La convivenza difficile tra copti e musulmani in Egitto: il contesto dell’affaire Zaki

Il caso di Patrick Zaki, studente egiziano copto iscritto all’Università di Bologna e arrestato il 7 febbraio 2020, ha raggiunto una svolta inaspettata. Dopo decine di richieste di scarcerazione da parte della famiglia, della legale e dal Parlamento europeo, il ricercatore ha finalmente potuto riacquistare la libertà dopo 22 mesi di detenzione.

L’arresto, ripercorrendo l’intera vicenda, risale appunto all’inizio del 2020 quando Patrick Zaki, al rientro in patria in occasione delle vacanze, è stato fermato all’aeroporto del Cairo dalle autorità locali. Il motivo iniziale dell’interrogatorio sembrava essere la collaborazione con alcune Ong egiziane e del suo attivismo su tematiche sociali e di parità di genere.

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Il manifesto per la scarcerazione di Patrick Zaki

Successivamente, però, la verbalizzazione del fermo ha preso una piega differente: Patrick Zaki viene arrestato per via di un post, pubblicato nel 2019 sul sito egiziano Darraj, a difesa della minoranza cristiana dei copti a cui Zaki appartiene.

«Non passa mese senza tragici episodi ai danni dei copti, i cristiani d’Egitto, dai tentativi di espatrio nell’Alto Egitto, ai rapimenti, alla chiusura di chiese o agli attentati dinamitardi e simili».

In questi termini, Patrick Zaki sotto falso nome ha scritto l’articolo d’accusa contro il governo egiziano. La volontà è di raccontare le decine di discriminazioni che ricevono i cristiani copti nell’arco di una settimana. Razzismo sistematico e ingiustizie legislative che vengono consumate regolarmente nonostante contrastino con i principi musulmani della Shari’a. Secondo quest’ultima, infatti, «i cittadini sono uguali davanti alla legge e non esiste discriminazione tra loro». Un articolo che, secondo Zaki, non impedisce che i cosiddetti “dhimmi”, ovvero i non musulmani, vengano considerati inferiori rispetto ai concittadini musulmani.

In quanto l’Egitto è la patria dell’Islam.

Chi sono i copti

I copti rappresentano la più vasta comunità cristiana del Medio Oriente, situata principalmente in Egitto dove si è stanziata nel I secolo. Sono un gruppo etnoreligioso che rappresenta circa il 10% della popolazione egiziana e parla una propria lingua liturgica, il copto.
Il legame con il territorio risiede anche nell’etimologia del nome della comunità: il termine «copto» deriva, tramite il greco còptos, dall’arabo al-qubṭ, a sua volta derivato probabilmente dall’antico greco aigǘptios che significa egiziano.

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Il Patriarca Tawadros II con Papa Francesco

La Chiesa copta ha avuto origine dal messaggio di San Marco evangelista, che predicò in Egitto sotto l’impero di Nerone, determinando il passaggio dalla religione tradizionale a quella cristiana. Successivamente, con il Concilio di Calcedonia nel 451, i copti si distaccarono dalla chiesa latina e greca in quanto non accettarono la definizione di Cristo come due nature in una persona, quella umana e quella divina.
Solo dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965) è iniziato un cammino ecumenico che ha portato, nel 1973, a un primo incontro tra Papa Paolo VI e il Papa copto Shenouda III. Oggi la maggior parte della comunità copta aderisce alla Chiesa ortodossa copta, la cui sede si trova ad Alessandria d’Egitto. Al Patriarca, oggi Tawadros II in carica dal 2012, spetta il titolo di Papa.

Un dialogo difficile tra le due sponde d’Egitto

Il gruppo religioso è originario dell’Egitto, in cui il cristianesimo è stato dominante durante tutta l’occupazione romana. Anche dopo la conquista da parte degli arabi musulmani, i copti sono rimasti la più grande minoranza religiosa del Paese, rappresentando circa il 15% della popolazione egiziana. Nel bacino del Medio Oriente costituiscono la più grande comunità cristiana, in adesione con la Chiesa ortodossa copta. Nonostante il termine “copto”, etimologicamente, si riferisca a tutte le persone di origine egiziana, è stato in seguito alla massiccia conversione all’Islam che il termine iniziò ad essere associato agli egiziani cristiani che non si erano convertiti. 

