Il garofano è un antico emblema della tradizione popolare. Il fiore che emana un’essenza proletaria, la dignità del posto di lavoro e le feste del primo maggio. Per dirlo con la poetessa Buffoni Zappa, “allietava sovente la finestra della giovane operaia”.
Nel 1985 l’artista siciliano Filippo Panseca disegnò un nuovo simbolo per il Partito Socialista Italiano: il sole, la falce e il martello scomparvero, rimase solo un grande garofano rosso su sfondo bianco. Dietro la scelta grafica si staglia l’apice dell’ascesa politica e ideologica di Bettino Craxi, una tra le figure più egemoniche e dibattute del ‘900 italiano. La falce e il martello vennero eliminati dal logo del PSI quasi a voler ribadire la rottura con la tradizione bolscevica e marxista, un netto cambio di direzione che aveva cominciato a rafforzarsi già nel 1976, quando Craxi succedette a Francesco De Martino come segretario di un partito che sembrava vivere la sua fase crepuscolare. Alle elezioni politiche di quell’anno, infatti, il PSI aveva toccato il proprio minimo storico, era ormai evidente che la scelta di porsi come alternativa di sinistra alla Democrazia Cristiana non era riuscita a far breccia nell’elettorato.
Craxi era tra i capostipiti dei cosiddetti “quarantenni d’assalto”, un gruppo generazionale animato da idee progressiste volte a soppiantare i costumi di una macchina politica che per sopravvivere si era dovuta affidare al Compromesso storico, il patto tra la DC e il PCI proposto e orchestrato dal segretario comunista Enrico Berlinguer all’indomani del golpe cileno del 1973. I dirigenti del PSI optarono per la figura di Craxi ritenendola una carica di transizione, un semplice traghettatore in un momento che richiedeva imminenti riflessioni sul futuro, con il partito stesso che rischiava di sparire eclissato dai fragorosi successi elettorali del PCI.
Bettino Craxi (all’anagrafe Benedetto) era un nenniano di ferro, nato a Milano il 24 febbraio del 1934 in una famiglia antifascista nel segno del papà Vittorio, avvocato costretto per diversi anni a vivere da perseguitato politico. Già a 23 anni entrò nel comitato centrale del PSI al Congresso di Venezia del 1957, in un periodo in cui era solito organizzare conferenze e proiezioni cinematografiche volte a sensibilizzare i militanti verso un progressivo distacco dall’influenza sovietica, specie nel periodo immediatamente successivo alla rivoluzione ungherese del 1956. Durante gli anni ’60 mise in atto una forte attività di politica estera per conto del partito, si interessò alla causa dei “movimenti fratelli” aderenti all’Internazionale socialista e colse l’occasione per stringere importanti legami che lo portarono ad ampliare i propri orizzonti ideologici.
Nel 1968 venne eletto per la prima volta deputato, entrò nella direzione nazionale del PSI e rimase “dietro le quinte” fino al 1976, anno in cui venne nominato segretario a margine di una riunione straordinaria all’Hotel Midas di Roma. Mentre il pensiero comune vedeva i socialisti prossimi a imboccare il viale del tramonto, Craxi si attivò per sovvertire la tendenza e dare vita a quello che lui stesso definì “il nuovo corso”: una visione della sinistra in forte contrapposizione con Berlinguer e il suo Compromesso storico, al quale replicò promuovendo la “strategia dell’alternativa” in sinergia con l’accademico Claudio Signorile, futuro Ministro dei Trasporti.
Poi arrivò il 1978, anno fondamentale per il percorso di “Ghino di Tacco”, soprannome che gli avrebbe affibbiato più avanti il direttore e fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari.
- Il 16 marzo cominciarono i 55 giorni di passione vissuti da Aldo Moro, rapito e ucciso dalle Brigate Rosse: mentre le forze di governo si riunirono in un “fronte della fermezza”, Craxi propose la via della trattativa e dell’azione umanitaria, nel tentativo di avere salva la vita del leader democristiano.
- Il 15 giugno il presidente della Repubblica Giovanni Leone venne costretto a dimettersi per delle infondate accuse di corruzione nell’ambito dello scandalo Lockheed. Il 29 dello stesso mese Craxi riuscì nell’intento di far eleggere dal Parlamento un suo uomo, il socialista Sandro Pertini, che divenne così il nuovo inquilino del Quirinale.
