La tragica notizia dell’uccisione dell’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, insieme a un carabiniere della scorta e l’autista, ha scosso l’Italia nella giornata del 22 febbraio. Viaggiavano nell’auto dell’Onu, insieme al capo delegazione Ue rimasto illeso, quando l’auto è stata presa d’assalto dai ribelli. Per capire il perché dell’offensiva e conoscere meglio il territorio congolese dove l’ambasciatore si trovava abbiamo chiesto a Don Castel, che conosceva entrambi.
AI CONFINI DEL CONGO: «UNA ZONA INCONTROLLABILE»
Don Castel Rostaingue Badiabo Nzaba – per i parrocchiani di San Miniato semplicemente Don Castel – è congolose e Luca Attanasio l’ha incontrato in più occasioni. «L’ho conosciuto nel 2018 quando è arrivato a Kinshasa e si è insediato come ambasciatore», inizia Don Castel quando lo chiamiamo, parla dei suoi scambi con Attanasio e della passione del diplomatico per gli impegni umanitari. Poi ci spiega la situazione della Repubblica Democratica del Congo, che conosce bene, e perché c’è stata l’imboscata che ha ucciso l’ambasciatore.
L’attacco è avvenuto a 2000 km dalla capitale, a pochi km da Goma, nella regione del Nord Kivu: «È una zona incontrollabile, con tanti ribelli – spiega Don Castel – e già dal 2004 si è creata una crisi socio politica. Dal 2004 fino al 2009 il Paese ha visto cinque tipi di ribellione solo in questa zona».
la violenza dei ruandesi
La zona è incontrollabile non solo perché è così lontana dalla capitale e quindi di difficile gestione. Ma ci troviamo all’estremo est, al di là del confine ci sono il Ruanda, il Burundi, e l’Uganda. E parte del problema è causato da alcuni ribelli ruandesi che entrano nella zona del Congo per poter prendere il controllo dei villaggi. «Entrano con le armi e uccidono tutti e prendono il controllo del villaggio. Alla fine tutto il villaggio preso di mira rimane in ostaggio», ci dice il prete congolese . L’Italia è nella Repubblica Democratica del Congo per dare un sostegno in una situazione così complessa, «ma solo a livello diplomatico e umanitario», specifica Don Castel. «L’Italia non ha un esercito lì come ce lo ha il Belgio, Usa, Francia».
«L’impegno Italiano è volto a favorire una mediazione politica al fine di trovare soluzioni condivise che permettono il ritorno della stabilità del Paese e lo svolgersi di libere elezioni, nonché a massimizzare la tutela dei diritti umani, senza tralasciare interventi di emergenza a favore delle popolazioni più colpite» – dal sito dell’Ambasciata italiana a Kinshasa
L’ambasciatore Luca Attanasio infatti stava agendo proprio nel contesto di aiuti del Programma Alimentare mondiale. «Lui era stato scelto per portare un messaggio di pace nella zona e portando un convoglio di generi alimentari perché lì ci sono tanti orfani e bambini che non hanno da mangiare», continua il parroco congolese. Il contesto dell’attacco secondo Don Castel è era proprio volto a impedire che gli aiuti arrivassero a destinazione.
Il perché degli agguati dei ribelli
«L’ambasciatore italiano viaggiava su un veicolo Onu, quando i ribelli l’hanno identificato probabilmente hanno capito che dentro c’erano delle persone con ruoli di mediazione, proprio come Luca», spiega Don Castel. «Lo dico perché è una modalità classica con cui agiscono i ribelli, colpiscono per due motivi: per impedire di portare l’aiuto alle popolazione in difficoltà, far soffrire gli abitanti del territorio affinché il governo arrivi a negoziare con loro». Ma non finisce qui : «Il secondo motivo è cercare di colpire un’organizzazione internazionale come l’Onu. L’homme blanc – l’uomo bianco – non passa inosservato da quelle parti e una macchina uomini bianchi e europei può diventare un bersaglio. Colpire gli uomini bianchi gli permette di attirare l’attenzione della comunità internazionale su chi rapisce e forzare a negoziare con i ribelli della zona».
L’assalto alla macchina di Luca Attanasio quindi potrebbe essere un tentativo di rapimento finito male.
Il ruolo degli infiltrati al confine
Ad essere un problema non sono però solo i ribelli che rapiscono, ma i complici che ci sono all’interno dei villaggi. Sono loro che informano i ribelli stessi della presenza degli europei in un albergo o in un altro luogo, indicando un posto o un momento favorevole per poter rapire gli uomini bianchi, dice Don Castel. Ma gli infiltrati possono essere utili anche dall’altra parte se sono tra i ribelli possono scoprire in quale zona della foresta è stato portato chi è stato rapito.
Il fallimento dell’Onu
La zona dove è morto Luca Attanasio quindi è una zona altamente pericolosa, si stima che siano 160 le formazioni ribelli per un totale di 20.000 combattenti. Le Nazioni Unite con la missione Monusco hanno cercato di stabilizzare la situazione nel Paese africano negli ultimi decenni, dispiegando una forza di pace di circa 15.000 persone ma con scarsi risultati.
La maledizione di essere ricco
Cobalto, oro, diamanti e coltan. Alla Repubblica Democratica del Congo non manca niente eppure questa abbondanza è anche la sua sfortuna. La perenne lotta per il controllo su queste miniere contribuisce a trasformare tutto il Paese in una polveriera.
In guerra per le miniere
“Per colpa di questo – e non solo – ci sono tante zone che da 25 anni non conoscono cosa significhi la pace”, commenta Don Castel «ogni regione fa la guerra all’altra per poter scavare diamanti, oro e tutti i minerali possibili. Cercano di mandare via la popolazione del posto, e prendendo come ostaggio gli abitanti che restano. Lo fanno per spingere il governo a negoziare con loro». Non a caso il prete congolose parla dei diamanti come le «pietre sporche di sangue».
«Noi africani diciamo sempre che la Repubblica democratica del Congo non avrà mai la pace entro i duecento anni», chiosa Don Castel, «La paura è proprio che non ci sarà sicurezza e tranquillità» finché ci saranno i minerali e il coltan, essenziale per produrre gli smartphon e quindi molto redditizio. La sfortuna nel Congo è che l’80% della produzione mondiale di questo materiale si trova proprio nel Kivu.