«Aiutatemi, stanno cercando di farmi quello che hanno fatto a George Floyd», è il grido d’aiuto di Keenan Anderson, insegnante afroamericano ucciso dalla polizia a Los Angeles. Il 31enne era cugino di Patrisse Cullers, la fondatrice di Black Lives Matter.
Si tratta della terza vittima nei primi tre giorni del 2023 nella metropoli californiana. Visti i precedenti, ci si attende che il caso farà discutere nelle prossime settimane e non si possono escludere nuove ondate di proteste popolari.
La ricostruzione della vicenda
L’episodio risale allo scorso 3 gennaio, ma le immagini sono state diffuse dalla polizia solo 9 giorni dopo. I video della vicenda hanno fatto il giro del mondo e sono diventati virali sui social. Stando alle ricostruzioni, Anderson è stato coinvolto in un incidente automobilistico a Los Angeles. Visibilmente sotto shock, camminava lungo la strada in cerca di aiuto. La polizia, immediatamente giunta sul posto, gli ha ordinato di spostarsi sul marciapiede e di mettersi contro il muro. Nonostante l’iniziale accondiscendenza del ragazzo, gli agenti hanno manifestato un atteggiamento aggressivo, riprendendo tutta la scena con una body-cam. La paura lo ha indotto a tentare la fuga ma, dopo pochi metri, è stato atterrato e ammanettato. I video mostrano uno dei due agenti bianchi bloccare Anderson al suolo, con il gomito schiacciato sul collo. Il ragazzo, visibilmente spaventato, non reagisce all’aggressione. Poi un altro poliziotto si serve di un teaser per scaricare due scosse da 50 mila volt di elettricità sulla schiena dell’insegnante, già inerme a terra. Sul posto è arrivata subito l’ambulanza che ha trasportato Anderson in ospedale. Qui verrà dichiarato morto per arresto cardiaco.
Il precedente di George Floyd
«I can’t breath!», la frase di George Floyd durante la morte, diventata il simbolo delle proteste di Black Lives Matter. Anderson deve aver pensato a questa espressione mentre veniva bloccato dal gomito dell’agente sul collo. L’episodio della sua morte ricalca esattamente l’omicidio di Floyd a Minneapolis, in Minnesota, il 25 maggio 2020.
Floyd era deceduto dopo che un agente delle forze dell’ordine lo aveva strozzato, immobilizzandolo con il ginocchio sul collo. Il filmato del violento arresto di Floyd ha avuto vasta diffusione sui media internazionali. Lo sdegno mondiale ha portato a centinaia di manifestazioni contro l’abuso di potere della polizia e i suoi comportamenti razzisti. Ma ha avuto anche delle conseguenze negative. Se da un lato le ondate di protesta hanno sollevato consapevolezza nell’opinione pubblica circa la questione razziale, dall’altro hanno generato atteggiamenti di odio e risentimenti contro le forze dell’ordine. Basti pensare alla decisione del consiglio comunale di Minneapolis di sciogliere un intero Dipartimento di polizia.
La polizia sotto accusa
La violenza della polizia nei confronti degli afroamericani è un tema centrale nell’agenda politica di Karen Boss, sindaco di Los Angeles. La prima cittadina ha espresso «forti preoccupazioni per i video profondamente inquietanti». La polizia di Los Angeles si è subito difesa dalle accuse. Secondo Michael Moore, capo delle forze dell’ordine della città, il comportamento di Anderson sarebbe stato bizzarro e nel suo sangue sono state rinvenute tracce di cannabis – legale in California – e cocaina. «Mio cugino chiedeva aiuto e non l’ha ricevuto, anzi l’hanno ucciso. Nessuno si merita di morire nel panico e nella paura», ha commentato la fondatrice di BLM Patrisse Cullors. L’attivista ha proseguito ricordando che suo cugino Keenan ha passato gli ultimi 10 anni guardando crescere un movimento che sfida le uccisioni degli afroamericani.