L’inclusività razziale non sarà più un criterio per l’ammissione degli studenti alle università americane. È quello che ha stabilito una sentenza emessa dalla Corte Suprema statunitense, che giovedì 29 giugno ha bocciato i programmi dell’Università Harvard e dell’Università del North Carolina, rispettivamente le più importanti del privato e del pubblico.
Dichiarando che questa modalità di accesso ai college è incostituzionale e illegale, l’organo giudiziario più alto in grado in Usa ha fatto cadere un impianto strutturato e usato anche da molti altri istituti. Chissà se in futuro diventerà un problema anche per gli studenti bianchi delle miglior accademie, come quella della Ivy League, dove aumenta il numero degli studenti asiatici che mediamente ottengono voti più alti nei test di ammissione.
COS’È L’AFFIRMATIVE ACTION
La sentenza ha di fatto demolito la cosiddetta affirmative action, l’insieme di politiche di contrasto alle discriminazioni razziali adottate da tempo in molte prestigiose università, per favorire la composizione di corpi studenteschi rappresentativi di tutta la popolazione statunitense. E quindi l’ammissione di studenti afroamericani e ispanici che storicamente hanno meno probabilità di accedere ai livelli più alti d’istruzione. Attraverso lo strumento delle “quote”, è possibile includere le minoranze, categorie penalizzate per ragioni storico-culturali: viene riservato loro un numero minimo di opportunità di ricoprire cariche negli organi elettivi e ruoli di rilievo nella società.
La misura era stata introdotta per la prima volta negli anni Sessanta dalle amministrazioni democratiche di John F. Kennedy e Lyndon Johnson: mirava a compensare, attraverso azioni positive, secoli di discriminazioni legate alla schiavitù e al razzismo, obbligando gli atenei a riservare un determinato numero di posti a studenti di minoranze etniche, principalmente afroamericani. In questo modo, anche gli squilibri culturali e sociali si sarebbero potuti attenuare.
Nel 1968, quattro settimane dopo l’assassinio di Martin Luther King, la Harvard University aveva annunciato la creazione di una commissione per aumentare il numero di studenti neri nell’ateneo. Questo modello fu adottato anche da altre università, come Yale, Princeton e Columbia.
Secondo questa storica sentenza, le due università avrebbero violato con l’affirmative action, il principio dell’uguale partecipazione, sancito dal 14° Emendamento della Costituzione. La maggioranza conservatrice formata da sei giudici, contro tre di orientamento liberale, ha rovesciato la sentenza del 2003 “Grutter vs. Bollinger”, che permetteva l’uso dell’elemento razziale nell’ammissione degli studenti nei college.
REPUBBLICANI E LIBERAL SPACCATI SULLA SENTENZA
Un’altra sentenza cardine sull’argomento fu quella “Brown vs. Board of Education”, che all’unanimità nel 1954 diede ragione alla studentessa nera Linda Brown, vietando la segregazione razziale e le discriminazioni nelle scuole.
La regola è contestata da almeno 15 anni, perché ritenuta da molti controversa e penalizzante. La destra repubblicana è sempre stata contraria all’applicazione del criterio razziale nella valutazione delle domande di ammissione: il giudice capo John Roberts ha dichiarato che «gli studenti devono essere trattati sulla base delle loro esperienze come individui e non sulla base della loro razza». Le tre giudici donne liberal si sono fermamente opposte: la giudice Sonia Sotomayor ha affermato che «la decisione fa regredire decenni di precedenti e di progressi epocali. La nostra è una società endemicamente segregata». «È una tragedia per tutti, cancella decenni di progressi» ha affermato la giudice Ketanji Brown Jackson, prima donna afroamericana a far parte della Corte Suprema.
Il giudice capo Roberts ha anche affermato che ora i college dovranno utilizzare criteri «privi di colore» nel decidere chi potrà essere accettato, in modo tale però che vi sia sempre un corpo studentesco diversificato.
Un anno fa, la Corte Suprema ribaltò anche la sentenza “Roe vs. Wade”, che nel 1973 aveva reso legale l’aborto. L’eliminazione dell’affirmative action sarebbe quindi la seconda decisione della Corte su questioni complesse e controverse nella storia del Paese. Decisioni che hanno portato all’affermazione dell’orientamento conservatore.
I casi delle due università sono stati presentati davanti alla Corte dall’attivista di destra Edward Blum, che dagli anni ’90 lotta contro l’affirmative action. Guida un gruppo di studenti conservatori (Students for Fair Admissions) che vedono questi criteri di selezione come un modo per favorire gli studenti di colore, latinoamericani e nativi americani, ai danni di bianchi e asiatici.
LE REAZIONI POLITICHE
Non sono tardate le reazioni delle due università: mentre l’Università del North Carolina ha sottolineato la sua delusione, ribadendo il suo impegno per la diversità etnica nel corpo studentesco, Harvard ha sostenuto di «voler riaffermare il principio fondamentale secondo cui l’insegnamento, l’apprendimento e la ricerca dipendono da una comunità composta da persone con diversi background, prospettive ed esperienze vissute».
In totale disappunto con la sentenza, il presidente Joe Biden che ha commentato: «Le discriminazioni esistono ancora negli Stati Uniti, le pari opportunità non sono ovunque nel Paese». Biden ha anche annunciato di voler incaricare il dipartimento dell’Istruzione di trovare il modo migliore per costruire corpi studenteschi inclusivi e diversificati. Profonda delusione anche di Barack e Michelle Obama, che proprio grazie all’affirmative action sono riusciti a entrare nell’Università di Harvard.
Dall’altro lato politico, Donald Trump, che durante il suo mandato ebbe la possibilità di nominare tre giudici conservatori, ha sostenuto la decisione della Corte Suprema, commentando sul social Truth l’importanza di una tale giornata per l’America: «Le persone con capacità straordinarie e tutto ciò che è necessario per il successo, compresa la grandezza futura per il nostro Paese, vengono finalmente premiate». Anche il repubblicano Kevin McCarthy, speaker della Camera dei Rappresentanti, ha elogiato l’operato della Corte affermando che «l’uguaglianza è stata ripristinata».
C’è però un’eccezione singolare: il divieto di affirmative action per gli istituti che ricevono risorse pubbliche non riguarda le accademie militari.