- Il 27 agosto, sulle colonne del settimanale “L’Espresso” definì i principi di un Vangelo secondo Bettino, il nuovo credo di un socialismo molto vicino alla visione di Proudhon e lontano, molto lontano, dalla dottrina marxista e leninista.
Proprio in virtù del distacco ideologico, le stoccate in punta di fioretto con Enrico Berlinguer non vennero mai lesinate né da una parte né dall’altra, raggiungendo l’apice al congresso PSI di Verona del 1984. L’entrata in scena del segretario del partito comunista venne accolta con fischi assordanti, in scia alle ultime controversie riguardanti le polemiche sulle politiche salariali della “Scala mobile”. Craxi dal palco dl congresso colse l’attimo per rincarare la dose.
“Se i fischi erano un segnale politico che manifestava contro questa politica, io non mi posso unire ai fischi solo perché non so fischiare”.
Berlinguer sarebbe morto l’11 giugno dello stesso anno mentre Craxi, storicamente restio a ogni forma di autocritica, un lustro abbondante più tardi avrebbe avuto modo di recitare il mea culpa per quelle parole.
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Il Governo Craxi
Alle elezioni politiche del 1983 il PSI ottenne appena l’11,4% dei voti, ma ormai aveva assunto il ruolo di perno dello scacchiere politico, condizione che gli permise di volgere i giochi in proprio favore. Craxi ottenne l’incarico da Pertini e fu in grado di formare un governo sorretto dal Pentapartito, di cui facevano parte Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Democratico Italiano, il Partito Repubblicano e il Partito Liberale. Il primo governo Craxi rimase in carica dal 4 agosto 1983 al primo agosto 1986, il terzo per longevità nella storia della Repubblica italiana.
Tra i provvedimenti più importanti di quell’esecutivo figura l’accordo di Villa Madama, che venne stilato su 14 punti finalizzati a regolare il rapporto tra lo Stato e la Chiesa Cattolica: fu in quell’occasione che venne introdotta l’imposta dell’Otto per mille.
Nel 1984 il Governo decise di tagliare 3 punti della Scala mobile correlati all’introduzione di agevolazioni fiscali, blocco delle tariffe pubbliche e pene più severe per gli evasori del fisco. Il provvedimento venne sottoposto a un referendum abrogativo nel giugno del 1985 con il 54,32% degli elettori che si espresse in favore del “no”, risultato che per Craxi rappresentò un considerevole successo politico.
Un’altra misura celebre di quegli anni riguardò la liberalizzazione delle tv private, avvallata dai tre “Decreti Berlusconi” emanati tra il 1984 e il 1985. Quello tra Silvio Berlusconi, che all’epoca era imprenditore e dominus di Fininvest, ancora lontano dalla sua discesa in campo, e il leader socialista fu un rapporto di stima e collaborazione che segnò di fatto la fine del monopolio televisivo della RAI.
In campo internazionale, l’episodio più celebre rimane la “Crisi di Sigonella”, uno scontro diplomatico che nell’ottobre del 1985 rischiò di compromettere i rapporti tra Craxi e l’allora presidente americano Ronald Reagan. L’aviazione militare statunitense aveva intercettato un aereo egiziano con a bordo i terroristi palestinesi responsabili del dirottamento della nave da crociera “Achille Lauro”, costringendolo ad atterrare nella base NATO siciliana. I terroristi avevano ucciso l’americano Leon Klinghoffer, motivo che indusse Reagan a non rispettare l’accordo di mediazione tra il governo italiano, i terroristi stessi e il presidente dell’OLP Yasser Arafat. Craxi, in collaborazione col Ministro degli Esteri Giulio Andreotti e il Ministro della difesa Giovanni Spadolini, mantenne il pugno di ferro sulla questione, opponendosi all’intervento dei militari a stelle e strisce e comunicando la volontà di far processare i dirottatori in Italia.
Complessivamente, tra il suo primo e il suo secondo governo, Bettino Craxi rimase alla guida del paese fino al 17 aprile del 1987. In quel periodo, più in generale negli interi anni ’80, il mostro del debito pubblico assunse proporzioni colossali: se nel 1980 si stabilizzò sotto il 60%, appena dieci anni più tardi raggiunse il 100% del PIL italiano con tassi d’interesse difficilmente sostenibili.
