No al professionismo e alla casta: l’evoluzione populista dei 5 stelle

«Li mandiamo a casa tutti. Non abbiamo bisogno di essere rappresentati da questi cialtroni dilettanti. Dilettanti allo sbaraglio. Non riescono neanche a capire cos’è un inceneritore, cos’è una raccolta differenziata o cos’è una pista ciclabile. Non sanno assolutamente nulla. Si affidano a esperti, esperti messi lì, pagando parcelle a gente incredibile».

«Io mi affiderò e noi ci affideremo sempre alla comunità scientifica».

Dichiarazioni contraddittorie. Opposte. Lontane. Pronunciate, sicuramente, da due soggetti che afferiscono a due forze politiche distinte e contrapposte. Nella prima si cerca di prendere le distanze dagli ‘esperti’. Da quelle competenze sconsiderate che sono un ostacolo alla buona politica. In fondo, una persona che ha passato la sua vita china sui libri, cosa può saperne di gestione della cosa pubblica? Niente. Nella seconda, invece, la professionalità è fondamentale. È linfa vitale, essenziale per la sopravvivenza della società.

Verrebbe da pensare che il personaggio della prima dichiarazione sia un esponente della destra. Quella populista. Quella che abbiamo conosciuto come dispensatrice di informazioni false, inattendibili e che attacca il Movimento 5 Stelle definendolo “non idoneo perché inesperto”. Il secondo invece sembrerebbe uno affezionato ai tecnici di settore. A quelle élite, lontane e diverse da noi. E quindi probabilmente uno di sinistra, devoto al suo palazzo e alla sua poltrona e impensierito più per il prossimo talk televisivo che per il suo popolo.

Beppe Grillo, fondatore del Movimento 5 stelle

Certi della nostra analisi, mai penseremmo che la prima dichiarazione sia di Beppe Grillo, il comico genovese, fondatore del Movimento 5 Stelle che, in una intervista del 2011 alla trasmissione di Rai2 ‘Anno Zero’, attacca la classe politica dell’epoca. Proprio in quel 2011 quando in carica c’era il governo dei tecnici. «L’esecutivo dei banchieri, di quelli della Bocconi, che se continuano così farebbero meglio a tornare nelle loro aule universitarie», scriveva furioso Grillo sul suo blog. All’epoca, il comico era promotore della famosa “ondata del cambiamento” che sarebbe dovuta partire dal basso e sbaragliare o meglio “rottamare” – rubando un verbo tanto caro all’acerrimo nemico Matteo Renzi – la vecchia classe politica.

Sulla seconda dichiarazione però non si discute. A pronunciare quelle parole, sicuramente, è uno affezionato ai tecnicismi e ai pool di esperti. Quasi dispiace sapere che in realtà appartengono al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ex capo politico pentastellato che continua a vestire fiero i panni a 5 Stelle, il quale in un’intervista del 2020 alla trasmissione di La7 ‘L’aria che tira’ ribadisce più volte la necessità di affidarsi al comitato tecnico-scientifico nella lotta al coronavirus.

Stessa fazione politica, stesse idee, stessa anima. Certo è che da quando i 5 stelle hanno varcato la soglia di Palazzo Montecitorio, spesso e volentieri hanno provato a tenere le distanze dalle dichiarazioni del loro padre-fondatore, provando a dare tagli netti a quel cordone ombelicale che fino al 2018 li aveva alimentati con cura e dedizione. E allora, se si è in cerca di contraddizioni, basta cercarle nello stesso Luigi Di Maio, che durante un incontro all’università Harvard nel 2017, rispondendo a una domanda dove gli veniva rimproverata la mancanza di un titolo di laurea, disse: «Penso di essere rappresentante di una forza politica che avrebbe voluto più tempo per formarsi, per crescere e provare a governare questo Paese. Ma visto che gli esperti ben preparati, lo hanno ridotto in queste condizioni, non ha avuto tempo di riuscire a organizzarsi con lentezza. Per questo molti di noi hanno lasciato la vita che facevano per provare a cambiare le cose in prima persona».

