Viaggio nell’Europa populista: Danimarca, il caso socialdemocratico

Populismo. Una parola che negli ultimi anni si è sentita sempre più spesso. In Europa è di uso diffuso per categorizzare quei partiti e movimenti politici che intendono rappresentare il popolo. Dunque, mettersi dalla parte dei cittadini, andando allo stesso tempo contro l’establishment e le élite. Il populismo è una prassi che mira a esaltare i valori positivi delle grandi masse, che può essere usato indistintamente per gruppi di destra e di sinistra. Se per la sinistra ci sono esempi come peronismo e chavismo, bisogna ammettere che i partiti e movimenti populisti più conosciuti tendenzialmente hanno origini di destra: la Lega di Matteo Salvini nel nostro paese, il Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia, il Brexit Party di Nigel Farage nel Regno Unito, o ancora l’attuale presidenza repubblicana di Donald Trump negli Stati Uniti.

Esistono poi altri partiti populisti in paesi tecnicamente minori, che sono anche difficilmente collocabili nei tradizionali schemi politici, destra o sinistra, come accade in Danimarca. È il caso del Partito Popolare Danese, classificato generalmente come conservatore. Il Dansk Folkeparti, diretto da Kristian Thulesen Dahl, ha un’economia che potremmo definire di sinistra, perché ampiamente a favore di un robusto stato sociale e di politiche per la ridistribuzione del reddito al fine di limitare disuguaglianze socioeconomiche fra le varie classi sociali. Ma poi ha una politica sull’immigrazione tecnicamente di destra, dato che il Partito Popolare Danese si oppone all’arrivo in massa di persone provenienti dall’estero, specie dai Paesi musulmani, considerati incompatibili a livello culturale con la società danese.

Kristian Thulesen Dahl, il leader del Dansk Folkeparti, Partito Popolare Danese

Il Dansk Folkeparti è stato fondato nel 1995 dallo stesso leader Kristian Thulesen Dahl e altri soci, che avevano abbandonato il Partito del Progresso. Alle prime elezioni a cui ha partecipato, 1998, ha ottenuto il 7,4%, salendo poi costantemente oltre il 12% nelle successive chiamate al voto. Il Partito Popolare Danese è stato determinante per il governo di centro-destra del liberale Anders Fogh Rasmussen nel 2001, per poi concedere sostegno esterno agli esecutivi eletti nel 2005 e nel 2007. Sotto il 7% alle Europee del 2004, il Dansk Folkeparti è salito al 15,28% a quelle del 2009. Passato all’opposizione in Danimarca alle politiche del 2011, dopo un’intensa campagna anti-immigrazione contro le politiche del Vecchio Continente, ha ottenuto un sorprendente boom di consensi alle Europee del 2014, dove con il 26,6% è diventato addirittura il primo partito danese, eleggendo quattro deputati al Gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei. Alle parlamentari del 2015 è tornato a concedere sostegno parlamentare al governo. Ma nell’ultima chiamata al voto del giugno 2019, qualcosa è cambiato. Il partito guidato da Kristian Thulesen Dahl è infatti sceso vertiginosamente all’8,8%, calando da 37 a 16 seggi in Parlamento.

Un voto che ha spiazzato davvero tutto il Paese. Perché per la prima volta dopo tanto tempo, una forza della sinistra si è imposta alle elezioni, ma con un’impostazione inedita e opposta a quella storica sull’immigrazione di massa. La leader del Partito Socialdemocratico, Mette Frederiksen, ha deciso di cambiare completamente rotta, dichiarando in sostanza che la Danimarca è un piccolo paese che non può accogliere tutti. Per lei l’immigrazione di massa può cambiare il volto, la natura e l’identità della propria nazione, quindi, per volere ancora il Paese che conosce, ci deve mettere un freno. Allo stesso tempo ha optato anche per l’innalzamento delle tasse ai più ricchi, con l’accrescimento delle politiche del welfare e il rilancio dei diritti dei lavoratori. Una doppia manovra che ha premiato i Socialdemocratici, che semplicemente hanno trattato i temi più sentiti dal popolo, quelli che creano maggiore divisione e maggiore partecipazione emotiva.

Mette Frederiksen, leader dei socialdemocratici, è dal 27 giugno 2019 a capo del governo danese

Tecnicamente, la Danimarca è un piccolo paese, ma questo voto può avere un grande significato in gran parte dell’Europa, perché il populismo è stato sconfitto sullo stesso campo di competenza. Parliamo dello stato della socialdemocrazia perfetta, con un sistema modello di welfare, nonché del paese più ambientalista d’Europa e forse del mondo, dove ci sono poche persone molto ricche e ancora meno molto povere. Ma oggi l’immigrazione è il tema che crea più emozioni contrapposte di tutti, perché viene percepito non solo come un problema settoriale. Significa multi-culturalismo e globalizzazione, tanto che il populismo è un fenomeno di rivolta che diventa politico quando i contenuti vengono trattati in maniera più ampia. I danesi hanno deciso però di cavalcare quest’onda e abbandonarla quando i contenuti sono stati rielaborati e restituiti dal Partito Socialdemocratico, che ha voluto limitare la quantità d’immigrazione per non cambiare la qualità identitaria danese.

Nel nostro Paese è forse l’unico argomento di dibattito politico da due anni a questa parte, cavalcato alla grande dalla Lega più degli altri partiti. In Danimarca potremmo dire che la copia ha battuto l’originale, con i Socialdemocratici che hanno sconfitto il Partito Popolare sul loro stesso territorio. Si potrebbe dire che il populismo di sinistra ha superato il populismo di destra, con un voto danese che rischia di avere risvolti importanti in tutta l’Europa. E adesso quale sarà il futuro del Dansk Folkeparti? E quale sarà il futuro del populismo?

 

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