Dal sesterzio al Bitcoin. Vecchie e nuove dimensioni del denaro

Dal sesterzio al Bitcoin. Vecchie e nuove dimensioni del denaro. È questo il titolo del libro redatto da Angelo Miglietta e Alberto Mingardi, presentato lunedì 17 febbraio all’Università IULM di Milano.

Un saggio che si pone l’obiettivo di raccontare l’evoluzione storica del sistema economico in tutte le sue dinamiche e sfaccettature. Dalla riforma monetaria di Carlo Magno basata sull’argento alla sospensione del gold standard dopo le due guerre. Arrivando poi all’introduzione delle banconote con l’emancipazione graduale dell’economia dei metalli preziosi fino ai pagamenti elettronici e ai Bitcoin. A moderare l’incontro il Vicedirettore del Corriere della Sera Daniele Manca.

Una presentazione a cui hanno preso parte il Vicedirettore Generale della Banca d’Italia Federico Signorini, il Consigliere della Corte dei Conti Natale D’amico e Roberto Mazzotta, banchiere ed ex Presidente dell’Istituto Luigi Sturzo. A dare il via al dibattito il Rettore della IULM, Gianni Canova, che nell’introdurre gli ospiti, ha ricordato che il libro in questione è opera di due docenti IULM, in un 2019 che ha visto il termine denaro come parola chiave dell’anno accademico: «Questo libro è la degna conclusione di un percorso che ha segnato in positivo la vita dell’ateneo».

I due autori, amici decennali, hanno dato luce a un progetto che nasce dal dipartimento di scienze umane dell’Università. Il Professor Miglietta ha voluto sottolineare come nessuna disciplina alla IULM sia studiata unicamente per le sue caratteristiche verticali ma «nelle sue contaminazioni e sfaccettature, in cui esaminiamo tutte le varie problematiche. Realizziamo sempre quella commistione di cultura e di saperi».

Oggetto nelle tasche di chiunque, il denaro è in realtà un costrutto teorico e affascinante, centrale nella vita umana politica e sociale.

Iperinflazione

È noto che l’inflazione alteri i prezzi relativi rendendo inefficienti le decisioni dei consumatori. Al tempo stesso complica le scelte di risparmio e redistribuisce in maniera arbitraria redditi e ricchezze. E se, utilizzando le parole di Luigi Federico Signorini, si dicesse che l’iperinflazione produce i medesimi effetti ma in misura esasperata? Secondo Signorini non sarebbe un errore ma mancherebbe comunque qualcosa.

L’inflazione colpisce anche e soprattutto il sistema sociale, prima ancora degli scambi economici. La Germania degli anni ’20 ne è la testimonianza.
Signorini concorda con l’economista Eichholz e il suo saggio, inserito nel libro, nel quale sostiene che «chi non capisce il nesso tra iperinflazione e nazismo o è cieco, o non ha mai avuto niente a che fare con gente che ha vissuto quel periodo».

Nel 1923, quando il vecchio marco venne cambiato con il nuovo Rentenmark, i prezzi crebbero esponenzialmente di giorno in giorno e di ora in ora. Ne furono esempio i quotidiani del tempo: poteva capitare che la mattina uscissero con un prezzo e nell’edizione della sera ne avessero un altro. L’iperinflazione dava vita a una situazione altalenante di forte instabilità economica.

«Il prezzo di copertina di un quotidiano nella Germania anni ’20 dell’iperinflazione, a fine giornata poteva essere diverso tra l’edizione del mattino e quella della sera». L.F. Signorini

Il marco funzionava ancora come mezzo di scambio, se così si può dire: molte sono le foto che ritraggono valige gremite o carriole piene di monete, trascinate per pagare i beni di prima necessità.
La difficoltà fu tanta, forse indescrivibile. Risultava impossibile infatti valutare i giusti prezzi di qualunque cosa fosse sul mercato.

Il Vicedirettore Generale della Banca d’Italia racconta una storia del suo passato, portando come testimonianza indiretta di quel tempo l’esperienza del nonno tedesco, trasferitosi in Italia a causa dell’iperinflazione.
Il fenomeno aveva distrutto infatti, in quei tempi, i rapporti sostanziali tra comunità, economia e società.

Le banconote vecchie di qualche mese venivano sovrastampate e questo rendeva il paese un paradiso fiscale per i falsari che dovevano comunque restare perennemente al passo visto il repentino cambiamento della valuta monetaria.

Una banconota da un miliardo di marchi ricavata sovrastampando una banconota da mille marchi.

Le riforme monetarie

Signorini ci tiene a mostrare la sua posizione contro la diffusa nostalgia dell’oro che sembra pervadere alcuni capitoli del libro.
A tal proposito vi sono obiezioni fondamentali. Una tra queste quella relativa alla teoria metallica coincidente con un’economia statica.
Infatti se tornassimo a fabbricare monete d’oro e d’argento presto si esaurirebbero tutte le risorse della Terra.

«Quale meccanismo assicura che l’offerta di metallo prezioso terrà il passo con le esigenze della circolazione monetaria? Nessuno».

