La fuga da Kiev e due storie di rinascita

7 marzo. La guerra in Ucraina è iniziata da quasi due settimane. Le esplosioni sono continue. Anche Kiev, capitale europea, è stata colpita e tra le mura della casa di Ruslana, giornalista 46enne, originaria di Kiev, rimbomba il suono delle esplosioni e degli aerei militari.
Per questo, lei, assieme alla figlia Kira di 11 anni e al loro gatto, hanno deciso di prendere un treno e poi una macchina per andare verso la Slovenia e, infine, in direzione Italia.

Ucraina
Ruslana con la figlia Kira di 11 anni in Piazza Duomo a Milano

Da pochi giorni, per Ruslana e Kira è iniziata la loro nuova vita a Milano. Suo marito, Dennis, giornalista televisivo e gestore del canale ICTV Channel, è rimasto invece a Kiev. «Ora più che mai la gente ha bisogno di notizie – spiega Ruslana – Mio marito ha insistito affinché lasciassimo l’Ucraina. Noi non volevamo andarcene, la nostra vita era tutta lì». Abbraccia la figlia Kira, che sta bevendo un succo alla mela seduta a fianco a lei in alcuni tavolini in piazza Duomo. La bambina ha uno sguardo disorientato ma sembra serena, ora. Ha sulla guancia sinistra il disegno della bandiera ucraina, due strisce di matita per gli occhi: gialle e blu. Sorride alla sua mamma quando si ferma nel discorso.

«Ogni giorno, le bombe e i razzi si avvicinavano sempre più alla nostra casa e vivere era diventato inquietante. Abbiamo imparato presto come comportarci – rivela Ruslana – Quando udivamo le sirene e gli spari, lasciavamo il centro della casa e ci nascondevamo nei posti sicuri». La loro casa non aveva un bunker. Non era stata progettata in vista di un ipotetico conflitto, ma d’altronde nessuno avrebbe mai pensato, nel XXI secolo, di dover anche solo menzionare una (quasi) terza guerra mondiale. Non appena scattava il segnale di allarme, perciò, lei e la sua famiglia si nascondevano nelle cantine dei vicini, a volte anche nelle metropolitane, che erano comunque aree pericolose perché non avevano una seconda uscita e non erano ventilate. «Delle volte, nemmeno uscivamo di casa, nonostante le sirene. Preferivamo nasconderci nelle aree della nostra abitazione che credevamo più sicure. Sia perché spesso nei luoghi di ritrovo si stava tutti stipati e le condizioni igieniche, lì sotto, erano devastanti e soprattutto perché la nostra paura più grande era quella di imbatterci nei soldati russi».

Il marito di Ruslana, continua a lavorare dal bunker e tenere aggiornato il loro canale televisivo locale. Saperle al sicuro avrebbe permesso anche a lui di poter lavorare più concentrato e di non stare in pensiero per loro. «Spesso io e Kira lo videochiamiamo. Sta bene lui anche se i continui bombardamenti stanno causando a tutti grandi danni psicologici. Il rumore di un razzo, il boato di uno sparo anche se a km di distanza non lo scordi». Sposta lo sguardo sulla piazza, dove la gente corre  veloce per le sue commissioni della mattina sotto il sole che scalda e sembra dare un po’ di conforto a
questo vissuto drammatico.

«Milano è molto bella – prosegue Ruslana – Appena siamo arrivate qui, io e Kira abbiamo subito notato una grande somiglianza con Kiev. La nostra città è molto grande, caotica come Milano e anche gli edifici sono simili. Ci siamo trovate bene fin da subito. Forse Milano un po’ ci aspettava?». Mamma e figlia in questo momento sono ospiti da una famiglia di volontari milanesi a Piola. Kira, appena dopo le vacanze pasquali ha iniziato ad andare a scuola, nell’Istituto Antonio Stopani. Dove ha già fatto amicizia con alcuni suoi nuovi compagni, come Sara, una bambina cinese, Sofia, ucraina ma nata in Italia e poi Alex che è sempre ucraino ma vive qui da 5 anni. «Io invece – prosegue Ruslana – sto ancora aspettando il permesso di soggiorno. La mattina porto Kira a scuola. Poi corro al parco, mi dà pace e tranquillità questa città. Poi sento per telefono alcuni amici ucraini e italiani per rimanere sempre aggiornata. Due volte a settimana poi vado a fare lezioni di russo alla figlia della Signora Polimnia, la prima famiglia che ci ha ospitate a Milano e il sabato insegno nella scuola sabatica ucraina. Nel resto del tempo continuo a studiare autonomamente l’italiano e mi prendo cura del gatto. Io e mia figlia Kira ci stiamo appassionando alla storia dell’Italia e di Milano e abbiamo iniziato a visitare i musei della città».

