«Gli stranieri criminali non hanno motivo di stare in Danimarca. Finché non riusciremo a liberarcene, li trasferiremo sull’isola di Lindholm»: così il Partito Popolare Danese, da sempre ostile all’immigrazione, ha commentato su Twitter la nuova misura del governo.
Il governo Rasmussen, in carica dal 2015, è costituito da una coalizione di centrodestra di forte stampo conservatore. Negli ultimi anni sono stati varati diversi provvedimenti per limitare la presenza dei migranti all’interno del paese: lo scorso marzo il governo ha proposto una serie di leggi, poi denominate “pacchetto ghetto”, che puntano più ad integrare i migranti di religione mussulmana.
In questi giorni il governo ha poi proposto di trasferire i migranti, la cui richiesta di asilo non è stata approvata e quelli che sono stati condannati per aver commesso crimini in territorio danese, su un’isola deserta al largo delle coste. L’isola in questione è grande meno di un chilometro quadrato e attualmente è usata dall’Istituto danese di veterinaria per fare ricerche sulle malattie contagiose degli animali. Ci sono solamente stalle, laboratori e forni crematori, e il servizio di traghetti è discontinuo. Il governo ha proposto che dal 2021 vengano trasferite su Lindholm, dopo le operazioni di sterilizzazione, circa 100 persone. I migranti avrebbero l’obbligo di tornare a pernottare sull’isola, ma di giorno, compatibilmente con il servizio dei traghetti, potrebbero muoversi liberamente.
Il ministro delle Finanze danese, Kristian Jensen, ha cercato di ridimensionare la sostanza della decisione spiegando che l’isola non è una prigione. L’iniziativa però è stata fortemente criticata dalle organizzazioni non governative che lavorano con i migranti e da alcuni partiti dell’opposizione. Il Danish Refugee Council ha denunciato una «macroscopica violazione dei diritti umani» e la creazione di un sistema penale. Uffe Elbæk, leader della formazione politica ecologista Alternativet, ha parlato di «decisioni abominevoli che non risolveranno alcun problema».
Il professor Stefano Rolando, docente di Politiche pubbliche per le comunicazioni alla Facoltà di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo dell’Università IULM, ha commentato questo nuovo capitolo della gestione dei flussi migratori in Europa: «Ciò che sta avvenendo in Danimarca potrebbe avvenire – o avverrà – in tante altre nazioni europee, Italia compresa. Ci troviamo infatti in un contesto in cui i governi di stampo populista, in mancanza di altri contenuti da proporre, fanno voti speculando sulle paure delle persone. In vista delle elezioni europee dell’anno prossimo provvedimenti come quello danese hanno un chiaro significato: “se mi voti faccio sparire il problema”.
I cittadini del resto sono continuamente bombardati da notizie, appositamente selezionate, che evidenziano solo il potenziale distruttivo dell’immigrazione: crimini, violenze, reati. L’opinione pubblica, che molto spesso non è stata preparata a fronteggiare un cambiamento sociale di questa portata, è facilmente indirizzabile. In una realtà in cui il 3,4% della popolazione mondiale è in migrazione – per un totale di 260 milioni di persone in movimento – non si può però pensare di gestire la situazione in questo modo. L’Unione Europea dovrebbe mettersi a tavolino, con demografi che siano in grado di prevedere la situazione dei prossimi decenni, e istituire una forma di autorità intergovernativa che si occupi del fenomeno migratorio, in modo tale da non lasciare tutte le decisioni in mano all’arbitrio del singolo governo nazionale. Attualmente invece la spaccatura all’interno dell’Ue stessa non permette di affrontare la questione in modo organico: finché ci saranno governi populisti che, non gestendo il problema, creano disordine e approfittano poi della paura per raccogliere voti, sarà difficile vedere un reale miglioramento».
Riuscirà l’Europa a dar vita ad una politica migratoria responsabile (che non vuol dire buonista), che sia inflessibile contro chi delinque, ma giusta nei confronti di chi vuole vivere secondo i diritti fondamentali?
Questo è il quesito su cui, secondo il professore, si costruirà il nostro futuro.