Per le strade di Milano una manifestazione con migliaia di persone. Ricordano Davide “Dax” Cesare, il giovane ucciso vent’anni fa da simpatizzanti di estrema destra. In piazza centri sociali, collettivi studenteschi, spazi che difendono il diritto alla casa, gruppi femministi e queer, società di sport popolare. Insieme a loro sindacati di base ed esponenti di partiti di sinistra radicale. In fondo al corteo, gli anarchici insurrezionalisti.
Il 18 marzo a Milano c’erano quasi tutte le realtà antagoniste milanesi, divise in “spezzoni” in base alla loro attività principale. Ma cos’è questo movimento? Per cosa lotta? E perché questa volta è sceso tutto unito a manifestare?
Gli spazi sociali
Buona parte dell’antagonismo è organizzato in spazi sociali: non solo case occupate e centri sociali, ma tutti i luoghi che i militanti cercano di togliere dalle dinamiche commerciali e di usare a scopi comunitari. A Milano, ciò avviene in gran parte tramite occupazione, talvolta mediante associazione.
Oltre a organizzare manifestazioni, questi spazi ospitano diversi progetti interni: palestre popolari, sale prove, concerti, presentazioni di libri, proiezioni di film, momenti di dibattito aperto.
I centri sociali
Tra gli spazi spiccano i centri sociali. Secondo una distinzione classica, alcuni di questi sono “disobba”: compiono azioni di disobbedienza civile per avanzare riforme, hanno una gerarchia interna informale e giustificano la violenza contro le autorità solo come legittima difesa. Poi c’è l’area dell’autonomia: queste realtà vogliono costruire spazi autonomi per organizzare un movimento rivoluzionario, hanno una forma più debole di gerarchia e usano la violenza anche come strumento di provocazione, ma mirata contro obiettivi strategici. Infine, gli insurrezionalisti (o “insu”) mirano a scatenare un’insurrezione armata, rifiutano ogni forma di gerarchia interna e giustificano la violenza contro le autorità.
Secondo Gabriele, militante del Baraonda di Segrate, «questa distinzione è nata per le mobilitazioni contro il G8 di Genova 2001, ma si sta sempre più assottigliando, soprattutto a Milano. Tranne che per gli anarchici, quasi sempre legati all’area insurrezionalista».
Nel milanese, i principali spazi anarchici-insu sono Villa Occupata, in zona Affori, e Galipettes, ora ospitato da Cuore in Gola. Anarchici estranei alla galassia insurrezionalista sono invece i militanti del Ponte della Ghisolfa, in viale Monza.
A metà tra il mondo dell’autonomia e della disobbedienza ci sono, tra gli altri, il Baraonda, a Segrate, ZAM, nei pressi di piazza Abbiategrasso, e LOCK, in zona Rubattino. Celebri anche il Lambretta, vicino a Centrale, e il Cantiere, a Lotto: forze trainanti dell’antagonismo milanese per molti anni, si stanno ora ridimensionando in termini di spazio, attività e persone. In zona Greco c’è il Leoncavallo: riconosciuto da tutti per la sua lunga storia, è poco attivo nel movimento antagonista.
Il diritto alla casa
Del mondo antagonista fanno parte anche le realtà che difendono il diritto alla casa. Come afferma Gabriele, «è una battaglia molto forte oggi a Milano, a causa della gentrificazione degli ex quartieri popolari. Le abitazioni dell’edilizia residenziale pubblica vengono cedute al mercato privato quando diventa legalmente possibile, con l’idea di portare a Milano chi può portare soldi a Milano».
Legato alle occupazioni abitative in via dei Transiti c’è T28, mentre quelle in via Gola vengono difese da Cuore in Gola. Poi ci sono i vari comitati di quartiere: ad esempio, GTA, a Gratosoglio, Spazio Micene, in San Siro, La Baronata, nel quartiere della Barona, e Comitato abitanti Giambellino Lorenteggio.
Lo sport popolare
Nel panorama dell’antagonismo c’è poi lo sport popolare, il cui obiettivo è quello di unire le persone e integrarle nella società usando come veicolo le attività sportive.
Un ruolo di primissimo piano è svolto dal Centro Sportivo di Gorla, che ospita la squadra calcistica del St. Ambroeus e la Stella Rossa Rugby, con il gruppo ultras dell’Armata Pirata. Ci sono poi le strutture messe a disposizione da alcuni centri sociali, come Palestra di ZAM e Palestra Torricelli.
Le realtà transfemministe e queer
Numerose anche le realtà transfemministe e queer, come Piovrae, Marciona e B+. Particolare è il caso di Rete Jin, un gruppo legato al Kurdistan che si occupa soprattutto di femminismo (“Jin” in curdo significa “donna”). Prive di sedi fisiche a Milano, queste realtà girano tra gli spazi o vengono ospitate in un centro sociale. Piovrae, ad esempio, si trova a T28, mentre Marciona si sposta in base alle necessità e adesso è a LOCK.
