L’esperta di linguaggi tv Daniela Cardini: «pandemia, le serie aiutano a non pensarci»

Consola, ma ci permette di riflette. Distrae, ma allo stesso tempo ci aiuta a fare i conti con quello che accade. Dentro e fuori di noi. Le serie tv non avevano davvero bisogno di una rivincita. In termini di pubblico e di qualità è da anni pacifico che, almeno una parte di essa stia raggiungendo standard sempre più simili alle narrazioni del cinema. Eppure, i mesi di pandemia di Coronavirus stanno confermando e approfondendo l’importanza culturale di ciò che passa dal piccolo schermo. E non solo da quello delle grandi piattaforme di streaming, come Amazon o Netflix.

«Alcuni elementi di consumo culturale hanno più aiutato e aiutano a vivere questa situazione emergenziale» afferma Daniela Cardini, Professoressa in Linguaggi della TV dell’Università IULM di Milano. «L’esperienza è simile alla lettura di un romanzo. Si entra nella narrazione cercando di non pensare a quello che c’è fuori. Si è però costretti a misurarsi con ciò che si ha dentro, con il proprio universo interiore e relazionale».

Altrove, ma restando a casa

Costretti a casa, con la cultura nobile di cinema, festival e teatri congelata, e un contatto con la realtà nettamente ridotto rispetto alle nostre abitudini, è inevitabile che la televisione si sia imposta tra gli strumenti per conoscere e informarsi. Dati, notizie, numeri dei contagi, ma anche semplicemente ciò che stava accadendo fuori dalle nostre mura. In questo senso, la sua funzione è diventata molto simile a quella originaria delle immagini in movimento. Quella che i fratelli Lumière avevano pensato per il cinematografo: fuggire in luoghi esotici, rimanendo immobili nella sala. O, per noi, in casa.

Willie Peyote, rapper e cantautore, ne La Locura, la canzone presentato al Festival di Sanremo 2021, cita Boris per criticare le distrazioni della televisione

Non è stato però quello l’unico ruolo che abbiamo affidato alla televisione. Dai canali in chiaro, alla visione su abbonamento, la narrazione seriale è sempre stata consolatoria. Comune sia ai telefilm più svagati, che alle serie impegnate, questa caratteristica arriva da dalla tradizione settecentesca del feuilleton francese. Imprese – probabili o meno – di avventurieri, moschettieri o tragici amanti -, dilazionate di puntata in puntata sui quotidiani, che avevano la funzione di trascinare in un altrove, distante, ma non troppo, i lettori. Durante la pandemia non si è però trattato di «musichette, mentre fuori c’è la morte» per citare una delle satire spietate, ma anche più cult sulla televisione, Boris.

Riflettere sull’interiorità

È vero. Anche – e soprattutto – nell’ultimo periodo, serie, telefilm e più in generale la narrazione televisiva hanno interpretato il desiderio di fuga. Una ricerca di leggerezza, che spesso «non coincide con la leggerezza dei contenuti», vista l’esistenza di prodotti molto complessi. «Al contrario di un film di sala – secondo la Professoressa Cardini – la le serie protraggono l’esperienza dell’altrove per più tempo».

I loro molteplici linguaggi, anche se molto differenti tra loro e non comparabili – dalla lunga o lunghissima serialità delle soap operas, alla Grande serialità, sul modello Netflix – contemporaneamente però rimangono ancorati a dinamiche e sentimenti del quotidiano, che abbiamo sperimentato o desiderato durante i confinamenti dovuti alla pandemia di Covid.

Serie tv
Le tre generazioni protagoniste di This is Us

Per esempio, una saga familiare come This is Us, in onda dal 2016 su NBC, interseca su tre piani temporali le vicende di altrettante generazioni. Ripropone così un immaginario con il quale è semplice, se non identificarsi, quantomeno empatizzare. Anche il fenomeno televisivo Game of Thrones – Il trono di spade si sviluppa su tematiche ancestrali «come il potere, ma soprattutto l’amore. E Le nobilita poi attraverso una narrazione fantasy». Ma il suo successo è basato sull’attrattiva di un meccanismo di conoscenza sociale, umanissimo – solitamente attribuito a prodotti considerati bassi – che ci è stato sottratto, a casa dell’interruzione degli incontri durante i momenti di lockdown: il pettegolezzo.

Anche la tv generalista non ha avuto un ruolo secondario nell’accompagnare le narrazioni di questi mesi. La Rai, è stata capace di intuire queste tendenze e di «presidiare, con numerose serie scripted, il campo della fiction di qualità. Basti pensare a prodotti come Doc. Nelle tue mani, a Mina Settembre» o Le indagini di Lolita Lobosco. Ha intercettato così anche pubblici solitamente distanti per abitudini.

Tra rewatch e appuntamenti fissi

La serialità televisiva, nell’incertezza della situazione pandemica, ha quindi fornito uno strumento per fuggire, ma anche per riorientarsi nella realtà.

Durante il lockdown, molti spettatori hanno sperimentato, per esempio, l’esperienza dei rewatch. «Riguardare le serie amate, proprio come rileggere un romanzo, è un meccanismo rassicurante – spiega la Professoressa Cardini – ma anche di autoformazione. Spinge a fare un modo con i se stessi di un tempo». Basti pensare a Friends, o Sex and the city. Tra le serie sull’amicizia per antonomasia – tra le più ri-viste in questi mesi – rimandano a un mondo passato, in realtà vicino, eppure idealizzato e rasserenante.

Serie tv
Le quattro inseparabili protagoniste della Serie Cult, Sex and teh City

La serialità ha poi fatto da bussola anche nella riflessione sul nostro rapporto con il tempo e sulla rinegoziazione dei ritmi della nostra vita. In un periodo in cui siamo stati costretti a ridiscuterlo necessariamente, Quando gli appuntamenti della vita sociale e lavorativa si sono ridotti. Secondo la Professoressa, scandire la vita di tutti i giorni, aggrappandosi ad «appuntamenti fissi, è di per sè consolatorio». Questo bisogno, probabilmente è stato accentuato durante i mesi in isolamento forzato.

Per tale ragione, è diventato evidente il contrasto, già esistente da diversi anni, tra due diverse modalità di fruizione della serialità: il Binge watching e la dilatazione della visione. In una sorta di ritorno ai ritmi della televisione classica, anche le grandi piattaforme di streaming, prime fra tutte Amazon Prime Video o Disney+, stanno sperimentando una pubblicazione per appuntamenti settimanali. «Il piacere dell’attesa si sta riaffermando sul consumo vorace – racconta la Professoressa – è un modo per assimilare la densità delle serie, la loro complessità estetica». Ma anche quelli del racconto, che spesso si sovrappongono e ci aiutano a interpretare. una realtà spesso difficile.

 

 

 

Giorgia Colucci

Classe 1998, vivo tra Varese e Milano, ma mi appassiona il mondo. Curiosa su tutto, scrivo di ambiente, di diritti e di casa mia su Il Fatto Quotidiano.it. Oltre a collaborare con Master X, parlo di rock ai microfoni di Radio IULM e di Europa a quelli di Europhonica. Per non farmi mancare niente, anche di cinema su Recencinema.it. Nel 2018 ho pubblicato "Vorrei mettere il mondo in carta", una raccolta di poesie per I Quaderni del bardo Edizioni

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