«Allah Akbar». E poi una serie di coltellate e martellate, noncurante della mira. L’importante era uccidere qualcuno. La sera del 2 dicembre 2023 un uomo vestito di nero ha scatenato il terrore sotto la Tour Eiffel.
Il bilancio dell’attentato è di un morto, un cittadino tedesco nato nelle filippine, e di due feriti. Una è la moglie della vittima, l’altro un passante che ha cercato di fermare l’assalitore. Dopo un breve inseguimento le autorità lo hanno circondato, immobilizzato con un taser e arrestato.
L’attentatore era a rischio radicalizzazione
Il responsabile si chiama Armand Rajabpour Miyandoab. È un cittadino francese di origini iraniane già noto all’intelligence d’oltralpe. Era già stato schedato come “a rischio radicalizzazione” e arrestato nel 2016 con l’accusa di voler organizzare un attentato in un centro commerciale e voler partire come Foreign Fighter per la Siria. Il processo si era concluso con quattro anni di carcere e l’obbligo di essere seguito da specialisti per i suoi disturbi psichiatrici.
Ancora sangue nel cuore dell’Europa per mano di un estremista islamico, Armand Rajabpour-Miyandoab, 26 anni, nato in Francia, noto alle Forze dell’ordine e già arrestato nel 2016.⁰Non è un “caso psichiatrico”, ma un attacco – l’ennesimo – alla sicurezza, alla pacifica convivenza… pic.twitter.com/DNPnqi6bwH
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) December 3, 2023
Come il fondamentalista che due mesi fa uccise nel liceo di Arras il professore Dominique Bernard, anche Miyandoab era sotto sorveglianza dei servizi segreti. Ma il sistema ha fallito di nuovo. Il cittadino francese ha eluso facilmente le misure di controllo ed è riuscito a compiere l’attentato. Secondo una fonte citata dal giornale francese Le Figaro, la DGSI (Direction centrale du renseignement intérieur, l’antiterrorismo francese) riteneva che il soggetto avesse abbandonato la religione dopo la detenzione. Errore di analisi che è costato la vita di un uomo.
La rivendicazione di appartenenza all’ISIS e Gaza
Wassim Nasr, giornalista di France24, ha riferito che prima dell’attentato il terrorista aveva girato un video di due minuti. Nella clip, Miyandoab sosteneva di essere un «sostenitore del califfato dello Stato Islamico» e di agire fedelmente in nome del califfo Abou Hafs, quinta carica in comando dell’ISIS. Il suo obiettivo era vendicare i suoi fratelli musulmani uccisi in tutto il mondo e, in particolare, a Gaza.
Il riferimento alla vendetta nei confronti dell’occidente sarebbe stato ribadito anche sulla scena del delitto. Come riferito da Gérald Darmanin, ministro dell’Interno di Parigi, dopo l’arresto ha avrebbe dichiarato di «non poterne più dei musulmani che muoiono in Afghanistan e in Palestina».
Lupi Solitari: Perché è quasi impossibile anticiparli
Nonostante le autorità non abbiano ancora accertato l’appartenenza di Miyandoab all’ISIS e l’effettiva organizzazione dell’attacco, il modus operandi dell’attentatore sembrerebbe quello classico dei Lupi Solitari. Assalitori che agiscono individualmente, senza alcun addestramento o supporto tecnico da parte di un’organizzazione terroristica, usando risorse e target in linea con le loro capacità. Solitamente, i lupi solitari rivendicano l’appartenenza a un’organizzazione, anche se non hanno mai avuto contatti diretti con i membri.
Questo tipo di attentati risultano in un numero di vittime molto più basso rispetto a un attentato accuratamente coreografato da un’organizzazione come ISIS o Al Qaeda. Ma, proprio perché sono a completa discrezione dell’individuo e senza pianificazione, sono totalmente imprevedibili.
L’attacco individuale è una tecnica cara da tempo ai fondamentalisti islamici. Il primo a svilupparla fu Abu Musab al-Suri, membro del direttivo di Al Qaeda negli anni novanta. Secondo il terrorista, in occidente la jihad deve compiere attacchi di basso livello tecnologico e operativo. Questo perché, a differenza di altri teatri della guerra santa, le organizzazioni non possono permettersi di agire in grandi battaglioni. Qui di seguito, Le Parisien ha individuato il possibile percorso di radicalizzazione dell’attentatore.
A rendere i lupi solitari una pratica mainstream del terrorismo contemporaneo è stata però l’ISIS. Lo Stato Islamico è stato il primo gruppo terroristico a sfruttare internet e social media per influenzare il mondo musulmano a compiere attacchi. A differenza dei fondamentalisti della generazione precedente, oggi il concetto di lupo solitario dell’ISIS è più democratico. Chiunque può diventare un mujaheddin seguendo le istruzioni ideologiche e tattiche diffuse sulla rete.
Secondo un paper pubblicato da Eitan Azani, direttore dell’ International Institute for Counter Terrorism (ICT) dell’università Reichman in Israele, l’uso dei social network da parte dello Stato Islamico ha portato al reclutamento di più di 30.000 tra Foreign Fighters e Lupi Solitari da circa 65 paesi.
Lupi Solitari e Branchi virtuali
Gabriel Weimann, accademico israeliano apripista negli studi del legame tra terrorismo e internet, sostiene che la metafora dei lupi solitari non sia corretta. Questo perché i lupi non cacciano mai da soli. Ma in branco.
Nel caso dei moderni attentatori individuali, il branco è virtuale. Non sono persone interamente tagliate fuori dalla società. Qualcuno agisce per reclutarli, avviare un processo di radicalizzazione e dirigere le loro mosse. Organizzazioni come ISIS, Al Qaeda, Hamas, Jabat al-Nusra, AQAP, sfruttano social network e ogni strumento digitale per disseminare la propria propaganda. Ogni contenuto postato dalle organizzazioni è accuratamente coreografato per generare sentimenti che, partendo da condizioni di marginalità sociale, possono avviare un processo di radicalizzazione nei target.
Secondo i dati elaborati da Weimann, nella maggior parte dei casi i lupi solitari sono individui che faticano a stabilire rapporti umani nel mondo fisico. D’altra parte sulla rete riescono a creare un ampio network di amicizie e conoscenze. Il sentimento di inclusione sociale derivante dai gruppi online sui social network promuove il processo di radicalizzazione e normalizza i comportamenti violenti.
Oggi, dunque, un aspirante terrorista non ha bisogno di frequentare moschee radicali o i polverosi campi di addestramento di Siria e Afghanistan. Tutto ciò che serve per scoprire un’ideologia radicale e diventare un perfetto mujaheddin, è una connessione internet.
A cura di Ettore Saladini