Si muovono tra gli spazi anche i gruppi ambientalisti, come Extinction Rebellion, Ultima Generazione e, per un certo periodo, Fridays for Future.
Le “realtà tematiche”, ossia quelle che si occupano di un certo tema, difficilmente gestiscono uno spazio fisico: «ciò toglierebbe tempo ed energia alla loro causa», sostiene Gabriele.
I sindacati di base e i partiti di sinistra radicale
Tra i Comitati di Base (Cobas) e il movimento antagonista c’è un forte legame e un supporto reciproco. ADL Cobas ha anche una propria occupazione: la Camera del Non Lavoro, in zona Chinatown. Qui si stanno tenendo le assemblee di Extinction Rebellion.
Soprattutto nelle aree della disobbedienza e dell’autonomia, alcuni militanti sono anche membri di un partito. Quasi sempre si tratta di Unione popolare: la formazione politica ha anche seguito l’assemblea NO CPR e partecipato, con qualche esponente, ai cortei per Cospito.
L’unione degli spazi antagonisti milanesi
Queste realtà non sono monadi disconnesse. Malgrado differenze nei metodi e nell’attività principale, sostiene Gabriele, «sono tutte unite da una battaglia comune, quella contro la società attuale e le autorità che reprimono e selezionano». Dal capitalismo al fascismo, dal carcere duro alla gerarchia aziendale, sino alle istituzioni scolastiche. A ciò si aggiunge la lotta alle disuguaglianze e, negli ultimi anni, la questione ambientale.
La rete antagonista è intessuta di simboli condivisi. I cori, da gridare insieme nelle manifestazioni. I modi di vestirsi: dallo stile skin a quello raggae, dall’abbigliamento tecnico, tipico delle generazioni più anziane, al vintage, diffuso tra i più giovani. Poi ci sono i riferimenti culturali, specie la musica: punk, ska, raggae, rap, tekno. E i gesti, come il pugno all’aria o la mano che simula una pistola P38. Ma anche il gergo: il linguaggio inclusivo dei militanti più giovani o il termine “compagno” con cui si chiamano a vicenda. E poi i “martiri”, come Dax, Carlo Giuliani, Stefano Cucchi e, adesso, Alfredo Cospito. Infine, i luoghi frequentati: centri sociali, free party (sempre di meno dopo il decreto rave), TAZ (“Temporary Autonomous Zone”), alcuni spazi dell’Università Statale e altri locali alternativi.
Tutto ciò fa del mondo antagonista una vera e propria subcultura, con all’interno altre subculture. Uniti da una causa comune e da una serie di simboli, i militanti si sentono parte di qualcosa di più grande di loro: un’identità collettiva.
Il profilo dei militanti
Nonostante appartengano a una stessa subcultura, le persone che frequentano gli spazi sociali sono piuttosto eterogenee. Dal punto di vista dell’età, di questo mondo fanno parte, secondo Gabriele, «principalmente due generazioni di persone, con un gap in mezzo: una fino ai 30 anni e una dopo i 40. Credo dipenda da quanto successo con il G8 di Genova, che ha fatto allontanare tanti che all’epoca erano giovanissimi».
I militanti hanno in gran parte un livello medio-alto di istruzione. Gli studenti delle scuole superiori sono per la maggior parte liceali, molti sono gli universitari, e spesso anche gli adulti hanno frequentato l’università.
In termini di condizione economica, ci sono persone benestanti e individui che non hanno i soldi per l’affitto e vivono in una casa occupata. La maggior parte dei lavoratori sono dipendenti, ma alcuni militanti hanno fatto carriera nella loro professione.
Molti non votano, soprattutto quelli appartenenti all’area anarchica. I “compagni” che si recano alle urne votano in gran parte Unione popolare, e in passato Rifondazione comunista. Qualcuno vota Sinistra italiana e Verdi, ma non lo dice troppo pubblicamente perché queste formazioni si sono alleate con il Partito democratico. In pochissimi votano il Pd e sono di più quelli che si esprimono per il Movimento 5 Stelle. Mentre votare a destra viene visto come una contraddizione con la lotta del movimento antagonista.
I motivi di unità: il social forum per Dax
Dopo gli eventi di Genova 2001, gli spazi antagonisti si sono incolpati a vicenda di quanto successo e si sono allontanati l’uno dall’altro. Ma negli ultimi anni stanno ritrovando una maggiore unità: lo si è visto nelle assemblee e nella manifestazione per Dax, dove hanno partecipato quasi tutte le realtà. Presenti oltre 5 mila militanti, secondo gli organizzatori.
L’ampia adesione si spiega in parte con il personaggio: si commemorava un simbolo della subcultura antagonista. Dipende anche dalla modalità con cui si è organizzata la manifestazione: il social forum. Si tratta di un’assemblea comune con tutte le realtà divise per blocchi di affinità, che poi sono quelli che hanno costituito i singoli spezzoni del corteo. In senso lato, questa era la modalità di Genova 2001 e per anni era stata abbandonata.