Nel I sec d.C in circolazione c’era l’aureo e il denario d’argento.  Dal II secolo per finanziare l’incremento delle spese militari, le monete coniate aumentarono e di conseguenza diminuì la finezza e la quantità di argento contenuto, fino a che non si approdò all’utilizzo del rame.
Tra III e IV secolo Diocleziano e Aureliano introdussero altre riforme che non riuscirono però a porre fine al degrado, come l’Edictum De Pretiis Rerum Venalium, che stabiliva i prezzi per decreto.
Tanti furono comunque coloro che nella storia protestarono in merito allo svilimento della coniazione della moneta, soprattutto sotto i vari re di Spagna nel XIII secolo.

Ma il punto da cogliere è che la prevenzione dell’abuso richiede leggi e istituzioni che frenino il potere sovrano. È necessaria dunque l’esistenza di un sistema di rule of law che limiti i poteri del governo.

Nell’ultimo decennio del ‘700 la riforma monetaria di Carlo Magno fu invece il riferimento del sistema monetario europeo. Vennero coniate solo monete d’argento. Lira e soldi esistevano invece  in qualità di unità di conto. A poco a poco però il denaro venne coniato sempre più con un contenuto ridotto di metallo prezioso; sia per l’ingordigia dei sovrani che per il finanziamento di guerre inutili o spese folli.

L’economista Carlo Maria Cipolla sostenne però che l’offerta d’argento fu spesso insufficiente a soddisfare la domanda crescente di moneta.
Lo svilimento del denaro permise all’Italia che l’inelasticità dell’offerta di argento esercitasse conseguenze deflazionistiche in grado di frenare lo sviluppo economico iniziato nel XII secolo.

Gold Standard

Ma nella pratica il gold standard, il sistema aureo monetario, funzionò diversamente dalla teoria in quanto  troppo frazionario.
La sospensione del gold standard può essere ricollegata all’orrore causato dalla Prima Guerra Mondiale e il tentativo di ripristinarlo tra le due guerre fallì anche a causa delle difficoltà intrinseche del sistema. Secondo molti studiosi questa fu causa e aggravamento della Grande Depressione.

I nostalgici dell’oro devono dunque tenere in considerazione anche l’utilità pratica: i potenti hanno sempre potuto, all’occorrenza, abusare della propria posizione e svilire la moneta.

Da sinistra: Mazzotta, Manca, Signorini e D’Amico.
Dalla banconota ai pagamenti elettronici. E se fossero le banche centrali a introdurre una moneta elettronica?

La moneta di metallo prezioso ha lasciato il posto alle banconote. Quest’ultime però sono state ormai sostituite dalla moneta bancaria, gestita e movimentata oggi per lo più in forma elettronica. La moneta moderna, specialmente in Europa, è in gran parte privata. Secondo i dati del Red Book della Banca dei Regolamenti Internazionali, nel 2018 banconote e monete rappresentavano solo il 15% del comparto monetario ristretto.

Signorini continua il suo intervento sottolineando come il successo della moneta bancaria sia dovuto alla maggiore sicurezza e facilità con cui può essere usata per effettuare pagamenti rispetto al contante.
Oggi tutti usiamo moneta elettronica, dai bonifici da casa alle carte di credito per pagare il taxi o fare acquisti su Internet. In alcuni paesi del Nord Europa il denaro contante sta addirittura per sparire. Dal momento in cui la gente non usa quasi più, almeno direttamente, la moneta della banca centrale, ci si è iniziati a domandare se non sarebbe opportuno che sia la stessa banca centrale a offrire la moneta elettronica per i pagamenti al dettaglio. La proposta di una central bank digital currency (CBDC) è in parte la reazione al moltiplicarsi di strumenti di pagamento elettronici che minacciano di prendere il posto di quelli basati sul circuito finanziario tradizionale.

E non parliamo soltanto di Bitcoin che, come spiega Signorini, ancora non hanno svolto alcun ruolo di rilievo nelle transizioni commerciali. Sono serviti solo, per un breve periodo, come illusione speculativa. L’alto costo energetico, la limitata scalabilità e la scarsa trasparenza della struttura di governance ne hanno infatti impedito l’accettazione su larga scala come strumento per le transazioni. Lo stesso meccanismo che avrebbe dovuto farne un oro digitale è servito a innescare e rafforzare tutti quei processi puramente speculativi che hanno determinato la volatilità estrema delle quotazioni di Bitcoin.

Criptovalute e stablecoins

Negli ultimi tempi la sfida è sembrata arrivare semmai dalle cosiddette stablecoins, come il progetto Libra avanzato da Facebook.

A differenza delle cripto-valute, una stablecoin è coperta concettualmente da attività investite in portafogli a breve termine con depositi e titoli in una o più valute. «Il vantaggio di una stablecoin – ha spiegato Signorini – può consistere nel legame con una rete estesa, come Facebook nel caso di Libra, assicurando una copertura globale con una base di partenza fatta di miliardi di utenti. La privatizzazione della moneta è temuta da molti, ma a noi questo non sembra un timore giustificato, visto che in tanti Paesi il grosso della moneta è già privato».

