«La Bielorussia interromperà le forniture verso l’Europa se le sanzioni dell’Occidente la metteranno in una posizione di emergenza»: così ha detto il presidente-dittatore bielorusso Alexander Lukashenko a RIA Novosti, agenzia d’informazione russa. La minaccia di bloccare il transito del gas russo verso il Vecchio continente è arrivata dopo che l’UE ha sanzionato la Bielorussia per la gestione della crisi dei migranti al confine con la Polonia. Parole che hanno destato clamore nelle cancellerie del nostro continente, visto che lo Yamal-Europe è uno dei gasdotti più importanti in Europa.
Il braccio di ferro fra Lukashenko e l’Ue
Il 2 dicembre 2021 l’Unione Europea ha adottato il quinto pacchetto di sanzioni nei confronti della Bielorussia. Misure restrittive verso Minsk erano già state imposte nell’ottobre 2020 dopo l’accusa di brogli elettorali durante le elezioni presidenziali. Lukashenko, a capo della Bielorussia dal 1994, viene considerato “l’ultimo dittatore d’Europa”: il suo regime è infatti caratterizzato da repressioni a danno di manifestanti, membri dell’opposizione e giornalisti.
Oltre a lui sono stati sanzionati funzionari dei servizi segreti, politici e anche diversi imprenditori. Le persone segnalate sono sottoposte al congelamento dei beni e al divieto di transito nei territori dell’UE. Le prime sanzioni risalgono al 2004 e sono connesse alle sparizioni di alcuni oppositori tra il 1999 e il 2000. Le continue violazioni dei diritti umani hanno portato il Consiglio europeo a imporre un embargo sulle armi e le attrezzature a fini di repressione interna nel 2011.
Qualche piccolo passo in avanti era stato fatto cinque anni più tardi, con il rilascio di vari prigionieri politici e la fine delle pene capitali, che avevano convinto Bruxelles ad “ammorbidirsi” verso Lukashenko e i suoi funzionari, abrogando le precedenti sanzioni. Il Consiglio ha anche siglato, nel luglio 2019, un tentativo di cooperazione con la Bielorussia sulla base di tre pilastri: diritti umani, democrazia e stato di diritto. Ma le controverse elezioni presidenziali del 2020 e l’ultima crisi dei migranti hanno nuovamente peggiorato la situazione.
L’arma del gas
Lukashenko usa quindi l’arma del gas: non il proprio, dato che non ne possiede, ma quello russo che passa per Minsk, pari al 20% del gas russo destinato all’Ue.
La situazione interessa anche e soprattutto l’Italia, visto che il nostro Paese è alimentato per circa l’80% da gas di importazione, di cui il 47% dalla Russia. Prima della costruzione dei due gasdotti Nord Stream, di cui solo il primo entrato in funzione, il gas russo passava via terra, attraverso i territori di Ucraina e Bielorussia. Ora, invece, con il completamento di Nord Stream 2, il gas potrebbe bypassare questi Paesi, attraversando il mare, ma non prima della fine di questo inverno, quando l’Europa, già a corto di gas, dovrà farsi bastare gli approvvigionamenti che arriveranno dalla Russia in primis.
La linea Yamal-Europa
La linea Yamal-Europa è un gasdotto lungo più di 2000 km che porta il gas dai giacimenti della penisola di Yamal e della Siberia occidentale fino in Germania, attraversando la Russia, la Bielorussia e la Polonia. La sua costruzione è iniziata nel 1994 e nel 2006 ha raggiunto la piena operatività, trasportando 32,9 miliardi di metri cubi di gas all’anno. La proprietà del gasdotto è divisa fra tre compagnie: la russa Gazprom, la polacca EuRoPol Gaz e la tedesca WINGAS.
Quanto sono fondate le minacce di Lukashenko
Riguardo alla crisi dei migranti, Lukashenko aveva già minacciato l’Unione Europea il 15 novembre, dicendo che avrebbe lasciato l’Europa al freddo in vista dell’inverno. A queste minacce, tuttavia, non sono mai seguite azioni concrete: la ragione principale è che se Lukashenko intraprendesse un’azione del genere, rischierebbe di compromettere i suoi rapporti con l’alleata Russia. In diverse occasioni, infatti, Vladimir Putin aveva messo in chiaro di non voler subire nessuna interferenza nella gestione delle forniture di gas all’Europa, soprattutto perché non vuole perdere la sua credibilità di esportatore.
Già a metà novembre, il presidente russo aveva avvertito Lukashenko che la chiusura del transito del gas «avrebbe causato gravi danni al settore energetico in Europa e non aiuterebbe lo sviluppo delle nostre relazioni con la Bielorussia». Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha riferito che Putin «confida che le minacce bielorusse non costringeranno la Russia a violare i suoi contratti di fornitura con l’Europa».
Putin infatti non vuole mettere a rischio l’avvio del gasdotto Nord Stream 2, che porterebbe il gas direttamente in Germania. Così facendo, toglierebbe alla Bielorussia la capacità di interferire con i rifornimenti, lasciando alla Russia un controllo totale. Nonostante le minacce, quindi, la Bielorussia non ha grande controllo sul transito del gas, anche se il gasdotto Yamal passa dal suo territorio, ed è probabile che in futuro ne avrà ancora meno, visto che le quantità di gas trasportato su questa linea si sono quasi dimezzate rispetto al 2020.
Il ruolo della cancelleria tedesca
Due gli elementi che complicano lo scacchiere internazionale: da un lato la formazione del nuovo governo tedesco, presieduto da Olaf Scholz con una maggioranza composta da socialdemocratici, liberali e verdi, da sempre ostili al gasdotto Nord Stream 2; dall’altro il fatto che le relazioni dei Paesi Nato con la Russia sono aggravate dalla tensione che si è creata sulla questione ucraina. Per questo, Scholz e la neo-ministra degli Affari Esteri Annalena Baerbock hanno deciso per la prima volta di istituire un “linkage” tra la crisi ucraina e l’autorizzazione definitiva del gasdotto, come richiesto dagli americani. Secondo questo provvedimento, qualora la Russia dovesse violare l’integrità territoriale di Kiev o non dovesse rispettare alcuni parametri di concorrenza riconosciuti dalle leggi europee, si potrebbe bloccare l’approvazione del gasdotto.