«La prima vittima della guerra è la verità»: diceva il drammaturgo ateniese Eschilo nel V secolo a.C., e oggi questa affermazione è ancora più attuale. Sono trascorsi esattamente 365 giorni da quel 24 febbraio 2022, quando nelle prime ore del mattino la Russia invase il territorio ucraino. Alla guerra sul campo si affianca sin da subito la guerra digitale, all’offline si affianca l’online in un ibrido ugualmente drammatico: il web pullula di informazioni false e deformate. Ed è proprio questo l’elemento innovativo di questa guerra moderna.
La società di massa con gli usi e consumi della nostra epoca, ha moltiplicato il ricorso alla distorsione della realtà. Si consuma nella manipolazione della percezione di ciò che realmente accade in paesi lontani e se questa non funziona, si arriva alla repressione della libertà di stampa. Addirittura le immagini di guerra che per definizione dovrebbero essere una tecnica al servizio della verità, non costituiscono una prova al 100 per cento poiché possono essere manipolate dagli strumenti tecnologici e di ritocco grafico.
Le false narrazioni sul conflitto
NewsGuard è un’estensione per browser Internet che permette di identificare le fake news e capire l’affidabilità dei siti web. Ha creato un centro di monitoraggio sull’informazione relativa alla guerra, che ha preso in esame 8.500 siti web: tra questi, 358 hanno diffuso la disinformazione. «È una situazione preoccupante, perché è un dato destinato a salire: negli ultimi quattro mesi gli analisti hanno identificato 94 nuovi siti e smentito 36 bufale», spiega Virginia Padovese, managing editor e vice presidente Partnership Europa e Australia. I giornalisti di NewsGuard hanno trovato anche 105 false narrazioni che negano le atrocità e gli abusi compiuti dalla Russia in Ucraina ed enfatizzano i successi militari russi. Ognuna delle due parti amplifica ciò che va a suo vantaggio e tace il danno reale subito. Alcune false narrazioni sono “il massacro dei civili a Bucha è stata una messa in scena”, “il nazismo è prevalente nella politica e nella società ucraine”, e anche “i residenti di lingua russa nel Donbass sono state vittime di un genocidio”.
Un terzo dei siti di fake news è finanziato dalla pubblicità
La pubblicità programmatica che utilizza la tecnologia per acquistare e vendere annunci digitali, spesso finisce anche inconsapevolmente, a supportare la disinformazione: molti di questi siti online infatti, sono finanziati da aziende e brand internazionali. Un terzo dei siti esaminati (112) continua a guadagnare dagli introiti pubblicitari e dal programmatic advertising, gestiti in maniera automatizzata da algoritmi. A ricevere entrate pubblicitarie da Google è Pravda.ru, sito web dell’ex giornale del partito Comunista dell’Unione sovietica. Eppure la parola Pravda in russo significa verità.
Se Mosca oscura i social network e i media indipendenti, sono le piattaforme digitali che diffondono principalmente le fake news: il 20 per cento di video su Tik Tok ad esempio, contiene propaganda. I social fanno sentire ancora più vicina una guerra che ha luogo non lontano da noi, ai confini dell’Europa.
La tecnologia a servizio della ricerca della verità
La parola dell’anno nel 2017 secondo il dizionario Collins era fake news, ovvero quando la falsa informazione si traveste da notizia: da allora quello delle bufale è diventato un mercato in espansione. Ma i social attraverso il citizen journalism, possono fare anche del bene all’informazione: ormai chiunque può esprimere la sua opinione sulle piattaforme digitali, e chiunque può postare foto, video sugli avvenimenti ai quali assiste. Grazie agli strumenti tecnologici si può acquisire e mettere al vaglio qualunque tipo di contenuto, tutto è accessibile per un’analisi più profonda. Il 15 novembre scorso, due missili sono caduti sul territorio polacco, paese membro della Nato: da quel momento non si è trattato più di un conflitto Russia-Ucraina, ma si è espanso a Russia-Nato. «Volodymyr Zelensky vuol far credere che il missile appartiene alla Russia: è un tentativo di usare un episodio per aumentare il sostegno dell’Occidente alla difesa dell’Ucraina», spiega Giampiero Gramaglia, senior advisor di NewsGuard. La propaganda è uno strumento di guerra e viene usata soprattutto per ottenere il consenso e il sostegno della popolazione, destabilizzare il nemico e ostacolare il processo di pace.
Dall’altro lato del fronte la Duma, la camera bassa del Parlamento russo ha approvato all’unanimità una legge che prevede fino a 15 anni di reclusione e una multa da un milione e mezzo di rubli per chi diffonde informazioni che vanno contro la narrativa del governo russo sulla guerra. «La realtà va raccontata in tutte le sue sfumature, quindi anche se è chiaro che in questo contesto l’invasore è la Russia e il paese colpito è l’Ucraina, non si può nascondere il grave problema di corruzione che ha quest’ultima», spiega Marilisa Palumbo, vice caporedattrice esteri del Corriere della Sera.
Come si combatte la disinformazione? «Con il metodo del vecchio giornalismo, con la trasparenza e credibilità dei nostri inviati di guerra», continua Palumbo. È necessaria un’azione di educazione e sensibilizzazione delle fonti, verifica e controllo, per offrire al lettore la verità sostanziale dei fatti.
Tra combattimento, informazione e tecnologia: la guerra ibrida odierna
Il generale Valery Gerasimov nel 2013 parlava di “guerra ibrida”, ovvero un conflitto fatto non solo da azioni militari ma anche attraverso intrusioni informatiche e cyber attacchi. «Le regole della guerra sono cambiate e il ruolo degli strumenti non militari nel conseguimento di obiettivi strategici e politici in molti casi ha superato in efficacia la forza delle armi». Le guerre da affrontare diventano tre: quella del dolore e del combattimento, quella delle informazioni e opinioni, e quella della tecnologia e delle intrusioni. La battaglia non è più combattere sul campo militare ma è interferire nell’opinione pubblica. «Mentre prima la verifica delle fonti era un concetto semplice e pratico, adesso dietro a un avvenimento ci sono molteplicità di fonti verosimili che i giornalisti devono scegliere rapidamente. È cambiato il rapporto tra evento e fonti», analizza il giornalista Michele Mezza, docente di Epidemiologia sociale presso l’Università Federico II di Napoli.
La rete però non è un media e non deve essere misurata in autorevolezza e credibilità. La piazza social non corrisponde alla piazza reale. Con Chat GPT e gli algoritmi avanzati di apprendimento automatico, l’intelligenza artificiale produrrà contenuti e fornirà informazioni con l’interferenza di bot nell’opinione pubblica. Il giornalista invece deve geolocalizzare i fatti, trovare riscontri, fare intelligence su open source. L’informazione buona e veritiera, quella che verifica ossessivamente le fonti, non deve finire tra le macerie dopo i bombardamenti.