La prospettiva delle stablecoins ha dato a molti l’idea che debba esistere un’alternativa di moneta elettronica offerta direttamente dalle banche centrali. Ed è uno dei motivi per il quale quest’ultime ci stanno riflettendo seriamente. Ma ci sono anche altre ragioni. L’uso eccessivo del contante ad esempio, desta preoccupazione per il potenziale connesso all’evasione fiscale e riciclaggio.

Alcuni paesi, come l’Italia, limitano l’uso del contante consentendolo solo per pagamenti inferiori a una certa soglia. Se si abolisse il contante la banca centrale si liberebbe dal limite inferiore ai tassi di interesse. Potendo imporre così tassi negativi su ogni forma di moneta. Il dibattito è aperto. La CBDC presenta in realtà alcuni elementi critici.

L’anonimità garantita dal contante, come ricordato da Signorini, ha purtroppo due facce difficilmente scindibili: protegge la privacy delle persone e facilità però l’esecuzione di transazioni contrarie alla legge. In più la possibilità di aprire conti correnti privati presso la banca centrale accrescerebbe il rischio di fuga dai depositi bancari e potrebbe mettere in discussione la capacità delle banche di finanziarsi con depositi al dettaglio.

Alle criticità si potrà sicuramente trovare rimedio in futuro. Il passaggio dalla carta alla transazione elettronica è ineluttabile e le banche centrali dovranno continuare ad adattarsi.

Perché dovremmo continuare a occuparci di denaro?

Dopo l’intervento di Signorini, la discussione continua sul denaro e sulla sua complessa architettura. Perché dovremmo continuare ad occuparci così tanto di denaro in un momento nel quale le carte elettroniche sono il futuro? Alla domanda risponde prontamente Natale D’amico: «Ce ne occuperemmo meno se lo Stato non se ne volesse occupare. L’inflazione è un fenomeno ovviamente tragico, ma dipende da che punto di vista ti poni. Per i grandi debitori l’inflazione non è un fatto così tragico. E oggi chi sono questi grandi debitori? Gli Stati».

D’Amico spiega poi che si dovrebbero mettere regole che separano l’esercizio della politica monetaria dalla politica del consenso: «Non abbiamo inflazione ma abbiamo tassi di interesse negativi. Chi ci guadagna? I debitori e quindi lo Stato. I banchieri dicono che bisogna fare meno deficit ma ci si indebita per effetto delle politiche monetarie che stanno determinando livelli di tassi negativi che favoriscono lo Stato debitorio. E quando la politica monetaria proverà ad alzare questi tassi si vedranno i frutti di queste politiche».

Le persone usano sempre meno la moneta, in favore dell’elettronico ma il contante ha il vantaggio che «Non tiene memoria. Ed è un vantaggio gigante rispetto alla funzione monetaria. Il rischio – ha concluso D’Amico – è la solita illusione: credere che se centralizziamo il sistema allora le cose andranno bene. I costi delle piccole transizioni sono inefficienti. Le commissioni sono inutili visto che ora tutti abbiamo lo smartphone che ci consentirebbe di evitare queste transizioni».

Chi decide quanto vale il denaro?

Alla domanda posta da Daniele Manca prende la parola Roberto Mazzotta, banchiere ed ex Presidente dell’Istituto Luigi Sturzo che in risposta torna sul libro di Mingardi e Miglietta affermando che i due hanno espresso posizioni libertarie me del tutto comprensibili. E se nel 1913 il valore del dollaro è diminuito del 95% non fu così sorprendente per via di guerre e crisi.

Nel libro ci sono anche un paio di capitoli che se la prendono con le banche centrali e Mazzotta scherza: «Non avete tutti i torti». Le banche centrali hanno acquistato un’ autorevolezza tale che è difficile pensare che siano subordinate agli Stati.

«Noi italiani siamo disgraziati con il debito pubblico e virtuosissimi con quello di imprese e famiglie. Pretendere che questi problemi possano essere risolti dalle banche centrali è un errore tecnico perché tutto questo non compete la politica monetaria, che fa da assorbimento sperando che nel frattempo intervenga qualcosa di meglio». R.Mazzotta

Gli autori di questo libro dicono qualcosa che non piacerà certamente a chi si occupa di banche centrali o a chi le gestisce. «Continuare a pensare che ci sia su tutte queste cose un pensiero unico della tendenza convenzionale, senza capire che siamo davanti a problemi che richiedono un ribaltamento di logiche, sarebbe un peccato. Qualsiasi stimolo a vedere questi aspetti in maniera non convenzionale è da lodare e sostenere», ha concluso Mazzotta.

Nicolo Rubeis

Giornalista praticante con una forte passione per la politica, soprattutto se estera, per lo sport e per l'innovazione. Le sfide che attendono la nostra professione sono ardue ma la grande rivoluzione digitale ci impone riflessioni più ampie. Senza mai perdere di vista la qualità della scrittura e delle fonti.

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