Parole lontane, disturbate e distanti dalla scelta dei ministri (quasi tutti laureati) e dalle posizioni prese durante la pandemia. Attenzione, però. La loro personale guerra alle competenze, non ha come nemico i laureati. A discapito di quello che dice lo stesso Di Maio, già dalla sua nascita, nel movimento militano diversi esponenti con titoli universitari. La loro in realtà è una battaglia al professionismo politico e ai tecnici. Lo stesso Grillo, nei suoi comizi e nei suoi spettacoli, portava avanti l’idea che tutti possono fare politica e che non è necessario possedere particolari conoscenze. Allora si sosteneva l’idea che per governare non fosse indispensabile militare per diverso tempo in un partito o conoscere perfettamente i meccanismi governativi, legislativi ed economici. E spesso anche sanitari.

Era il 2007 quando, infatti, il loro fondatore istillava nella mente dei lettori del suo blog, che l’aumento di bambini autistici fosse correlato all’uso di farmaci, vaccini, inquinamento ambientale e alimentare. Mentre nel 2009 scriveva di essersi informato su internet sulla necessità di vaccinarsi all’influenza suina e chiedeva ai suoi utenti: «ne uccide più il virus o il vaccino?».

Luigi Di Maio, ministro degli esteri ed ex capo politico del M5S

E se tornare tanto indietro nel tempo, per alcuni è dispendioso di energie e noioso, basti ricordare le parole di Luigi Di Maio. L’esponente è stato fautore di una copertura vaccinale volontaria e non obbligatoria. Le sue idea avevano indignato l’opinione pubblica tanto da costringerlo a ritrattare affermando di «non essere contro ai vaccini, ma alla possibilità di legare l’obbligo alla frequenza scolastica invece di introdurlo solo quando vi è un rischio epidemia». Una premonizione, forse. Considerato che meno di un anno dopo il Governo di cui fa parte continua a fare i conti con una pandemia che continua a tenere in ostaggio l’Italia. Forse mai avrebbe immaginato che il Governo, capeggiato dall’amico Giuseppe Conte, laureato in Giurisprudenza e conosciuto ormai come “l’avvocato del popolo”, avrebbe avuto necessità e bisogno di un comitato tecnico-scientifico. Ed è qui allora che si decide di aggiungere alcune postille ai principi-base del movimento. Tutti possono partecipare alla cosa pubblica fingere di prendere decisioni, insieme al proprio movimento, attraverso delle consultazioni discutibili sulla Piattaforma Rousseau, ma fino a un certo punto. Uno vale uno, ma fin quando non si arriva al Governo.

Il vento del cambiamento, tanto inneggiato da Grillo e Gianroberto Casaleggio prima e dagli stessi esponenti pentastellati poi, è arrivato ma ha avuto conseguenze inaspettate. Perché? Cosa è accaduto? Prima di tutto, la trasformazione da movimento anti-partito a movimento partito.

Metamorfosi che inizialmente ha portato a una perdita di consensi causati dall’incapacità di essere, anche dentro i palazzi, punti di riferimento per “gli sconfitti” e dalla presenza ingombrante del leader della Lega Matteo Salvini.

Impossibile poi per chiunque arrivi al Governo non piegarsi ai meccanismi istituzionali che contraddistinguono una Repubblica. Fondamentale, inoltre, abbassare i toni. Abbandonare quei linguaggi e quelle logiche anti-politiche utilizzate durante la campagna elettorale facendo spazio a nuove parole e a una mentalità politica che alimenta la nuova casta, di cui si costruiscono le fondamenta. O almeno affidarli a chi non ricopre incarichi istituzionali così da invocarli – pensiamo ad Alessandro di Battista – come carta magica ogni volta in cui i consensi calano.