I motivi di unità: ricambio generazionale e campo di Gorla
Al di là di Dax, motivo di riavvicinamento è anche il ricambio generazionale. La maggior parte dei militanti è nata negli anni ’90: questi non hanno partecipato al G8 di Genova e dunque sono meno propensi a incolparsi l’un l’altro di quei fallimenti.
Un’altra ragione ha a che fare con il Centro Sportivo di Gorla. Lo sport popolare esisteva già, ma era incentrato su attività praticabili in piccoli spazi, come le palestre di arti marziali in alcuni centri sociali. Ora, avendo un luogo dove praticare uno sport diffuso come il calcio, numerosi militanti di spazi diversi si trovano a giocare e a tifare assieme.
I motivi di unità: le brigate di solidarietà
C’è poi la questione Covid. A partire da un’iniziativa del Lambretta, nel primo mese di lockdown sono nate le “brigate di solidarietà”. Impossibilitati a continuare la loro normale attività, gli spazi sociali hanno deciso di fare altro: distribuire cibo alle persone più danneggiate dalla pandemia. Inizialmente, soprattutto ai soggetti più a rischio nell’uscire di casa, cioè anziani e individui con disabilità o gravi patologie. Poi, si sono concentrate sulle persone economicamente svantaggiate, come poveri, migranti e chi aveva perso il lavoro.
Una prima forma di aiuto erano le “spese sospese”: carrelli dove chi voleva poteva lasciare parte del cibo acquistato, che poi veniva distribuito ai bisognosi. In altri casi, le brigate portavano gli alimenti a casa delle persone, oppure organizzavano la distribuzione in uno spazio sociale. All’attività si è unità anche Emergency, attraverso il progetto Nessuno Escluso.
Quasi subito è nato un coordinamento delle 10-15 brigate presenti nella Città metropolitana, alcune delle quali assistevano anche più di 200 persone. Come afferma Gabriele, «le brigate hanno messo d’accordo spazi che prima nemmeno si guardavano». Hanno inoltre invogliato molti studenti a partecipare, attratti da progetti di utilità sociale immediata. Questi giovani hanno iniziato a frequentare gli spazi, mentre gli anziani se ne allontanavano per il rischio Covid: le brigate hanno anche accelerato il ricambio generazionale.
I motivi di unità: assemblee, progetti e intersezionalità
Un altro fattore aggregante sono le assemblee tematiche, aperte a militanti di realtà diverse. Ad esempio, l’assemblea queer di Marciona, quella NO CPR, quella antirepressione per il caso Cospito, e ora l’assemblea per Dax.
C’è poi la trasversalità dei progetti: «ad esempio, io sono nel Baraonda, ma seguo anche la ciclofficina a LOCK», afferma Gabriele. Anche questo è un fattore di unione.
Infine, si sta diffondendo un’idea di intersezionalità, concetto per cui tutte le lotte hanno punti di intersezione in cui diventano un’unica lotta. Anche perché tutte le realtà sanno di aver bisogna l’una dell’altra per realizzare un cambiamento reale.
Gli elementi di frizione: le divergenze sui mezzi
Ci sono tuttavia questioni potenzialmente divisive. Anzitutto, l’approccio alla lotta: se il fine è condiviso, i mezzi non lo sono sempre. Basti pensare al caso Cospito. Numerosi spazi avevano partecipato alle assemblee e sfilato in corteo assieme agli anarchici. Fino a quando, a metà febbraio, gli insu si sono scontrati violentemente con la polizia.
Le altre realtà hanno disapprovato questo comportamento e hanno disertato i successivi cortei. Gli anarchici, che si stavano reintegrando nel mondo antagonista, si sono così trovati nuovamente isolati.
Gli elementi di frizione: accordi, rapporti personali e scandali
Oltre ai metodi, fattori disaggreganti sono gli accordi non rispettati. Quando spazi sociali molto diversi si trovano a collaborare, spesso concordano un approccio da adottare o azioni da evitare. Un accordo non rispettato crea una frattura politica e potrebbe portare una certa realtà a rifiutarsi di collaborare con un’altra.
Ci sono poi i rapporti personali. Se militanti di un certo spazio hanno vissuto situazioni spiacevoli con membri di un altro spazio, questo potrebbe portare le due realtà a cessare ogni relazione.
Le frizioni emergono spesso quando c’è uno scandalo, come nei casi di stupro e revenge porn successi in passato. Quando accadono eventi di questo tipo, spesso lo spazio incriminato si trova isolato. Nessuno vuole più collaborarci, anche perché ogni realtà teme l’occhio giudicante degli altri militanti.
Di nuovo assieme, ma per quanto?
Al momento, l’unità sta prevalendo sulle frizioni: il corteo per Dax evidenzia una rinascita della rete antagonista milanese. Non accadeva dalla manifestazione No Expo 2015 di vedere assieme praticamente tutti i “compagni” di Milano. Ma si vedrà per quanto tempo resisterà la loro unione. E fino a che punto saranno capaci di spingerla.