Cateno De Luca contro tutti: da Meloni a Renzi, da Salvini a Calenda

Alla vigilia delle elezioni europee Cateno De Luca, leader della lista Libertà, non le manda a dire a nessuno. Il tono dell’ex sindaco di Messina è deciso, nonostante la polmonite che l’ha colpito qualche settimana fa: «Sto meglio, ma non posso prendere aerei per evitare sbalzi di temperatura. Comunque stiamo riuscendo a fare una media di 15 manifestazioni al giorno».

Da Meloni a Renzi, da Calenda a Salvini, da Forza Italia all’Agcom: chiunque è un bersaglio per l’attuale sindaco di Taormina, non a caso soprannominato “Scateno” De Luca. Un politico navigato che si presenta da outsider alla prossime elezioni europee, in programma l’8 giugno dalle 15 alle 23 e il 9 giugno dalle 7 alle 23. A sostenerlo, una compagine di 19 partiti, più il Rassemblement Valdôtain: un record assoluto per la politica italiana.

Eppure, a fronte di questi numeri, Cateno De Luca lamenta una copertura mediatica pressoché inesistente. Tanto che il 1° giugno i quotidiani hanno dato la notizia di una sua lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Al suo interno un’accusa all’Agcom, l’Autorità garante delle comunicazioni.

Il "Camper della Libertà" con cui Cateno De Luca sta girando l'Italia
Il “Camper della Libertà” con cui Cateno De Luca sta girando l’Italia
Cosa ha scritto al capo dello Stato?

Che ci siamo trovati senza spazio nei talk show in prima serata: stiamo scontando un problema di comunicazione della nostra esistenza. Da questo punto di vista, la par condicio è finalizzata a preservare i partiti nazionali esistenti, a conservare un’oligarchia. Se i progetti nuovi non possono avere spazio perché sono nuovi, allora rimarranno sempre fuori perché non avranno la possibilità di comunicare. Questa par condicio non tiene conto che la democrazia porta anche all’affermazione di idee alternative a quelle esistenti.

Secondo lei vi stanno dando poco spazio perché non vi considerano rilevanti o perché vi temono?

Io non voglio fare dietrologie, però faccio un esempio: la Rai, il servizio pubblico dove ognuno di noi paga un canone, mi ha dato un minuto e mezzo a Porta a Porta, un minuto e mezzo! E mi ha mandato in onda alla chiusura della trasmissione, dopo la mezzanotte.

Crede siano disposizioni della presunta “Telemeloni” di cui parlano le opposizioni?

No, ma il risultato è che gli esponenti della maggioranza continuano a parlare, comprimendo gli spazi della campagna elettorale. Tutto quello che rimane ce lo dobbiamo dividere con gli altri partiti nazionali. È ovvio che questo significhi mettere il bavaglio alle proposte nuove.

Ma perché non ha scritto prima al presidente Mattarella?

Perché non volevo disturbarlo. Prima ho presentato due denunce all’Agcom, l’organismo deputato a vigilare sulla par condicio. Non essendo intervenuta, mi sono appellato al garante della democrazia. Se c’è ancora un garante della democrazia…

Oltre all’Agcom lei è in rotta di collisione con la premier Giorgia Meloni e il presidente della Regione Sicilia Renato Schifani. Cosa è successo?

Una cosa molto semplice. Il governo Meloni ha bloccato da quasi due anni l’assegnazione dei fondi di sviluppo e coesione. Allo stesso modo, ha bloccato una serie di procedure sul Pnrr. È impensabile che, a una decina di giorni dal voto, la premier venga a Palermo a firmare il patto con la Regione, facendo passare il messaggio che ci ha concesso 6,8 miliardi di euro. Il che non è vero. Ma l’aspetto più grave è che al 60% circa dei comuni siciliani non sono state assegnate risorse. Vogliamo far verificare dai nostri legali se ci sono i presupposti per una denuncia per voto di scambio.

L'attuale sindaco di Taormina Cateno De Luca (sinistra) con il Presidente della Regione Sicilia Renato Schifani (destra)
L’attuale sindaco di Taormina Cateno De Luca (sinistra) con il Presidente della Regione Sicilia Renato Schifani (destra)
Ma veniamo alle elezioni. Quali sarebbero le vostre priorità una volta entrati nel Parlamento europeo?