Gli anni seguenti Craxi li passò alla finestra, tentando nel frattempo di far confluire partiti minori all’interno del PSI, in modo da ottenere una solida rappresentanza di sinistra che gli permettesse di emanciparsi dalle logiche del Pentapartito. Quel che sembrò venire meno furono però la grinta e la determinazione che costituivano il marchio di fabbrica del “Bokassa”, soprannome con cui veniva chiamato da amici e colleghi negli ambienti politici sia dentro i palazzi che fuori.
Tangentopoli
Il 1992 arrivò e con esso l’arresto di Mario Chiesa, l’apertura del vaso di Pandora che avrebbe condotto a una serie d’inchieste per tangenti passate alla storia col nome di “Mani pulite”. Chiesa, definito da Craxi un “mariuolo isolato”, una volta messo sotto torchio ammise numerosi dettagli del sistema delle tangenti, rivelando quanto esso fosse assai più esteso rispetto a quanto dichiarato dal leader socialista. In seguito, durante un interrogatorio nelle prime fasi del processo Enimont, Craxi, interrogato dal pubblico ministero Antonio Di Pietro ammise il sistema dei finanziamenti illeciti ai partiti:
“questo è un capitolo che possiamo definire oscuro nella storia della democrazia repubblicana, ma da decenni il sistema politico godeva di un finanziamento che era per larga parte di natura irregolare. E non lo vedeva solo chi non lo voleva vedere”.
In quella circostanza Craxi nominò anche Giovanni Spadolini e Giorgio Napolitano, due uomini chiave rispettivamente del Partito Repubblicano e del Partito Comunista, descrivendoli come due che vedevano fiumi di denaro illecito scorrere sotto i propri occhi e semplicemente giravano la testa dall’altra parte.
Le inchieste si allargarono a vista d’occhio, il tribunale di Milano divenne l’occhio del ciclone mediatico di un paese che stava per dire addio alla Prima Repubblica. Una raffica di avvisi di garanzia, riguardanti anche gli appalti della metropolitana milanese, si abbatté su Craxi e il suo entourage. Il 30 aprile del 1993 venne travolto da cori d’insulti e da un lancio di monetine all’uscita dell’Hotel Raphael, l’albergo in cui era solito alloggiare nei periodi che trascorreva a Roma. ll 4 agosto dello stesso anno, a Montecitorio, Craxi pronunciò il suo ultimo discorso da parlamentare.
“Per quanto riguarda il mio ruolo di segretario politico, mi sono già assunto tutte le responsabilità politiche e morali che avevo il dovere di assumere, invitando senza successo altri responsabili politici a fare altrettanto con il medesimo linguaggio della verità. Per parte mia continuerò a difendermi nel modo in cui mi sarà consentito di farlo, cercando le vie di difesa più utili e più efficaci, e senza venire mai meno ai miei doveri verso la mia persona, la mia famiglia e tutte le persone che stimo e rispetto, siano esse amici o avversari”.
Hammamet
Assediato da una situazione che ormai aveva assunto una caratura epocale, Craxi nel maggio del 1994 decise di rifugiarsi nella sua residenza di Hammamet, in Tunisia. Proprio in quei mesi la Procura di Roma ne aveva disposto l’arresto, condizione che di fatto lo rese a tutti gli effetti un latitante. Seppure a distanza continuò a difendersi dalle accuse attraverso pubblicazioni di articoli e volumi dedicati per la maggior parte alle vicende che lo avevano investito. Nel frattempo le sue condizioni di salute peggiorarono drasticamente: oltre al diabete e la gotta, gli venne espiantato un rene a causa di un tumore. Non ci fu abbastanza tempo per un’ulteriore operazione, l’unica alternativa era un complesso intervento cardiochirurgico a cui si sarebbe dovuto sottoporre in Italia, ma la magistratura pose il veto su un suo possibile rimpatrio. Sull’ultimo periodo vissuto da Craxi ad Hammamet ha realizzato un film il regista Gianni Amelio con protagonista Pierfrancesco Favino.
Bettino Craxi morì per un arresto cardiaco il 19 gennaio del 2000, stretto dall’abbraccio della figlia Stefania. A distanza di vent’anni sua eredità politica sembra non aver mai trovato qualcuno in grado di raccoglierne il testimone, come se quel garofano rosso, il simbolo di tutti i lavoratori e presente anche sulla sua lapide, fosse definitivamente appassito. Un fiore che insieme a lui sembra aver perso anche il suo ultimo petalo.