La convivenza dei cristiani copti con la comunità egiziana non è affatto pacifica. Nonostante gli appartenenti a questa minoranza siano un numero superiore a 10 milioni, in Egitto sono stati spesso al centro di episodi discriminatori. Questa condizione deriva dal fatto che l’impianto giuridico dei paesi nordafricani è ancora fortemente basato sulla legge islamica, la Shari’a. Per i copti il dialogo con l’Islam è ancora possibile ma i frequenti attacchi degli estremisti ai luoghi di culto e alle figure religiose ha reso difficile un legame

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Nabil Khadim, commerciante copto rapito e ucciso dall’Is

sereno. Nel 2017 un gruppo di 35 cristiani copti, diretti a un monastero nell’Alto Egitto, sono stati uccisi in un conflitto a fuoco, mentre nell’aprile di quest’anno il commerciante Nabil Khadim è stato rapito e ucciso dall’Is. L’uomo apparteneva a una famiglia tra le più antiche della comunità copta dell’area.

Secondo fonti autorevoli egiziane, il governo sarebbe perfettamente a conoscenza della situazione. In alcuni casi – confermano – sarebbe stato addirittura complice degli incidenti avvenuti nei confronti della comunità cristiana. 

Le minoranze fanno da scudo al potere politico

E sulla difficile condizione dei copti influiscono anche le vicende politiche degli ultimi anni. Un tempo terra di faraoni, l’Egitto ha affidato il proprio destino nelle mani di “uomini forti” anche nel periodo più recente della propria storia. Da Nasser a Sadat, da Mubarak ad Al Sisi, il potere del presidente egiziano si è sempre basato sul pieno controllo dello Stato, sia in campo giudiziario che amministrativo, ma soprattutto in quello militare. La Costituzione del 1971, infatti, conferiva al capo di Stato il comando delle forze armate, la nomina del primo ministro, del Consiglio dei ministri e dei governatori provinciali, ma anche la scelta delle più importanti figure religiose e dei giudici dell’Alta corte, nonché il diritto di veto sulle leggi. A seguito delle primavere Arabe, che nel 2011 hanno portato alla caduta di Mubarak, è partito un processo di riforma costituzionale, ispirato inizialmente dalla spinta al cambiamento voluta dai Fratelli Musulmani.

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Piazza Tahrir al Cairo durante la “Primavera araba” del 2011

Proprio in questa direzione andava il testo di stampo marcatamente islamico approvato nel 2012, sotto il presidente Mohamed Morsi. Tuttavia, dopo il colpo di Stato del 2013 ad opera del generale Abdel Fattah Al Sisi, il processo di modifica ha preso completamente un’altra strada, ritornando in parte sui passi della Costituzione del ’71. La nuova legge fondamentale del 2014, però, è andata oltre, conferendo ai militari uno status privilegiato e istituzionalizzando l’influenza dell’esercito sulla gestione politica dell’Egitto con prerogative tipiche di una dittatura militare. Dall’autonomia prevista per l’esercito nella gestione delle finanze al controllo dei tribunali militari anche sulle attività dei civili, quello costruito dal testo di legge risulta essere un vero e proprio Stato di Polizia, guidato dal Generale Al Sisi.

In sostanza, anche grazie ad una successiva riforma del 2019, il presidente è riuscito ad ostacolare il ritorno della rivoluzione e garantirsi il potere a vita. Per motivare le proprie azioni a livello internazionale, Al Sisi si è poi eretto a paladino della libertà religiosa. Dopo questa mossa mediatica, il Generale ha messo al bando tutti i partiti politici di stampo religioso ed ha istituito tribunali speciali per contrastare il terrorismo, inserendo i Fratelli musulmani, suoi rivali, tra le organizzazioni pericolose e perseguendone gli affiliati con la pena di morte.

Nonostante ancora oggi Al Sisi si definisca un sostenitore dell’Islam riformista e difensore delle minoranze, la sua azione politica ha contribuito a creare un’evidente instabilità civile. In particolare, l’ampliamento del potere giudiziario nelle mani dell’esercito, è risultato decisamente indigesto alla popolazione egiziana, in larga parte musulmana e che nel 2011 aveva condiviso lo spirito della rivoluzione. In aggiunta, il tentativo di nascondere la repressione degli oppositori sotto la tutela della libertà religiosa, ha creato nel Paese un clima di ostilità nei confronti delle minoranze cristiane, ritenute da una parte della popolazione musulmana fautrici del regime militare, esponendole così a discriminazioni e attentati.

 

 

Francesco Lo Torto

Giornalista praticante fiorentino trapiantato a Milano. Leggo, ascolto, parlo e scrivo di politica e geopolitica. Da quando è arrivata l'adolescenza scrivo e compongo musica, da prima ancora mi emoziono con lo sport. Laureato in Editoria e Comunicazione all'Università degli Studi di Milano.

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