Fabrizio Gatti: «Le mie inchieste sotto copertura»

Fabrizio Gatti

Fabrizio Gatti, giornalista e scrittore, è diventato noto al grande pubblico soprattutto grazie alle sue memorabili inchieste sotto copertura. Uno dei suoi libri di maggior successo, Bilal – Il mio viaggio da infiltrato verso l’Europa, è stato appena ristampato da La nave di Teseo e ha avuto diverse traduzioni e riadattamenti per spettacoli, film, documentari.

 

Un macellaio brianzolo solleva a fatica un grosso pezzo di carne fino al gancio. Una voce alla porta del negozio: «Buongiorno, vorrei farle qualche domanda a proposito dell’alluvione che ha sommerso casa sua». Il macellaio si volta. Davanti a lui un bambino con una bicicletta da cross che lo guarda fisso. Un po’ scorbutico gli chiede di ripetere la domanda e il ragazzino lo fa, aggiungendo che «è per il giornalino della classe». L’uomo non trattiene il sorriso e subito inizia a raccontare. «Quella fu la prima volta che sentii come un giornalista può ispirare la fiducia di coloro che gli affidano la propria storia», spiega Fabrizio Gatti. Da allora il giornalista e scrittore è andato avanti spinto sempre dalla stessa curiosità, trovandosi più volte a condurre inchieste sotto copertura, entrando «mani e corpo nelle storie del mondo». Quel bambino, che custodiva tutte le sue indagini dentro il raccoglitore con la scritta in copertina, Il libro delle mie ricerche, da adulto ha iniziato a cesellarle in libri che hanno acceso fari su vicende complesse e vite invisibili. Se si segue il filo dei lavori di Gatti, è possibile ripercorrere le pagine più recenti della Storia, dalle prime migrazioni africane verso l’Europa negli anni’80 fino alla pandemia in cui siamo ancora immersi, che ha portato al suo ultimo libro-inchiesta, L’infinito errore. La storia segreta di una pandemia che si doveva evitare. Gatti, testimone consapevole, ha un instancabile desiderio di raccontare: non tralascia nulla e anche quando si sofferma sui passaggi più difficili, mantiene il sorriso. I suoi occhi sono lucidi, come i suoi ricordi.

Gli immigrati in Lombardia

La prima tappa di questo viaggio è la Brianza del 1988: un uomo di origine nigeriana è arrivato di corsa dai carabinieri. Dice che sua moglie Lola è chiusa in camera e non risponde, che ha provato a sfondare la porta, ma il padrone di casa lo ha aggredito ferocemente: «Venite qui e ci rovinate le case!», gli ha urlato. Così l’uomo ha dovuto percorrere molti chilometri per raggiungere la caserma più vicina e chiedere aiuto. Quando i vigili del fuoco arrivano è ormai troppo tardi. Lola è appena morta per avvelenamento da monossido di carbonio. L’evento, che Gatti fu il primo a documentare, l’indomani richiamò tutti i giornali e i telegiornali. Quella mattina l’Italia si svegliò razzista.

Milano da bere

All’inizio degli anni’90, in un quartiere periferico lontano dalla “Milano da bere”, l’eroina sta devastando tante famiglie e i clan mafiosi hanno un controllo militare del territorio. Gatti indossa i panni del tossicodipendente e poi quelli del controllore dei contatori del gas, per intrufolarsi nelle case, «stare tra loro, rompere quello scrigno». Fu da quel momento che anche a Milano iniziò la lotta alla mafia.

“Shkodra e re”

“Shkodra e re”, in italiano Nuova Scutari, è il nome che Gatti ha coniato per la baraccopoli in cui si è infiltrato per un’altra inchiesta. Era un campo abitato prevalentemente da albanesi. Il suo scopo era raccontare dal di dentro la condizione degli immigrati che lavoravano nei tanti cantieri milanesi. All’inizio muratori e carpentieri non si fidano dell’italiano che è venuto a chiedergli di poter vivere qualche giorno con loro. Poi un uomo gli chiede perché è lì. Appena Gatti finisce di spiegare le sue intenzioni l’uomo lo rassicura: «Non ti preoccupare, ho fatto il giornalista clandestino in Albania e sono stato anche arrestato per questo. Capisco che cosa vuoi fare. Grazie. Ti aiuto io». Nelle storie di Gatti si trovano spesso dei personaggi di questo tipo: persone che, come il macellaio brianzolo, compiono un atto di fiducia nei confronti del giornalista e lo portano per mano dentro nuovi mondi a lui sconosciuti.

