Negli ultimi anni il panorama dei documentari si è ampliato accorpando nuove sfumature per accontentare le numerose e diversificate richieste, al punto da entrare nella nostra quotidianità e nella grammatica commerciale, come evidenzia Mario Paloschi, produttore televisivo e CEO di Ballandi Arts. Ad oggi basta infatti aprire una qualsiasi piattaforma streaming per passare le giornate intere a scegliere che cosa guardare. Mentre canali come Sky Arte sperimentano costantemente nuove tipologie di linguaggio per portare innovazione e varietà tra le sfumature di grigio che vivono nel documentario.
Facciamo un passo indietro
Qualche anno fa l’idea di vedere un documentario era spesso associata a qualcosa di lungo e noioso, da guardare in televisione per sentirsi per qualche ora più istruiti. Oggi non è più così. Ragazzi si divertono a scoprire segreti e curiosità grazie alle ultime docu-serie disponibili su Amazon Prime, Netflix, Sky Arte e molti altri, oppure con un documentario più “classico” ma anche più avvincente.
E’ un settore in continuo cambiamento, basti solo pensare che lo stesso Piero Angela dopo numerosi anni di carriera è sbarcato su Rai Play con il nuovo programma “Superquark Più – Brevi racconti di scienza” in cui in circa 15 minuti ripercorre alcuni interessanti argomenti come “La biografia dei capelli”, “Perché vivere fino a 120 anni?” o “L’Universo sconosciuto”. In stile “In poche parole” il format di Netflix che cerca di spiegare in 20 minuti alcune nozioni tra gli argomenti più curiosi, dalla mente allo spazio al più recente Coronavirus.
“Il mercato dei documentari sta esplodendo per diverse ragioni. – Ha raccontato Gaia Pasetto, Original Production and Operation Manager di Sky Arte, a MasterX. – Dal punto di vista del linguaggio e della narrazione da molte possibilità, e lo vediamo soprattutto negli sperimenti che facciamo con le nostre produzioni originali. Ora si può lavorare in modo molto classico con una narrazione ordinaria, ma non solo. Abbiamo fatto anche tentativi con inserti di animazione. Insomma, è un’area che permette molto spazio all’esplorazione del linguaggio narrativo. Dall’altra parte poi, il documentario permette la creazione di numerosi contenuti di grande qualità con investimenti più contenuti”. Un dettaglio sottolineato anche dalla casa di produzione Ballandi che ha evidenziato come il documentario seriale abbia ancora di più inciso nel settore permettendo anche di ridurre le tempistiche e creare format fortemente divulgativi. “È diventato una sorta di prodotto alternativo, quasi naturale, oltre che più semplice e intuitivo”. – Ha aggiunto Mario Paloschi – Una volta si dovevano usare le pellicole e il risultato finale lo si scopriva solo quando si andava a sviluppare, oggi invece si può creare un ottimo prodotto anche solo con un telefonino”.
L’esempio della casa di produzione Ballandi
Nel 2012 all’interno della Ballandi, azienda leader nella produzione di eventi televisivi come “Ballando con le stelle”, “Music Awards” e i “One Man Show”, nasce la sezione Ballandi Arts, divenuta società nel 2016. A spingere la creazione di questo settore un panorama televisivo vuoto e l’obiettivo di “creare prodotti che rispecchiassero le nuove aspettative del nuovo pubblico dei canali tematici, oltre alla mancanza di concorrenza che ci ha permesso di raggiungere una posizione abbastanza dominante nel panorama televisivo seriale e culturale”.
Oggi poi il documentario è entrato a far parte della quotidianità: “Se sei interessato a un determinato argomento hai mille programmi per approfondirlo. – Continua Paloschi – Ci sono filoni di argomenti che hanno successo, come quelli che parlano di alieni, universo, mondo animale, arte, musica… e dentro cui si ragiona sulla costante creazione di nuovi prodotti non troppo distanti l’uno dall’altro, per soddisfare la tendenza abitudinaria del pubblico”. Accanto ai grandi documentari cinematografici, sempre più eletti dall’on-demand, si affiancano anche i prodotti destinati al canale lineare che deve fare i conti con il target e le proprie caratteristiche: “Una docu-serie solitamente ha una committenza precisa. Il produttore chiede di realizzare un progetto su un preciso argomento e lo stile è dettato dal canale sul quale dovrà essere mandato in onda. Quello che più si può fare è cercare di innovarsi rispetto a quel preciso regime”.
