Patrick Zaki è stato condannato a 3 anni di carcere dal tribunale di Mansura, in Egitto. L’attivista e ricercatore egiziano dell’Università di Bologna ha già scontato un anno e 10 mesi, e dovrebbe ancora scontare quindi un anno e due mesi.
I suoi avvocati hanno riferito che la sentenza è stata comunicata loro in modo poco chiaro e trasparente: un membro della sicurezza si sarebbe avvicinato e avrebbe annunciato semplicemente la condanna, per poi portarlo via. Zaki avrebbe attraversato la gabbia degli imputati tra le grida e le lacrime della madre e della fidanzata.
LE ACCUSE A ZAKI
Al momento le accuse a suo carico non sono chiare: Zaki era accusato di “diffusione di notizie false dirette a minare la pace sociale”, “incitamento alla protesta sociale senza permesso”, “istigazione a commettere atti di violenza e terrorismo”, “gestione di un account social che indebolisce la sicurezza pubblica” e “appello al rovesciamento dello stato”, accuse giudicate false e pretestuose dagli osservatori indipendenti.
Il legale di Zaki specifica che la sentenza non è appellabile, né è possibile un giudizio di cassazione.
LE TAPPE DELLA VICENDA GIUDIZIARIA
Tutto inizia il 7 febbraio 2020 quando il giovane, tornato nella sua terra d’origine per fare visita ai parenti, viene catturato dagli agenti dei servizi segreti egiziani immediatamente dopo il suo atterraggio all’aeroporto del Cairo, alle 4 di mattina.
La polizia egiziana ha scritto nel verbale d’arresto che Zaki è stato arrestato il giorno dopo a un posto di blocco nel quartiere Jadyala a Mansura. Ma il suo avvocato difensore racconta una verità diversa: secondo lui, Patrick sarebbe stato bendato, spogliato e torturato per 17 ore consecutive con colpi allo stomaco, alla schiena e con scariche elettriche. Sarebbe stato interrogato sul suo presunto legame con la famiglia di Giulio Regeni e sul suo impegno politico, venendo minacciato anche di stupro. La Procura Generale ha dichiarato di aver constatato lo stato di salute, affermando che il giovane non riportava ferite sul corpo, negando quindi che fosse stato torturato.
Inizialmente portato nel carcere di Talkha, è stato trasferito a Mansura il 25 febbraio 2020 ed è stata fissata la sua prima udienza in tribunale il 7 marzo successivo. Trasferito poi nella prigione di Tora, al Cairo, nota per ospitare i prigionieri politici, era stato detenuto senza poter comunicare con l’esterno per mesi e poter ricevere visite dalla sua famiglia.
Il giorno prescelto non si è tenuta alcuna udienza: infatti il tribunale competente ha rinnovato la detenzione preventiva fino al 21 marzo, udienza che è stata poi nuovamente posticipata a causa della pandemia in corso. La detenzione preventiva (ovvero Zaki era in attesa di essere processato) è stata prolungata varie volte nei periodi successivi, prima di 15 giorni, dopo di 45 giorni.
Il processo è finalmente iniziato il 14 settembre 2021: la Procura Suprema per la Sicurezza dello Stato ha sostenuto al processo una sola accusa del mandato d’arresto, ovvero la “diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese”, in relazione a un articolo a firma Zaki, pubblicato nel 2019 sul giornale libanese Daraj. Nell’articolo incriminato, il giovane raccontava persecuzioni e discriminazioni subite dalla comunità copta egiziana, di cui fa parte la sua famiglia. Negli ultimi tre anni e mezzo, l’attivista ha trascorso 22 mesi in carcere. Il 7 dicembre 2021, al termine della terza udienza, il tribunale ha ordinato la sua scarcerazione.
LE REAZIONI ALLA SENTENZA
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, ha definito sui suoi profili social la condanna come “il peggiore degli scenari possibili”. A Bologna, città in cui si è laureato nei giorni scorsi, è stata organizzata una manifestazione in solidarietà.
Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha affermato “Il nostro impegno per una soluzione positiva sul caso non è mai cessato, continua, abbiamo ancora fiducia”.
La segretaria del Pd Elly Schlein ha commentato: “È un’ingiustizia gravissima quella che paga sulla sua pelle Patrick Zaki e chi si è battuto in questi anni per la sua libertà oggi soffre moltissimo a vedere le immagini di lui portato via dal tribunale”.