Pioltello, la scuola multietnica che accoglie i piccoli ucraini

La facciata della scuola è coperta dai disegni. Messaggi di pace, inclusione e solidarietà che rispecchiano l’identità dell’istituto. Il Mattei-Di Vittorio di Pioltello è così: un luogo multietnico in cui 2000 bambini provenienti da tutte le parti del mondo convivono in serenità, all’insegna dell’integrazione. Un’idea di scuola fedele al quartiere nel quale è inserita, il Satellite, cuore di culture diverse ma perfettamente capaci di coesistere.

Da qualche settimana ha accolto undici bambini ucraini. Faticano ancora con l’italiano, ad aiutare gli insegnanti nella traduzione sono gli altri piccoli. Alina, 9 anni, che ha iniziato la scuola primaria a Pioltello. E gli altri moldavi che comprendono la lingua e provano a facilitare i compagni durante i primi giorni di scuola.

Modello vincente

Il Mattei-Di Vittorio ha nove plessi divisi tra infanzia, primaria e medie. L’istituto ospita bambini di 74 etnie diverse, alcune classi sono interamente composte da bambini stranieri. La percentuale di piccoli italiani è al 52%. Un modello vincente di integrazione e scambio culturale, fin dai primi anni di scuola. L’uso della lingua inglese, la condivisione di esperienze e tradizioni, il gioco nell’enorme cortile verde dell’istituto per unire il gruppo.

Disegno scuola Pioltello

«I bambini imparano a socializzare e ad accettare le diversità. Ai percorsi didattici tradizionali aggiungiamo anche la comprensione delle lingue dei Paesi da cui i piccoli provengono». Salvatore Longobardi è il dirigente scolastico dell’istituto. «Abbiamo alunni eritrei, somali, peruviani, egiziani, marocchini, romeni. Un melting pot di nazionalità che è il valore aggiunto della nostra scuola».

Ivan Taurino, insegnante di religione, spiega le prime settimane dei bambini ucraini: «Stiamo attenti alla parte relazionale, ci concentriamo sulle emozioni e sulla socializzazione. Li vedo sereni, sono felici di essere a scuola. Probabilmente, non sono troppo spaventati perché arrivano da zone non direttamente coinvolte nel conflitto, anche se lasciare la propria casa e le abitudini è comunque difficile».

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