Rivoluzione o speculazione? Truth, l’ultima pazza idea di Trump

Il suo esilio social  è terminato. Donald Trump non si arrende, anzi rilancia. Lo fa con Truth Social, nuova piattaforma disponibile dal 21 febbraio 2022. Per capire cos’è e come utilizzarla, la maniera più efficace è pensare a Twitter. Secondo molti analisti, infatti, le due app sono identiche

La caratteristica principale di Truth sta nel suo claim. Sul sito ufficiale si definisce «la piattaforma sociale americana del movimento big tent»: il partito repubblicano americano. Ma non solo, perché sulla piattaforma si legge anche che il social incoraggia «una conversazione globale aperta, libera e onesta, senza discriminare l’ideologia politica». 

Il nuovo social network di Donald Trump
Un inizio difficile

Finora non è andato tutto liscio. In fase di iscrizione ci sono stati molti problemi, a partire da una lista d’attesa di oltre 300mila persone. In più, se l’esordio di Truth al primo posto nella classifica delle applicazione più scaricate sul digital store di Apple faceva ben sperare, a distanza di due settimane il nuovo social è già finito alla posizione 57. Con il numero di utenti in coda aumentato a oltre a 1 milione. 

Una contraddizione proviene poi dai termini di servizio e dalla politica di moderazione, molto più stringenti rispetto a quelli dei social media tradizionali. Un esempio: dire il falso (o ciò che Truth ritiene lo sia) comporta la sospensione o il ban, così come la pubblicazione di contenuti diffamatori, ingannevoli, «calunniosi o discutibili». Addirittura Twitter, che nel gennaio 2021 insieme a Facebook e YouTube aveva sospeso l’account di Trump in seguito all’assalto a Capitol Hill, ha termini di servizio dalle maglie più larghe. Nelle sue regole, Truth Social promette di eliminare qualsiasi contenuto «falso, impreciso o fuorviante» e afferma che gli utenti devono «avere il consenso scritto, il rilascio e/o il permesso di ogni singola persona identificabile» in ogni post .

L’ex politico e il banchiere di Miami: chi sono gli uomini di Trump

La mela non cade mai troppo lontana dall’albero. E Trump si tiene stretti i suoi collaboratori. Lo ha fatto con David Nunes, per vent’anni membro del Congresso in California tra i repubblicani. A gennaio ha annunciato le sue dimissioni per acquisire il ruolo di CEO della nuova Trump Media & Technology Group. Ha lasciato la poltrona in cambio di un ruolo esposto e rischioso. In una struttura aziendale tutt’altro che chiara.

David Nunes durante la presidenza Trump

Si sa poco altro dell’organigramma di TMTG, ciò che è certo è la fusione avvenuta con DAWC (Digital World Acquisition Corp): società per investimenti collettivi. Una sinergia che ha consentito la quotazione in borsa della nuova creatura di Trump. Il Chairman è Patrick Orlando, abile banchiere di Miami. L’acquisizione ha fatto esplodere il valore di TMTG, fino a oltre 1 miliardo di dollari. Annunciata il 21 ottobre, in Borsa ha raggiunto il picco del +736% rispetto ai sei mesi precedenti. Quella di Mr. Orlando ha i tratti di una Spac, special purpose acquisition company: società creata ad hoc per comprare, far circolare denaro e poi sparire.

Il picco registrato in Borsa il 22 ottobre, data della fusione annunciata tra Truth e DAWC

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un’operazione poco chiara. Orlando è stato anche costretto a smentire voci su presunti rapporti della sua azienda con un’altra con sede a Wuhan, in Cina. Società che avrebbe permesso alla DAWC di raccogliere oltre 300 milioni di dollari per la fusione con TMTG. La senatrice democratica Elizabeth Warren ha chiesto al Sec (Securities and Exchange Commission), ente federale preposto alla vigilanza della Borsa negli Stati Uniti, di indagare e far luce sui movimenti finanziari avvenuti.

Le bistecche, il Tour de Trump e l’acqua Ice: i «fallimenti» dell’ex presidente Usa

L’ennesimo progetto-bolla di Trump o una rivoluzione in piena regola? Truth è solo l’ultima idea rivoluzionaria del magnate newyorkese. Nel 1989 organizzò una corsa di ciclismo su strada, dedicata esclusivamente a uomini. Si chiamava: «Tour de Trump». Dopo appena due edizioni, fu soppressa. Dalle due ruote alle bistecche. Nel 2007 la tv americana fu inondata di spot pubblicitari: protagonista un Trump paffuto e felice mentre assaggiava le sua carne. Lanciata a maggio, già nel luglio dello stesso anno la vendita fu sospesa. Colpa, probabilmente, dei prezzi elevati del prodotto: ogni confezione costava tra i 199 e 999 dollari.

Trump Steaks, progetto lanciato da Trump nel 2007

Al netto dei progetti andati male, Trump si è arricchito con hotel, casinò, golf club e con la costruzione di grattacieli. Ideatore di importanti concorsi di bellezza come Miss Usa e Universo, anche del programma televisivo The Apprentice. Spesso il suo fiuto per gli affari lo ha tradito. Coinvolto in oltre 4000 cause legali, tra cui numerose per bancarotta. L’ex presidente Usa è stato più volte obbligato a risarcire i danni: come nel caso della Trump University. Un’accademia che proponeva corsi per «insegnare il successo e diventare ricchi»: il tycon statunitense ha sborsato 25 milioni di dollari per porre fine ai tre processi in cui era coinvolto.

Trump Ice: l’azienda lanciata nel ’95

Durante la campagna elettorale per le elezioni del 2016, tanti erano i gadget indossati e sventolati dai suoi sostenitori durante i comizi. Con gli slogan «America First» o «Make America Great Again» su t-shirt, felpe e berretti: tutti prodotti in Asia. Più che una contraddizione. Con Trump Ice, il magnate americano ha lanciato nel ’95 una linea di acqua con la sua faccia. Prima venduta soltanto nei casinò di proprietà, poi distribuita nei supermercati. Produzione terminata nel 2010 per un progetto mai realmente decollato.

Valeriano Musiu

Classe 1992. Ho studiato letteratura e cinema, ma nel tempo mi sono appassionato all’ambiente, all’economia circolare e alle questioni di genere. A 24 anni ho seguito Alice nel Paese delle Meraviglie della televisione, lavorando prima nell’intrattenimento e poi nelle news, con in mezzo un’esperienza da copywriter in un’agenzia pubblicitaria. Adesso it’s all about journalism, con la voglia di condividere storie e analizzare i fatti per raccontare il mondo, una parola alla volta.

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