Il Burkina Faso, un tempo oasi di tranquillità nell’Africa occidentale, è ora teatro di una serie di violenti attacchi di matrice religiosa e politica.
Gli obiettivi principali delle violenze, cominciate nel 2015, erano di destabilizzare il Paese e mostrare l’incapacità del governo nel controllo della situazione. Gli autori, provenienti soprattutto da Mali e Niger, sono riusciti ad ottenere l’appoggio anche di molti giovani che, non avendo prospettive lavorative, hanno deciso di impugnare le armi.
Il Burkina Faso è uno dei paesi della fascia del Sahel, zona sud-occidentale del Sahara, dove il deserto confina con l’Africa Nera, da tempo pericoloso teatro di estremismo terroristico.
L’inizio delle minacce è avvenuto in Algeria. Brace al fuoco è stata aggiunta dall’estremizzazione delle fasce più a sud, con epicentro in Mali, teatro da diversi anni di una guerra civile che ha provocato l’arrivo di un gran numero di rifugiati nel Burkina, incrementandone i disagi. Nigeria e Libia, nonostante gli interventi militari francesi e dell’Unione africana, hanno contribuito all’aggravarsi della situazione.
I Peul, popolo nomade presente in tutta l’Africa occidentale, sono spesso stati ritenuti i colpevoli delle violenze. Dal momento che anche loro in passato sono state vittime di sanguinose rappresaglie, si teme che ci possa essere il rischio di uno scontro etnico. Ciò porterebbe alla distruzione un paese in cui fino ad oggi hanno convissuto oltre 60 etnie diverse.
Una situazione sempre più grave
Il mese più letale nella storia del paese è stato lo scorso Novembre.
Oggi la situazione in Burkina è, sotto vari aspetti, peggiore di quella che ha spinto la Francia ad intervenire per rimuovere il gruppo dei jihadisti in Mali nel 2012. Il territorio del Burkina Faso è ora inaccessibile e ha dovuto cedere ai gruppi jihadisti molte zone del paese.
Tutto ebbe inizio quando gli estremisti islamici presero d’attacco il Burkina Faso nel 2015, pochi mesi dopo la destituzione del presidente Blaise Compaorè che, dopo 27 anni di governo, venne privato del potere da un’insurrezione popolare.
Il successivo governo transitorio pose fine all’ufficiosa negoziazione con i gruppi terroristici, che consentiva ai separatisti della parte settentrionale del Mali di concedere un accesso libero in Burkina Faso, chiedendo che, in cambio, non venisse effettuato nessun attacco sul suolo burkinabe.
Burkina Faso significa letteralmente “Il Paese degli uomini integri”: questo era a tutti gli effetti, prima del 2015. Le violenze, però, sono aumentate sempre di più nel dicembre 2018 e, non a caso, il 31 dello stesso mese è stato dichiarato lo stato di emergenza in molte regioni del paese.
I movimenti di sostegno
L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, esprime grande preoccupazione per la perdurante situazione di insicurezza, dal momento che nell’occhio del ciclone non ci sono soltanto i militari, ma anche i rappresentanti della comunità cristiana e gli operatori umanitari.
L’UNHCR sta sostenendo, in Burkina Faso, l’appello del governo ad assistere le persone sfollate. Sono stati messi a disposizione alloggi e beni di prima necessità e, oltre a monitorare la situazione, sta anche rafforzando la propria presenza nel Paese per rispondere al meglio alle emergenze. Ciò non toglie che la comunità internazionale stia incontrando grandi difficoltà nel fornire gli aiuti necessari.
Tanti sono gli aiuti e i sostegni che giungono in questo Paese ferito in profondità.
Un posto di rilievo lo ha, senza dubbio, il Movimento Shalom, ONG riconosciuta dal 2013 che ha come obiettivo diffondere gli ideali di pace, solidarietà , giustizia sociale e spingere, ora più che mai, l’importanza del dialogo, della fratellanza e il sostegno della popolazione attraverso i diversi progetti di cooperazione.