Sono passati oltre sei anni da quel 22 ottobre 2017 in cui veneti e lombardi votarono in massa per l’autonomia delle loro regioni. Un referendum storico che mobilitò quasi 3 milioni di persone in Lombardia e oltre 2 milioni in Veneto. Un plebiscito, più del 96% di voti favorevoli. Dopo sei anni, il Senato ha approvato il ddl firmato dal leghista Roberto Calderoli. 11 articoli in cui vengono definite le procedure legislative e amministrative per l’applicazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione.
Più risorse alle regioni virtuose
Il processo che porterà all’autonomia differenziata non è automatico. Secondo quanto previsto dal ddl, dovranno essere le singole regioni a chiedere il trasferimento della gestione di alcune materie. Il testo prevede che saranno 23 gli ambiti in cui le amministrazioni locali potranno avere più poteri:
rapporti internazionali e con l’Unione europea delle regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale; l’organizzazione della giustizia di pace; le norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Non è previsto un numero minimo. Il trasferimento di servizi e funzioni ora in capo allo Stato o in compartecipazione, garantirà la possibilità di trattenere parte del gettito fiscale generato sul territorio. Questo farà sì che le regioni più virtuose, in cui le entrate sono più abbondanti, avranno maggiori fondi a disposizione derivanti dal pagamento delle tasse.
La polemica attorno ai Lep
Per garantire l’uniformità dei servizi offerti ai cittadini in tutta Italia, il governo ha voluto subordinare l’autonomia differenziata al rispetto dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep), previsti dalla Costituzione. I Lep sono dei criteri che determinano il livello di servizio minimo che dev’essere garantito su tutto il territorio nazionale in modo uniforme. Solo una volta definiti i Lep, le Regioni potranno poi procedere con l’iter. Questo modello servirà ad evitare squilibri troppo marcati fra Nord e Sud, dato che le regioni del meridione temono di perdere ulteriori opportunità. Ma nella pratica molto dipenderà dai finanziamenti che lo Stato centrale potrà mettere a disposizione per equiparare le prestazioni. Per questo, è stata prevista una cabina di regia, nominata da una Commissione specifica per la definizione dei Lep guidata dall’ex presidente della Consulta Sabino Cassese.
Come si chiede l’autonomia
Il governo ha 24 mesi dall’entrata in vigore del ddl per varare uno o più decreti legislativi che determino livelli e importi dei Lep. Mentre Stato e Regioni, una volta avviata la procedura, avranno tempo 5 mesi per arrivare a un’intesa. Questa potrà durare fino a 10 anni e poi essere rinnovata. Oppure potrà terminare anticipatamente con un preavviso di almeno 12 mesi. L’iter per ottenere lo status di regione autonoma non sarà semplice. Per prima cosa c’è lo schema di base tra Stato-Regione, poi gli emendamenti di Conferenza unificata e commissioni parlamentari. A seguire servirà l’approvazione del Consiglio regionale e infine un disegno di legge del Consiglio dei ministri che il Parlamento dovrà esaminare e votare.
La clausola di salvaguardia
Lo Stato vuole comunque tutelarsi. In un secondo momento è stato inserito nel disegno di legge, all’articolo 11, che il governo potrà sostituirsi alle Regioni, alle città metropolitane, alle Province e ai Comuni quando si riscontri che gli enti interessati siano inadempienti rispetto a trattati internazionali, normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza pubblica. Particolare riguardo sarà prestato alla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni sui diritti civili e sociali.