Matteo Salvini e Giuseppe Conte durante il governo giallo-verde

E per chi decide di non abbandonarli nei palazzi, la pena è l’esclusione dal potere esecutivo e la rottura di qualsiasi alleanza. Sorte toccata all’ex collega Salvini che di slogan, toni accesi e attacchi gratuiti ne ha fatto un marchio. E per questo il costo elevatissimo è stato essere relegato all’opposizione. Non solo. Durante la pandemia, il leader del Carroccio ha visto scendere i consensi a causa dello scontro diretto-indiretto con l’amato premier Giuseppe Conte, reo di aver dato – con i suoi modi tranquilli e pacati – sicurezza e protezione alla popolazione durante un periodo di sconforto e smarrimento. Emblematica questa figura che ai calcoli e ai paroloni – tipici del mondo degli intellettuali e lontani dal popolo – unisce le emozioni e i sentimenti, mostrando una umanità che, almeno inizialmente, solleva le piazze e le porta accanto a sé.

Mettendo da parte Conte, gli anni di Governo e la pandemia hanno dimostrato che non è poi così semplice gestire uno Stato. Se prima la semplificazione era il sale del Movimento, oggi non possiamo dire lo stesso. Gli slogan ‘andiamo al governo e risolviamo tutto’ o ‘basta tornare alla vecchia lira e in una notte risolviamo tutto’ sono stati impacchettati in scatole con su scritto ‘fragili’ ed  “non toccare se non in caso di necessità” e lasciati ad ammuffire nella cantina di via Morone 6, nella sede milanese dell’Associazione Rousseau.

Completamente ribaltata anche la visione sul ‘giusto modo’ di informarsi. Attenzione, rimane ancora radicata la diffidenza nei confronti degli organi della stampa. Additati, agli albori dell’epidemia, di aver diffuso informazioni riservate. Senza pensare che proprio quelle notizie sono arrivate ai giornalisti per mano di qualcuno interno al Governo. Quello che stupisce, però, è la nuova battaglia all’infodemia. Giusto redarguire i mass media quando – come in questo momento – diffondono studi e ricerche in fase di sperimentazione, causando ansia e disinformazione. Strabiliante difendere a spada tratta le informazioni elaborate dal Governo, chiedendo inoltre ai cittadini di non credere a tutto quello che attraversa la rete.

Proprio loro che della rete, ne hanno fatto elemento imprescindibile. Fin dalla sua fondazione, Beppe Grillo incitava i suoi utenti a cercare solo su internet le informazioni perché solo lì era possibile trovare verità che i poteri forti, sostenuti dai giornali, nascondevano. Lo spirito guida era che qualunque teoria potesse essere messa in discussione da qualsiasi utente, i quali da soli erano in grado di stabili quali fossero le idee migliori a cui credere, spesso però lontane dalle ricerche scientifiche.

Secondo Albert Einstein, ‘la misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario’. Per gli ‘ex grillini’ tale necessità si è palesata il 4 marzo 2018 concretizzandosi poi il 22 febbraio 2020. Il passaggio da giovane movimento scapestrato e informale ad adulto con giacca e cravatta e auto blu, è avvenuto. L’anti-casta si è trasformata in casta, confinando l’inesperienza in un angolo e lasciando campo libero al professionismo a 5 Stelle, che per esprimersi in tutta la sua magnificenza, ha bisogno ancora di tempo e spazio.

 

Ilaria Quattrone

Mi chiamo Ilaria Quattrone e sono nata a Melito Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, il 6 agosto del 1992. Dopo la laurea in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali all’Università di Messina, ho collaborato con il giornale online StrettoWeb dove mi sono occupata di cronaca e politica locale e grazie al quale ho ottenuto il tesserino come giornalista pubblicista. Mi sono laureata in Metodi e Linguaggi del Giornalismo dell'Università di Messina con il massimo dei voti e poi ho iniziato il master in giornalismo alla IULM. Da settembre a ottobre 2019 ho realizzato uno stage nella redazione dell'agenzia di stampa Adnkronos dove mi sono occupata di economia, politica e cronaca. Ho una passione per la cronaca giudiziaria e la politica, ma grazie al master ho iniziato a interessarmi al mondo del videogiornalismo e dei web reportage. Il mio sogno è di diventare giornalista d'inchiesta.

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