I toni accesi della pagina miniata risaltano lo scudo della famiglia dei Medici, disegnato sui fogli del minuscolo Ufficio dei Morti di Papa Leone X. Questo prezioso libretto apparteneva alla raccolta di Carlo De Carlo, uno dei più celebri antiquari e collezionisti d’arte italiani. Si tratta di uno dei quaranta codici preziosi e pergamene rubate in passato, recuperate dai Carabinieri e messe a disposizione delle Gallerie degli Uffizi a Firenze per inaugurare oggi, 23 giugno, la mostra “Storie di pagine dipinte”.
L’esposizione – a cui hanno lavorato storici dell’arte, specializzandi e dottorandi sotto la guida della professoressa di Storia della Miniatura dell’Università di Firenze, Sonia Chiodo – si terrà fino al 4 ottobre 2020.
Oltre alle pergamene illustrate, la rassegna propone una serie di vignette interattive che illustrano i luoghi e i protagonisti che la mostra intende ricostruire. Da copisti a minatori, passando per ladri e uomini delle Forze dell’Ordine. «‘Storia di pagine dipinte’ è carico di significati importanti– commenta Roberto Riccardi, generale di Brigata e comandante del nucleo Carabinieri per la Tutela del Patrimonio culturale – è la traccia di un impegno per la difesa dell’arte».
Le opere recuperate appartengono alla produzione libraria dell’Italia centrale sviluppata dal Duecento al Cinquento. «Queste miniature, provenienti dalle chiese e dai monasteri di Toscana e Umbria, staranno per tre mesi a Firenze e poi torneranno nei loro luoghi di appartenenza storica – spiega a MasterX il direttore Eike Schmidt –. Furono rubate dalla criminalità, alcune arrivano anche dall’estero». Secondo Schmidt, l’esposizione affronta anche una tematica più ampia: quella dei quadri ancora in deposito nei musei pubblici. «Sono opere che nessuno può vedere. Non fanno parte del patrimonio dello Stato, furono soltanto messe là in certi momenti per motivi di sicurezza. È importante cercare di riportarle nella loro comunità di origine, con la quale hanno un nesso storico».
Così Schmidt riaccende il dibattito sulla proposta da lui stesso ideata nel giorno dell’apertura di Palazzo Pitti, il 28 maggio scorso: «I musei restituiscano i loro dipinti alle chiese a cui appartengono». Per esempio, la Pala Rucellai di Duccio di Boninsegna, portata via dalla Basilica di Santa Maria Novella nel 1948, «è il caso più importante di un capolavoro sottratto al suo contesto originale e che si trova proprio agli Uffizi». Secondo il direttore delle Gallerie, il museo non è infatti un semplice aggregatore di opere d’arte: «Nasce da un volere collezionistico ma è sbagliato pensare che sia solo un luogo in cui raccogliere dipinti – continua Schmidt– così si rischia di sottrarre ricchezze al territorio. In Italia abbiamo un ricco patrimonio, adesso è il momento giusto per rivitalizzarlo anche attraverso le opere d’arte».
Dopo la pandemia da Covid-19, il 3 giugno scorso le Gallerie degli Uffizi hanno riaperto al pubblico. Modalità “coronavirus”: mascherine obbligatorie, distanziamento sociale e disinfettante nelle sale. Solo nel primo weekend sono state quasi 8500 gli italiani che hanno deciso di visitare Palazzo Pitti, il Giardino di Boboli e il Museo.