Contro la mafia metro per metro

A 30 anni dalla morte di Giovanni Falcone, oltre 215 mila beni confiscati alla criminalità organizzata testimoniano, ancora oggi, la presenza massiccia dei clan al nord come al sud. Se ‘Ndrangheta, Camorra e Cosa Nostra sono diffuse in tutto il Paese, così lo sono anche le buone pratiche di riutilizzo sociale dei beni sequestrati.

 

«In questa, come in altre occasioni, si riafferma la legalità. Oggi portiamo a segno un risultato concreto che ci consente di apporre virtualmente un sigillo a questo immobile: qui le mafie hanno perso», queste le parole della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese alla cerimonia, che si è tenuta l’11 maggio, per inaugurare la nuova sede romana della Scuola superiore per magistrati.

 

L’attico confiscato alla criminalità organizzata e assegnato alla Scuola Superiore della Magistratura

L’attico di lusso affacciato sulla Fontana di Trevi, che fu confiscato nel 2018 al capo della Magliana, Ernesto Diotallevi, diventa così simbolo di legalità. Come ha ricordato la titolare del Viminale, tutto questo è stato reso possibile da «la grandezza dell’intuizione che guidò il legislatore quarant’anni or sono» e che «aprì il varco a una più strutturata attività di contrasto alle mafie, capace di colpire concretamente l’accumulazione di patrimoni illeciti».

Luciana Lamorgese, Ministra degli Interni
La legislazione antimafia

Lamorgese fa riferimento alla Legge Rognoni-La Torre del 1982, che grazie a diverse modifiche apportate nel tempo, costituisce ancora oggi uno degli strumenti più efficaci nella lotta alla criminalità organizzata. Questa, infatti, va a colpire l’accumulazione dei capitali illeciti e la possibilità di riciclarli attraverso investimenti nel circuito legale. Sono 215 mila i sequestri registrati dal 1997 al 2020 e questo numero non include, peraltro, i beni sottratti nei processi penali ordinari.
A completare la legge che ha introdotto la confisca dei beni, nel 1996 è arrivata la Legge 109, che permette il riutilizzo degli averi sottratti ai clan. Questa norma è figlia delle stragi di Capaci e via D’Amelio e fu scritta sulla linea indicata da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Il ruolo delle associazioni e delle istituzioni

Se oggi tanti spazi vengono restituiti alla società e diventano beni comuni, è soprattutto grazie all’azione delle numerose associazioni e cooperative che promuovono la cultura della legalità e gestiscono gran parte di questi luoghi. Fu Libera nel 1992 a raccogliere un milione di firme a sostegno della Legge 109. Da allora l’associazione fondata da Don Luigi Ciotti ha portato avanti la lotta contro la mafia, gestendo molti immobili confiscati e promuovendo le buone pratiche di riutilizzo sociale.

Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera

Un altro strumento di contrasto è l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC), istituita nel 2010. L’ente gestisce i capitali sottratti e mira a rendere più consapevoli i cittadini, attraverso la pubblicazione dei relativi dati. Attualmente l’agenzia amministra da sé 22.238 immobili in attesa di essere destinati, mentre 19.002 sono stati affidati ad altri enti e associazioni. I sequestri non sono più solo appannaggio del sud. Nell’ultimo triennio sono stati iscritti 246 nuovi procedimenti in Sicilia, 218 in Calabria, 184 in Campania e 86 in Puglia, ma il numero è alto anche in Lombardia, dove il totale è 115 e in Piemonte (74). Nell’area centronord, il maggior numero di nuovi procedimenti, ben 91, si registra nel distretto di Milano. La città, che per anni è stata la capitale del «la mafia è un problema del sud», ha in totale 215 immobili confiscati alla criminalità organizzata, il cui valore è di quasi 18 milioni di euro.

Quando la Lombardia si accorse che la mafia li riguardava
Fabrizio Gatti
Il giornalista e scrittore Fabrizio Gatti

Le inchieste condotte finora a Milano e in Lombardia documentano la presenza mafiosa, soprattutto della ’Ndrangheta, a partire dagli anni Settanta. All’inizio degli anni Novanta il giornalista Fabrizio Gatti, sotto copertura per il Corriere, entrò nelle case dei boss e raccontò per primo cosa stava accadendo nelle periferie della città, invase dall’eroina. A fare ulteriore luce sui loro affari fu, pochi anni dopo, l’inchiesta giudiziaria Wall Street. In quel periodo ci furono i primi grandi sequestri di capitali alla criminalità organizzata.

Oggi la gestione dei beni ha una prassi assodata. Quando la confisca è definitiva, l’ANBSC può procedere alla destinazione dei beni agli enti locali o ad altre amministrazioni pubbliche, a fini istituzionali o sociali. I beni possono essere anche affidati in concessione alle associazioni che ne fanno richiesta o a persone che versano in particolare condizione di disagio economico. La legge prevede, inoltre, la possibilità di vendita degli immobili, se non sono riutilizzabili perché in pessime condizioni o se si devono soddisfare le richieste dei creditori.

Buone pratiche per combattere le mafie

Nonostante si sia già fatto molto, Libera da anni avverte sulla necessità di attuare la riforma del Codice Antimafia del 2017, che assicurerebbe una gestione più efficiente dei beni, dalla fase del sequestro fino alla confisca definitiva. Spesso, infatti, passano diversi anni tra uno step e l’altro. Secondo l’associazione, una maggiore celerità nelle procedure di destinazione e l’investimento di più risorse favorirebbero la crescita e lo sviluppo dei territori coinvolti.

Al di là delle difficoltà, però, tutte le iniziative che animano i luoghi confiscati alla mafia raccontano che la pratica del sequestro è già uno stimolo per la partecipazione democratica e la consapevolezza dei cittadini. Come diceva Peppino Impastato «all’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso da operazioni speculative, con tutto il loro squallore, ci si abitua con pronta facilità. Si mettono le tendine alle finestre, le piante nel davanzale e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima. Ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione e rimangano per sempre vivi la curiosità e lo stupore».

Elisa Campisi

SONO GIORNALISTA PRATICANTE PER MASTERX. MI INTERESSO DI POLITICA, ESTERI, AMBIENTE E QUESTIONI DI GENERE. SONO LAUREATA AL DAMS (DISCIPLINE DELL’ARTE DELLA MUSICA E DELLO SPETTACOLO), TELEVISIONE E NUOVI MEDIA. HO STUDIATO DRAMMATURGIA E SCENEGGIATURA, CONSEGUENDO IL DIPLOMA TRIENNALE ALLA CIVICA SCUOLA DI TEATRO PAOLO GRASSI.

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