Una storia di rinascita, un’esperienza ricca di dolore e voglia di riscatto. Un esempio di resilienza, quello di Ruslana, della figlia Kira e del marito Denis, che presto le raggiungerà a Milano. Di fronte alla guerra che ha cercato di metterli in ginocchio hanno scelto la forza e la determinazione di ricominciare da capo. In un’altra città, ma con la stessa voglia di vivere, lasciata a Kiev.

«Nulla sarà come prima, ma voglio tornare a casa lo stesso»

Lyuba è una mamma forte. Il suo unico desiderio, al momento, è tenere al sicuro i suoi figli. «Li voglio proteggere. Di fronte alla guerra metti i bambini davanti a tutto», racconta con gli occhi lucidi. È in Italia da un mese, scappata dall’Ucraina insieme alla famiglia. Vive in un piccolo appartamento a Monza insieme alla mamma, alla sorella di 13 anni, al marito, al cane e ai suoi due figli: Renata, di 4 anni, e Miron, di 7 mesi.

Mamma Lyuba che abbraccia la figlia di 4 anni, Renata

Il proprietario dell’alloggio, trovato su Airbnb, non le chiede i soldi dell’affitto: «Quando ha scoperto che siamo ucraini ha detto che non voleva essere pagato». Ma nonostante qui si trovi bene, Lyuba vuole tornare a casa sua. Appena sarà possibile, vuole fare ritorno nella sua Kiev, dove è rimasto il padre invalido. «Non poteva fuggire con noi, vive lì con i suoi due cani. Fortunatamente sta bene, anche se quando Lyuba in Ucraina in servizio come parla con la mamma lo sento piangere».

In Ucraina Lyuba era una poliziotta. Un lavoro che voleva fare fin da piccola, quando le piaceva «lottare per la giustizia». Per un anno ha anche fatto parte dell’esercito, ma nessuno li ha mai preparati ad una guerra. «Il nostro Paese non ha mai voluto la guerra – spiega convinta – anche il conflitto in Donbass ci sembrava un qualcosa di politico, che mai pensavamo potesse estendersi e diventare realtà».

Ecco perché il 24 febbraio, quando si è svegliata con il suono delle bombe, non voleva credere fosse vero. «Solo quando ho visto i soldati e i posti di blocco ho capito che non era uno scherzo». Da lì la decisione di lasciare la città e rifugiarsi nella seconda casa a Drahobrat, località montana nell’est dell’Ucraina, vicina al confine con la Romania. «Siamo stati due settimane, poi le sirene hanno iniziato a suonare anche lì e abbiamo deciso di lasciare il Paese». Dopo un lungo viaggio in macchina, Lyuba è arrivata in Italia.

«Abbiamo girato la penisola in cerca di una casa, ma essendo una grande famiglia, con due bimbi piccoli e un cane, non abbiamo trovato niente». Non sapendo quando finirà la guerra, in attesa della possibilità di tornare a casa sua, continua a cercare qualcosa qui. «Non vogliamo vivere a spese degli italiani. Mi sono informata per un posto in Polizia, ma senza cittadinanza non posso lavorare». Anche il marito, Sergii, sta cercando lavoro: in Ucraina aveva un’impresa edile, ma qui «servono molti soldi per avviare un’attività».

La figlia Renata e la sorella Sofi non sono ancora iscritte in una scuola: «Sofi è molto spaventata. L’altro giorno, al parco giochi, alcune persone vicino a noi hanno stappato una bottiglia di prosecco. Quel suono, nella sua testa, le ha ricordato il rumore delle bombe».
Nel frattempo Lyuba continua a rimanere in contatto con gli amici e i colleghi rimasti a Kiev. «La situazione non è buona, la città non è sicura».

Lei, come tutti gli ucraini, continua a sperare che tutto finisca presto. Perché nonostante sia consapevole che «nulla sarà come prima», vuole tornare a casa per ricominciare la sua vita.

Francesca Daria Boldo

Nata e cresciuta tra le Dolomiti Bellunesi, Patrimonio UNESCO, classe ’96. Scorpione di segno e di fatto: empatica, estroversa ed energica (un po' rivoluzionaria). Laureata in Filosofia e specializzata alla magistrale di Editoria e Giornalismo all’Università degli studi di Verona, collaboratrice del quotidiano scaligero L’Arena e giornalista praticante per MasterX. Fin da piccola, annotare su un foglio bianco il mio punto di vista sul mondo e interrogarmi su mille perché è sempre stato il mio passatempo preferito e lo è anche adesso. La mia ambizione? Diventare una giornalista televisiva. Quando? Senza fretta ma senza sosta.

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