Via libera, da parte del Consiglio dei Ministri, al tanto discusso “Decretone” che disciplina quota 100 e Reddito di cittadinanza. Il premier Giuseppe Conte, il vice premier e ministro del Lavoro, Luigi di Maio, e il vice premier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini lo hanno annunciato giovedì 17 gennaio. Dalla presentazione si evince che, per l’approvazione, è stata essenziale la clausola di salvaguardia che tutela i pensionamenti anticipati. La Ragioneria generale dello Stato ha richiesto l’introduzione di un articolo che monitorasse la spesa e consentisse al governo di intervenire prontamente qualora le uscite fossero superiori ai fondi stanziati (3,9 miliardi per quota 100 nel 2019). È possibile, infatti che, se dovessero servire più soldi, si proceda a nuovi tagli di spesa al Ministero del Lavoro o addirittura ad una nuova manovra. Dal canto suo, il governo si dice certo di non dover usufruire della clausola di salvaguardia perché le pensioni non saranno più di quelle previste. Secondo le stime del governo, in tre anni, saranno un milione i lavoratori interessati.
Nel testo del decreto si legge inoltre che la misura sarà adottata in via sperimentale per il «triennio 2019-2021» e durante questo periodo tutti i lavoratori, iscritti agli enti previdenziali dell’Inps e con almeno 62 anni di età e 38 di contributi, potranno andare in pensione anticipata. Per evitare “l’assalto a quota 100” è stata introdotta una norma che consente di usufruire di tale diritto anche dopo il 2021 a condizione che questo «sia stato maturato nel triennio 2019-2021». Non sarà possibile cumulare l’assegno con redditi da lavoro superiore a 5 mila euro l’anno. Il divieto vale fino al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia che attualmente è di 67 anni. L’obiettivo è quello di favorire l’assunzione di giovani.
I lavoratori del settore privato, che hanno raggiunto i requisiti previsti entro il 31 dicembre 2018, riceveranno la pensione a partire dal primo aprile 2019. Quelli che invece li raggiungono dal primo gennaio 2019 avranno la pensione solo dopo che saranno trascorsi tre mesi dalla maturazione dei requisiti. Meno fortunati i dipendenti pubblici che dovranno aspettare un po’ più tempo. Nel caso in cui hanno maturato i requisiti al 31 dicembre 2018 potranno usufruire della misura solo a luglio 2019; qualora invece li avessero maturati dal 1° gennaio 2019 dovranno aspettare sei mesi (invece dei tre mesi dei privati) dalla data di maturazione e dare un preavviso al datore di lavoro che andranno in pensioni almeno sei mesi prima. I dipendenti della scuola potranno utilizzare quota 100 solo dal primo settembre prossimo e solo se presenteranno la domanda entro il 28 febbraio. Tutti i pensionati pubblici però potranno avere la liquidazione anticipata (solitamente pagata dopo 2-3 anni) ma solo fino a 30 mila euro.
Il decreto mantiene «opzione donna». Le lavoratrici con 58 anni di età (59 per quelle autonome) e 35 anni di contributi al 31 dicembre potranno andare in pensione con un assegno calcolato sulla base del sistema contributivo. Fino al 31 dicembre resta anche l’Ape Sociale. Le categorie svantaggiate potranno richiedere un anticipo di pensione pari a 1.500 euro ma solo se avranno 63 anni di età e 30 o 36 di contributi con bonus di un anno per figlio – massimo due – per le lavoratrici. I lavoratori precoci – coloro che hanno iniziato a lavorare prima dei 18 anni – andranno in pensione dopo 41 anni di contributi. Sarà possibile inoltre riscattare periodi di massimo 5 anni di vuoto contributivo. Il periodo di laurea potrà essere riscosso a condizioni agevolate entro i 45 anni con una detraibilità del 50% in cinque quote annuali.
Arriviamo così al tanto dibattuto Reddito di Cittadinanza che entrerà in vigore ad aprile 2019 e che per le famiglie con uno o più componenti di età superiore ai 65 anni prenderà il nome di Pensione di cittadinanza. Il reddito spetta ai cittadini italiani, europei o che soggiornano in Italia da almeno 10 anni in modo continuativo. Per poter godere di questo diritto è necessario avere un Isee inferiore a 9.360 euro, un patrimonio immobiliare fino a 30 mila euro e un patrimonio finanziario non superiore a 6 mila euro. Per le famiglie con disabili invece, il patrimonio finanziario dovrà corrispondere a 20 mila euro. Non avranno il reddito né coloro che si trovano in prigione, per tutta la durata della pena, né coloro che si trovano in ospedale per un periodo di lunga degenza o in strutture totalmente a carico dello Stato e tanto meno i nuclei familiari con tre disoccupati a seguito di volontarie dimissioni a meno che queste non siano avvenute per giusta causa.
Il Rdc avrà una durata di 18 mesi e sarà possibile richiederlo alle Poste italiane, in via telematica o al Caf. L’importo che si potrà ottenere è di 500 euro con un bonus di 280 euro se si è in affitto o 150 se si vive in una casa di cui si paga il mutuo. L’Inps, entro cinque giorni lavorativi, verificherà i requisiti e poi saranno i Centri per l’Impiego a convocare i soggetti beneficiari per firmare il Patto per il lavoro. Si dovrà quindi procedere ad una registrazione sull’apposita piattaforma digitale e consultarla quotidianamente, frequentare i corsi di formazione e accettare almeno una delle tre proposte di lavoro, pena la sospensione del Reddito. La prima proposta sarà entro cento chilometri di distanza, la seconda entro i duecentocinquanta chilometri, la terza e ultima riguarderà tutta Italia. Ovviamente, le imprese che assumono coloro che ricevono il reddito di cittadinanza potranno ottenere un incentivo. Chi non lo spenderà entro il mese lo perderà e saranno avviate delle indagini e per chi dovesse mentire sui requisiti per accedere, c’è il rischio di una condanna che va dai 2 ai 6 anni e dovrà restituire quanto percepito. Non potrà inoltre più richiedere la misura per almeno 10 anni.
Le questioni tecniche, l’applicabilità del Decreto e il susseguirsi di ringraziamenti tra il premier Giuseppe Conte e il vice premier Luigi di Maio, non sono state in grado di far passare in secondo piano quanto fatto da Matteo Salvini. Se i primi due, su “suggerimento” del portavoce di Palazzo Chigi Rocco Casalino, hanno mostrato il dossier con entrambe le misure; il vice premier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha scelto di mostrare solo quello di “quota 100”, cavallo di battaglia della sua campagna elettorale. La scelta è apparsa, per alcuni, come un modo per rimarcare la propria indipendenza e, per altri, come un richiamo alle polemiche e alla minaccia di non dare l’ok alla misura pentastellata. Salvini è riuscito però a placare immediatamente gli animi, soprattutto di coloro che parlano di “imminente rottura”, dichiarando che: «dopo anni di chiacchiere si è tornati a correre».