Dopo settimane di discussione l’Unione Europea sembra essere pronta a intervenire in Medio Oriente. Mercoledì 31 gennaio, a margine di una riunione informale dei ministri della Difesa, l’Alto Rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune Josep Borrell ha annunciato che è tutto pronto per l’avvio della missione navale “Aspides” contro gli attacchi al traffico mercantile nel Mar Rosso da parte dei ribelli Houthi dello Yemen.
Quali paesi parteciperanno
«Non tutti gli Stati membri avranno la volontà di partecipare, ma nessuno farà ostruzionismo, questo è quello che spero», così Borrell prima della riunione di ieri. L’auspicio è di poter decidere e avviare le operazioni entro metà mese. La decisione definitiva dovrebbe arrivare con il Consiglio Affari Esteri del 19 febbraio.
La mattina del 1° febbraio il ministro Guido Crosetto ha reso conto alle commissioni Difesa di Camera e Senato di quanto stabilito e discusso a Bruxelles. Stando alle sue parole, gli auspici di Borrell si sono concretizzati: tutti i 27 Paesi dell’Unione supportano l’iniziativa. A inviare i contingenti saranno soprattutto Italia, Francia, Germania e Grecia, per raggiungere il numero minimo di tre navi operative nell’area del Mar Rosso.
Il comando dell’operazione
Dopo giorni di speculazioni su quale Paese dovesse assumere la guida di “Aspides”, i ministri europei avrebbero optato per la Grecia. Inizialmente si pensava a un comando italiano, francese o congiunto Roma-Parigi. Alla fine, tra i due “litiganti” (che non hanno mai litigato) ha goduto Atene. L’OHQ (Operational Head-Quarters, Quartier Generale Operativo) dovrebbe essere nel centro dell’Ellade, a Larissa. Lo stesso nome dell’operazione richiama la cultura ellenica: “Aspides” deriva da ἀσπίς (aspis), termine con cui gli antichi greci identificavano lo scudo.
Per il nostro Paese, in fondo, è una buona notizia. Sempre in audizione, Crosetto ha ricordato che quest’anno l’Italia assumerà la guida di altre tre missioni navali nell’area mediorientale. Si tratta delle operazioni europee EUNAVFOR “Atalanta” (antipirateria, tra il Corno d’Africa e l’Oceano Indiano) ed EMASoH (nello stretto di Hormuz, all’imbocco del Golfo Persico); a loro si aggiunge la guida della Combined Task Force 153, la struttura di comando operativo multinazionale che coordina diverse attività militari marittime nella zona. Da quest’ultima dipende la stessa operazione a guida statunitense “Prosperity Guardian”, la prima ad attivarsi contro la minaccia Houthi.
Le forze in campo
Ancora non è chiaro con quante e quali unità interverranno i Paesi europei, spinti ad agire in autonomia da Washington per cercare finalmente un’indipendenza nella difesa comune. In questi giorni si parla, come già ricordato, di almeno tre navi. Un numero basso, che sembra già inferiore a quello dei Paesi coinvolti in misura maggiore (quattro). Vero è che, fino alle decisioni ufficiali delle prossime settimane, nulla è stabilito.
Pochi i punti fermi, elencati dal ministro Crosetto: nessun coinvolgimento terrestre in Yemen, finalità puramente difensive, coordinamento con gli altri attori nella regione (in primis gli alleati coinvolti in “Prosperity Guardian”). Sulle modalità di partecipazione, poi, saranno il Consiglio europeo e i singoli Stati a decidere. L’Italia, dal canto suo, intende inviare almeno una nave (in zona c’è già la fregata FREMM Federico Martinengo, che ha sostituito nave Virginio Fasan nell’ambito dell’operazione “Atalanta”), mentre valuta il dispiegamento di forze aeree con compiti di sorveglianza e ricognizione.
Il vincolo parlamentare italiano
I tempi stringono: gli effetti degli attacchi Houthi si fanno già sentire sulle economie occidentali. In particolare interessano il nostro Paese che, come ricordava il ministro degli Esteri Antonio Tajani davanti a Bruno Vespa la sera di mercoledì 31 gennaio, «esporta il 40% del Pil. E delle esportazioni marittime, il 40% passa da Suez e dal Mar Rosso».
Ma l’Italia potrebbe rallentare l’intera operazione “Aspides”. Sempre Tajani ha parlato chiaramente di «nuove regole d’ingaggio» che consentano alle nostre navi di abbattere droni e missili Houthi anche quando non siano diretti alle unità militari stesse (come prevede il regolamento standard). Ma come per ogni nuova missione militare è necessario un voto parlamentare, che definisca anche le regole d’ingaggio. Che, in caso di modifica (come ventilato da Tajani), richiedono più tempo. Qualcosa che, al momento, l’Italia e l’Europa non hanno.