Chi sbaglia paga. Pare essere questa la nuova filosofia della Milano nerazzurra. A rappresentarla in pieno Beppe Marotta, da gennaio amministratore delegato dell’area sportiva dell’Inter. Una novità assoluta per la società e soprattutto per i giocatori, che nell’era Moratti sono sempre stati abituati ad essere coccolati e viziati. Premiato il 18 febbraio come personaggio dell’anno 2018 GLGS – USSI Lombardia, Marotta ha confessato di sentirsi, all’interno della società, come un «padre di famiglia che deve tenere il pugno duro per far rispettare le proprie regole».
IL CASO NAINGGOLAN
Il primo segnale della nuova era Marotta è arrivato con il caso di Nainggolan. Il belga infatti, famoso per il suo carattere ribelle e la sua vita privata spesso fatta di eccessi, è stato il primo a sperimentare su se stesso la nuova rotta societaria. Alla vigilia di Inter- Napoli, infatti, la squadra nerazzurra ha sospeso il centrocampista per motivi disciplinari. Una decisione dura, mirata a colpire l’ennesimo ritardo del belga ad Appiano Gentile. Sicuramente non è stata la prima volta che l’Inter ha preso un provvedimento disciplinare nei confronti di un suo giocatore. Ma è stata la prima volta che lo ha fatto con questa rapidità e trasparenza, comunicandolo direttamente, ancor prima che le voci iniziassero a circolare. È il metodo Marotta: duro, efficace, fatto di regole precise e da rispettare. Lo stesso metodo che il dirigente usava anche alla Juventus, con i risultati che tutti conosciamo.
LA POLEMICA ICARDI
L’Inter di Marotta non prevede dunque zone d’ombra o di privilegio. Chi sbaglia, chi non si comporta da professionista e manca l’obiettivo, ne subisce le conseguenze. È ciò che sta accadendo a Mauro Icardi che, il 19 febbraio arriva al traguardo delle 26 candeline con un anno in più e una fascia da capitano in meno. Sì, perché con Beppe non si scherza e se la società nerazzurra si è sempre dimostrata comprensiva nei confronti dell’attaccante argentino e delle sue continue richieste di rinnovo, l’ex a.d. juventino non ci sta. Troppi i bocconi amari che l’Inter ha dovuto ingoiare in questi anni e si sa che, tirando troppo, la corda si spezza. Soprattutto se a giocare al tiro alla fune non ci sono né il paziente Moratti, né il tranquillo Zanetti, ma un decisionista come Marotta.
Le prime crepe nel rapporto tra Icardi e l’Inter furono causate dalla biografia del calciatore argentino. Il libro causò non pochi problemi con i tifosi, che contestarono la ricostruzione della lite col giocatore avvenuta nel 2015 dopo Sassuolo- Inter. Al termine della gara, l’allora capitano lanciò ai suoi sostenitori la maglia, che fu immediatamente rispedita al mittente. Il fatto causò una bufera in casa Inter e la società pensò di togliere la fascia all’argentino: un pensiero che rimase tale. Icardi infatti se la cavò solo con una multa salata.
Un’altra frattura importante risale ad appena prima della partita di Champions League contro il PSV. Anziché rimanere concentrato sulla gara che lo aspettava, Icardi preferì andare a vedere il superclasico tra Boca – River a 48 ore dalla partita più importante per tutto il mondo nerazzurro.
Non è tutto. Dopo le vacanze di Natale, l’attaccante rientrò a Milano il 9 gennaio, un giorno in ritardo rispetto ai compagni. La società tentò il pugno di ferro con una multa da 100mila euro, provvedimento di cui Wanda Nara – moglie e agente del giocatore – continua a negare l’esistenza.
La società nerazzurra non è mai stata contenta di come la signora Icardi rendesse pubbliche le trattative che sarebbero dovute rimanere al riparo dai media e dai social. Le recenti insinuazioni di un mancato passaggio alla Juve, le critiche – non troppo velate – lanciate ai compagni del marito, le continue richieste di rinnovo hanno spezzato la già sottile fune che legava Icardi all’Inter. E a tagliarla del tutto ci ha pensato il solito Marotta. Il 13 febbraio un comunicato ufficiale assegna a Samir Handanovic la fascia da capitano. Il periodo in cui erano i giocatori a dettare legge nelle decisioni societarie dell’Inter è ufficialmente finito.
I PRECEDENTI
Non sono solo le mogli nelle vesti di agenti dei mariti a creare dissapori tra calciatori e società ma, più in generale, l’intera categoria dei procuratori. Sono almeno due i casi recenti rimasti nella memoria collettiva, che hanno determinato lo scontro tra dirigenza e giocatore.
Nel 2016 il passaggio record di Higuain dal Napoli alla Juventus, al di là della ferma volontà del calciatore di traferirsi ai bianconeri, è stato influenzato anche dai continui attriti tra De Laurentiis e Nicolas Higuain, fratello e agente del Pipita. Il procuratore, infatti, ha sempre accusato il presidente azzurro di non aver mantenuto le promesse fatte negli anni al bomber argentino. Una disputa che ha lasciato gli uffici di Castel Volturno per approdare nelle aule di tribunale, dove tuttavia De Laurentiis si è preso la sua rivincita.
Nell’estate del 2017 è stato invece il Milan ad essere protagonista di un duro scontro con un procuratore. Si tratta di Mino Raiola, agente del giovane portiere Gianluigi Donnarumma, che chiese una cifra esorbitante per far firmare il rinnovo al giocatore. Raiola contava sul fatto che, mancando solamente un anno al termine del contratto, il Milan non avrebbe potuto ricavare una somma considerevole dalla vendita del portiere e pertanto avrebbe accontentato qualsiasi richiesta fosse stata avanzata dal giovane talento. Una mossa scorretta? Forse, ma il tempo ha dato ragione all’agente. Donnarumma ha rinnovato il contratto a 6 milioni a stagione, a cui si aggiunge un milione netto da destinare al fratello Antonio, diventato il terzo portiere dei rossoneri.