Crisi immobiliare cinese, l’ultima sfida di Xi

Il 28 febbraio scorso, il tribunale di Hong Kong ha ricevuto una richiesta di liquidazione da parte di un creditore di Country Garden, la prima azienda cinese nel settore immobiliare, di 200 milioni di dollari. E anche se la decisone del tribunale arriverà solo a maggio, il settore immobiliare cinese continua a tremare. Che sia la fine dell’era del mattone per il Dragone?

Economia e politica, storie intrinseche

Non sembra esserci pace la seconda economia mondiale. Dopo l’ordine di messa in liquidazione del colosso immobiliare Evergrande, con un debito superiore ai 300 miliardi di dollari, il settore immobiliare cinese continua a scricchiolare.
Responsabile di più di un quarto del PIL, per dieci anni ha trainato l’economia della Repubblica Popolare Cinese. Ma dopo il default di Evergrande e adesso i problemi finanziari di Country Garden, questo sistema sembra essere in pericolo.

Eppure, la leadership per il momento non si è esposta. Poche linee guida sono state rese note, tra cui un piano molto generico che prevede supporto finanziario da parte del governo nei confronti di alcuni grandi costruttori. E, inoltre, la Banca Centrale ha annunciato un ribasso dei tassi di interesse per i privati cercando di stimolare la spesa. Ma anche in questo caso, la risposta dei cittadini è stata tiepida. Alimentando disillusione e sfiducia, per quanto queste posizioni possano essere manifestate nella Cina di Xi. Il “Chinese dream, zhongguo meng, caposaldo della visione politica del leader cinese che governa dal 2012 sembra, quindi, vacillare.

Un passo indietro

 Ma come si è arrivati a questa situazione? Com’è nato il “dominio” del settore immobiliare sull’economia cinese? Per capirlo, bisogna tornare alla fine degli Anni ’90, quando Pechino decise di “liberalizzare” il mercato immobiliare. Secondo il modello di “socialismo con caratteristiche cinesi,” dapprima ideato da Deng Xiaoping e poi portato avanti da Jiang Zemin, bisognava, infatti, trovare una “via comunista” al capitalismo. E, in questo sfondo, il mercato immobiliare esplose.
I terreni vennero venduti agli sviluppatori immobiliari, che cominciarono una costruzione “selvaggia” nelle città, ma anche nelle zone rurali.
Alla fine del 1998, il 96% dei cittadini cinesi divenne proprietario di un immobile. Inizialmente, il governo tentò di regolamentare questa situazione, imponendo un limite sul numero di lotti di terra che si potevano vendere. Ma questo portò al sovrasfruttamento di quelli acquistabili, per esempio costruendo grattacieli e aumentando il valore dei lotti creando complessi di lusso.
Da questo momento in poi, in Cina, si cominciò a creare quella che viene definita “bolla” immobiliare. Una situazione simile a quella che si sviluppò nel vicino Giappone. In cui speculazione incontrollata, prezzi dei terreni alle stelle e il mancato controllo del governo, portarono allo scoppio della “bolla” giapponese, con conseguente stagnazione economica. Dando il via quello che nel Sol levante è noto come “decennio perduto”.

Grattacieli costruiti in Cina, prodotto dello sfruttamento dei lotti
Ritorno al XXI secolo

Facendo un passo avanti e ritornando in Cina, nel 2001 il Dragone cominciò la sua scalata verso le potenze economiche mondiali, e in particolare verso la forza quasi “unipolare” degli Stati Uniti. Entrata nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), la Cina divenne rapidamente la seconda economia mondiale, accompagnata da una forte crescita demografica.
Nel frattempo, il governo continuò a puntare sul settore immobiliare, non solo nelle città di “prima fascia”, ma anche nelle campagne. Tra il 2011 e il 2012 si stima che in Cina si sia prodotto più cemento che negli Stati Uniti in tutto il XX secolo, mentre le grandi metropoli ingoiavano le campagne.
Oggi questo trend, però, ha cominciato a mostrare le sue falle. Anche se è difficile quantificare la crisi immobiliare cinese, per via della segretazione e falsificazione dei documenti, nella RPC si ritiene che più di un miliardo di immobili siano invenduti, sfitti o non finiti. Ma per il momento, come detto precedentemente, il governo non sta intervenendo con misure particolari. Ad esclusione di esperimenti locali, come nel caso della città di Shenzhen, dove i governi locali sono aiutati ad acquistare gli immobili invenduti per rimetterli nel mercato a prezzi calmierati.

Tuttavia, questa non può essere una soluzione a lungo termine. Infatti, i governi locali non potranno sostenere questo piano d’acquisto degli immobili invenduti, indebitandosi con le banche locali, che a loro volta dipendono dalla Banca Centrale. Una Banca Centrale, però, che continua a chiedere prestiti, per far fronte alle ingenti spese dovute al progetto di creazione della Nuova Via della Seta.

Vittoria Giulia Fassola

Classe 2001. Ligure e anche un po' francese. Laureata in International Relations and Global Affairs, all'Università Cattolica di Milano. Mi interesso di politica estera e di tutto ciò che penso valga la pena di raccontare. Il mio obiettivo? Diventare giornalista televisiva.

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