Far saltare le quote di produzione nel settore agricolo, zootecnico e della pesca. E fare la guerra per far ritirare la direttiva Bolkestein, che metterà le nostre spiagge nelle mani di gruppi internazionali. La direttiva farà saltare intere generazioni di balneari, e lo stesso accadrà agli ambulanti. Sono queste le azioni liberticide che stiamo contestando: un attacco alla sovranità che trasformerebbe definitivamente l’Italia in un mercato di consumo e non più di produzione.

Quanto al tema della pace, che è il primo punto del vostro programma, non crede che il mancato invio di armi in Ucraina favorirebbe la Russia?

Manca una diplomazia comune europea. Quindi gli Stati più forti, per interessi commerciali o di produzioni di armamenti, spingono verso la guerra. Non è pensabile che l’Italia abbia messo 7 miliardi di euro per le armi e appena 7 milioni per la peronospora (una malattia delle piante causata da un fungo, ndr). Noi infatti diciamo “Più benzina nei trattori e meno nei carri armati”. E poi, cos’è cambiato da quando abbiamo iniziato a mandare le armi? Continua il massacro dei civili, come in Medio Oriente. L’idea di fare la guerra per arrivare alla pace non sta funzionando.

A proposito di Medio Oriente, sul conflitto a Gaza lei si è detto favorevole alla soluzione “due popoli, due Stati”. Cosa potrebbe fare l’Europa in tal senso?

La stessa cosa: evitare che da ambo le parti si continui ad armare i due schieramenti. Il primo passo lo dovrebbero compiere gli Stati Uniti, smettendo di finanziare Tel Aviv. La logica degli armamenti è controproducente, tant’è che lo Stato aggredito da Hamas, cioè Israele, sta avendo una reazione sproporzionata.

Israele è accusata di genocidio di fronte alla Corte internazionale di giustizia. Lei cosa ne pensa?

È una reazione sproporzionata, ma non tocca a me qualificarla. Comunque non c’è dubbio che dalla parte della ragione oggi stiano passando alla parte del torto.

Un altro tema al centro del vostro programma è l’autonomismo, tanto che lei si definisce “più leghista dei leghisti”. Cosa avete in mente su questo piano?

In Italia esiste già il modello altoatesino. Le province di Trento e Bolzano riscuotono le imposte in via diretta e versano il 10% allo Stato. I territori devono essere autonomi, devono poter riscuotere le imposte per poi distribuire a Roma la percentuale concordata. Ciò significa istituire uno Stato confederale, ed evitare che si governi con i “pagherò”, cioè con il deficit. Perché le ultime due leggi di stabilità del governo Meloni sono fatte con disavanzi da decine di miliardi. Noi sindaci siamo tenuti alla parità di bilancio, mentre chi sta sopra le nostre teste continua a spendere e spandere, comprandosi il voto degli italiani con le mancette.

Aspetti un momento. Di quali mancette parla?

Semplice. Dare 50 euro di sconto sul cuneo fiscale, per giunta a sei mesi dalle elezioni e per un periodo limitato, significa esattamente comprarsi il voto con una distribuzione di mancette (in realtà, il bonus in busta paga previsto dal governo può arrivare fino a 100 euro, a seconda del reddito, ndr). E poi, lo si sta facendo anche in deficit, e non con i risparmi generati dai tagli.

Ma nel Documento di economia e finanza il governo Meloni si è impegnato a mantenere questo sconto anche per il prossimo anno, quindi dopo le elezioni europee…

E i soldi dove li prendono? E infatti non l’hanno confermato. Qui non si interviene sulla struttura, ma si continua a dare mancette con i debiti. Questo per me significa comprarsi i voti, truffare gli italiani.

Sta dando della truffatrice alla premier?

A lei, come a quelli precedenti. D’altronde questo schema l’ha inaugurato Matteo Renzi, che nel 2019 aveva fatto la stessa operazione a due mesi dalle elezioni europee: è storia! Ci troviamo di fronte a truffatori del voto che quando arrivano lì fanno l’opposto di quello che hanno promesso. Aspettiamo ancora che Meloni tolga le accise. Aspettiamo che Meloni faccia il blocco navale. Aspettiamo che Forza Italia porti le pensioni minime a mille euro. Aspettiamo che Matteo Salvini elimini il canone Rai o la legge Fornero. Sono tutte str***ate da campagna elettorale.

Ma perché il cittadino dovrebbe pensare che Cateno De Luca e Libertà sono diversi da queste degenerazioni della politica?

Perché Cateno De Luca è un innovatore e un risanatore. Io ho amministrato cinque comuni, sono stato sindaco di Messina e della sua città metropolitana, che conta 800mila abitanti. Dove ho governato, ho rilanciato sistemi che oggi sono i più competitivi. Quindi noi siamo diversi: siamo gente che amministra, che fa poca politica e poche chiacchiere.