Incontri straordinari
Le mani del giornalista Fabrizio Gatti

Dall’incrocio di alcuni «compagni di viaggio» inizia anche la lunga traversata dell’Africa sub-sahariana: «Una delle cose più difficili è stata decidere come porsi di fronte alla violenza che vedevo. Cosa faccio? Accetto e tollero o reagisco?». Gatti racconta che spesso usava dei diversivi: «Come quella volta che durante la traversata del deserto i militari stavano picchiando i miei compagni per prendere il loro denaro. Ho tolto il turbante, mostrando che ero bianco e ho offerto delle caramelle a pastiglia agli uomini armati. Ho detto che erano delle medicine. Loro le hanno prese e ci hanno lasciati andare». Questo trucco li ha salvati tante volte, ma non al confine con la Libia: «Mi hanno portato in disparte e hanno continuato a picchiare i miei compagni fino a quando non gli hanno preso tutto».

Oggi Gatti riconosce che a ispirare quel viaggio in Africa sotto le mentite spoglie di un migrante, fu anche l’incontro straordinario con il futuro presidente del Sudafrica, Nelson Mandela, «un’esperienza fortissima, che è stata superata solo da quella della mia inchiesta sulla rotta dei migranti». Per il Corriere il giornalista ha seguito Mandela durante la campagna elettorale: «Eravamo nello stesso hotel e ogni mattina a colazione gli dicevo “Good morning Mr President, how are you?” e lui “Very well Mr Fabrixio!”. Aveva un forte accento boero, per via degli anni passati a contatto con le guardie della prigione». Uno di quei giorni trascorsi in giro per il Paese, il futuro presidente viene preso in ostaggio dentro un municipio in cui è appena arrivato. Fuori dal palazzo si schiera un gruppo armato della resistenza boera, che vuole boicottare le elezioni. Un collega dell’agenzia France-Presse vuole mandare la notizia in redazione, ma bisogna telefonare e la cabina è oltre la barriera armata. Gatti decide di provare. Esce gridando: «Italian press!». Gli uomini in tuta color cachi non dicono nulla e incredibilmente si spostano per lasciarlo passare. «Finita la telefonata arrivo alle loro spalle e si ripete la stessa cosa. Mi fanno passare. A pensarci ora è una scena esilarante. Poi arrivano i militari e loro se ne vanno. Era un’azione dimostrativa, di disturbo a Mandela e al suo progetto per un nuovo Sudafrica».

Nel libro degli incontri significativi ci sono anche i maestri e Gatti ne nomina tanti. Il primo è il giornalista Indro Montanelli. Quando lavorava al Giornale sotto la sua direzione, la sera poteva vedere quest’uomo ormai anziano, che andava ancora in tipografia a controllare la chiusura della prima pagina. «Montanelli in quel periodo era l’unico che aveva il coraggio di scrivere articoli contro il governo e contro la corruzione che verrà poi smascherata con l’inchiesta Mani pulite», sottolinea Gatti e poi conclude: «L’insegnamento che Montanelli mi ha dato è che osando si ottiene, che bisogna esercitare la libertà affinché si venga riconosciuti e si diventi cittadini liberi».

Elisa Campisi

SONO GIORNALISTA PRATICANTE PER MASTERX. MI INTERESSO DI POLITICA, ESTERI, AMBIENTE E QUESTIONI DI GENERE. SONO LAUREATA AL DAMS (DISCIPLINE DELL’ARTE DELLA MUSICA E DELLO SPETTACOLO), TELEVISIONE E NUOVI MEDIA. HO STUDIATO DRAMMATURGIA E SCENEGGIATURA, CONSEGUENDO IL DIPLOMA TRIENNALE ALLA CIVICA SCUOLA DI TEATRO PAOLO GRASSI.

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