aver vinto una medaglia, perché mai avrei pensato di arrivare quarta a un Mondiale. E anche se nessuno se lo ricorderà, io lo porterò sempre nel mio cuore.

Nel 2026 le Olimpiadi Invernali saranno in Italia. Quanto è forte la motivazione di raggiungere questo traguardo? E quanto crede che sarà difficile qualificarsi per i Giochi?
Gareggiare in casa a un’Olimpiade sarebbe pazzesco. Purtroppo nella rassegna a cinque cerchi sono solo quattro i posti a disposizione. Però io devo concentrarmi su di me e cercare di arrivarci nella miglior versione possibile di me stessa. Se non sarà sufficiente, sarò comunque orgogliosa del mio lavoro.

Qual è il suo sogno nel cassetto?
Vincere una medaglia individuale alle Olimpiadi di Milano-Cortina. Questo è lo stimolo principale che mi spinge ad allenarmi e migliorare di giorno in giorno. È importante, però, rimanere con i piedi per terra e fissare obiettivi ogni volta più ambiziosi, che vanno raggiunti a step. Non voglio illudermi, ma lavorerò duramente affinché possa diventare realtà.

Christian Leo Dufour

Young Reporter per il CIO alle Olimpiadi Invernali Giovanili di Gangwon 2024 e collaboratore del fattoquotidiano.it. Valdostano in trasferta a Milano. Motivato e sempre pronto a fare nuove conoscenze. Laureato in comunicazione, media e pubblicità alla IULM. Il mio sogno è il giornalismo sportivo. L'ambizione: far conoscere gli sport invernali, il ciclismo e tutte le discipline olimpiche a un pubblico sempre più ampio

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