Gente che amministra, ma che per entrare in Europa deve superare la soglia di sbarramento. Lei è ottimista?

Ovvio, perché abbiamo già un punto di partenza: due anni fa la mia candidatura alla presidenza della Regione fu sostenuta da 500mila siciliani. Oggi stiamo chiedendo loro di riconfermare quel voto. E poi, fuori dalla Sicilia, abbiamo uomini e donne che stanno facendo una bella campagna elettorale: otterremo il mezzo milione di voti che ci manca per raggiungere il 4%. Non ho timori.

Ma gli ultimi sondaggi di YouTrend, Ipsos e SWG danno Libertà di Cateno De Luca intorno al 2%…

Bisogna vedere quali sondaggi si citano. Noto Sondaggi ci ha dato al 3%. Alessandra Ghisleri ci ha dato al 3,7% alla prima uscita (il 9 aprile 2024 a Porta a Porta, ndr). Sono tutti istituti nazionali e certificati: non è che uno sia più autorevole degli altri! E poi, i sondaggi sono indizi di cui non ho mai tenuto conto.

Il sondaggio di YouTrend del 23 maggio 2024
Il sondaggio di YouTrend del 23 maggio 2024
Comunque potrebbero esserci dei voti da recuperare. A quale bacino elettorale pensa di poter attingere?

Parto dal presupposto che molti che non vanno a votare sceglieranno noi. Io devo semplicemente riottenere la fiducia che mi è già stata data in Sicilia. Il resto è un risultato fatto. Ecco perché negli ultimi dieci giorni di campagna elettorale sono nella mia isola: è meno complicato riottenere la fiducia da chi te l’ha data, rispetto a chi non ti conosce.

Ipotizziamo che riuscirete a superare il 4%. In quale partito europeo vi collocherete?

Non staremo nelle famiglie che hanno trasformato l’Europa in una struttura liberticida, affaristica e lobbistica. Se ci sarà un gruppo di euroscettici, noi saremo lì.

Parla di Identità e democrazia di Salvini e Le Pen?

Stiamo dando per scontato che non si formino nuove famiglie europee. Non mettiamo le mani avanti. Se ci sono i numeri, si faranno. Questo sarà il nostro obiettivo.

Quindi auspicate una nuova famiglia più sovranista?

Ovvio.

Ma questa scelta non rischierebbe di creare malumori nelle frange più a sinistra all’interno di Libertà?

Ho detto che il nostro confine è quello: noi non possiamo entrare nelle famiglie che hanno contribuito a creare questa Europa. Punto.

Però lo scorso anno lei progettava un’alleanza con Matteo Renzi e Carlo Calenda, cioè con quello che allora era un partito liberale, centrista ed europeista…

Con i “ladri di Pisa”, che di giorno litigano e la notte vanno a rubare assieme, avevamo prospettato un matrimonio di interesse. All’epoca eravamo una forza solo meridionalista, per cui avevamo ragionato con l’allora Terzo Polo dicendo: “Noi siamo all’inizio e voi siete scarsi. O sommiamo le nostre posizioni e tentiamo di superare il 4%, mantenendo le nostre identità, oppure ognuno per la sua strada”. Tant’è vero che poi uno di loro ha fatto una lista di scopo: lo scopo è superare il 4%, mica altro!

Quindi non eravate accumunati da un progetto, ma da pura convenienza politica?

Assolutamente. Dovevamo chiamarlo “matrimonio di interessi”, e “a tempo”, per giunta.

E poi cos’è successo?

Abbiamo rotto nel momento in cui ognuno se n’è andato per i fatti propri. Siamo stati tirati dalla giacca da Renzi per “ammazzare” Calenda, da Calenda per “ammazzare” Renzi… e a un certo punto abbiamo capito che avevamo a che fare con persone poco serie e li abbiamo mandati a quel paese.

Ma anche Libertà potrebbe essere vista come un “matrimonio di interessi” tra Cateno De Luca e le altre 19 forze in campo. Cosa vi tiene insieme al di là della pura convenienza?

Il 2 marzo ho lanciato un appello su un comun denominatore: “meno Europa, più Italia, più sovranità, più equità”. Delle altre tematiche non mi importava. Da questi concetti cardine abbiamo delineato un programma di 20 punti su cui siamo tutti d’accordo. E il 6 aprile abbiamo presentato la nostra coalizione.

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