La ricerca continua di Sky Arte
Innovazione e sperimentazione. Sono queste le parole chiave che hanno permesso alla produzione di Sky Arte di continuare ad espandersi. Accanto a prodotti di grande rilevanza e successo come “Io, Leonardo” con Luca Argentero, hanno realizzato anche brevi pillole di 10 minuti che funzionano se legate all’attualità. “I linguaggi e i tagli diversi sono però sempre legati allo strumento utilizzato. Al cinema funziona la narrazione più classica mentre sul web quello più veloce proprio perché anche il target e la sua condizione socio-culturale è diversa. Oltre ad essere un canale siamo infatti anche un produttore, cosa che ci permette di sperimentare anche il linguaggio. Proviamo e vediamo la reazione del nostro pubblico e lo capiamo anche dalle abitudini di utilizzo dei nostri abbonati. Magari i documentari non sono il primo motivo che li spinge ad abbonarsi, però li tiene legati alla piattaforma”.
Sky Arte è un canale verticale che, come tale, cerca di coprire tutte le varie sfaccettature dell’arte e della cultura, con biografie importanti, progetti in campo musicale ed e programmazione di film che non trovavano spazio in televisione.
Dalla nascita di Sky Arte nel 2012 ad oggi, si sono affiancati tipi di spettatori diversi con interessi vari e bisognosi di nuovi modi di raccontare. “Negli ultimi anni per esempio, abbiamo visto che è esploso il fenomeno della grande arte al cinema – commenta Gaia – per cui abbiamo prodotto una serie di documentari con ottimi risultati anche in Tv”.
La linea sottile tra documentario e fiction
La linea tra documentario e fiction è sottile e la produzione di “Leonardo” di Sky Arts ne è un esempio. “Anche i documentari che partono con un impianto un po’ più classico hanno sempre degli inserti di fiction che servono a dare il sapore e il sentimento della situazione o della storia che stiamo raccontando”. Sottolinea Gaia Pasetto.
Basti guardare anche il successo che in questo periodo stanno avendo storie come quelle di cantanti, attori, calciatori o famosi in generale. Per citarne alcuni: “Chiara Ferragni – Unposted”, “Mi chiamo Francesco Totti”, “Ferro”, “Famoso” di Sfera Ebbasta, “Shawn Mendes” e “Rising Phoenix” sulla storia di Bebe Vio, per non parlare delle ultime produzioni su Diego Armando Maradona.
Storie raccontate da un punto di vista forse non del tutto inedito, ma sicuramente di grande impatto emotivo e visivo. Bisogna però prestare attenzione anche a quei documentari che magari si dichiarano tali senza però esserlo. “C’è differenza tra realizzare un biopic su un personaggio che ha avuto un ruolo rilevante per la società o su un’eventuale esclusiva che possa portare qualcosa di nuovo. Un altro è raccontare la vita di una persona che è anche protagonista di se stessa e che non aggiunge di fatto una vera novità. In questo caso si può parlare di puro prodotto commerciale. – Conclude Mario Paloschi: – Un documentario biopic di solito deve essere un punto finale di una visione, e nel caso in cui questo porta a un susseguirsi di lavori simili, lo trasforma in un mero servizio televisivo, che può funzionare, ma che lo allontana dal mondo dei documentari”.
Visto il vasto panorama che si sta evolvendo su questo fronte è anche difficile ad oggi pensare a come si evolverà nel futuro: “L’obiettivo è di tenere un mix diversificato. – Riportano da Sky – Crediamo che non si andrà verso una scelta precisa ma che il mondo dei documentari continuerà a funzionare con un insieme di possibilità”.