Il 23 gennaio 1989 moriva Salvador Dalì (all’anagrafe Salvador Domingo Felipe Jacinto Dalìy Domenech, Marchese di Pùbol), il padre del Surrealismo paranoico-critico. Personalità molto influente del suo tempo, fu talmente ricca di sfaccettature da essere ritenuta una delle più poliedriche del mondo dell’arte.
La miccia per una passione artistica
Nato l’11 maggio 1904 a Figueres (Spagna) – un paesino a tre ore da Barcellona, dove poi morì – Dalì ebbe l’animo ed il carattere plasmati da avvenimenti che dipinsero la sua vita di toni non solo allegri. Il padre notaio, Salvador Rafael Aniceto Dalì y Cusi, e la madre, Felipa Domènech y Ferrés, gli fecero credere di essere la reincarnazione del fratello maggiore (del quale prese anche il nome). Costui morì per colpa di una meningite a due anni, nove mesi prima della nascita del futuro artista surrealista. La passione della madre per l’arte e la sua grande carica di vivacità fecero nascere e sviluppare in Dalì l’interesse per quel mondo artistico che diventerà, poi, il suo regno. In questo universo, Dalì spiccherà per estrema originalità e tendenza provocatoria, sprigionate da un inconscio spugna verso ogni possibile stimolo.
Eredità senza confini
All’inizio dell’adolescenza, riscuote ampi apprezzamenti dal mondo della critica, esponendo alcuni suoi dipinti nel teatro municipale del proprio paese. Da qui, i passi verso la costruzione della sua personalità artistica iniziano a condurlo verso l’Accademia di Belle Arti di San Fernando a Madrid, alla quale si iscrive nel 1921. Da questa, però, verrà presto espulso. Qui, conoscerà il regista Luis Buñuel ed il poeta Federico Garçia Lorca, con cui collaborerà. Con loro realizzerà alcuni lavori di scenografia teatrale e cinematografica, come i due film Un chien Andalou e L’âge d’or.
Nei mesi successivi, il suo arrivo a Parigi lo porterà a conoscere il maestro del Cubismo, Pablo Picasso, che influenzerà la sua prima pittura. Anche il Futurismo e le opere di Giorgio De Chirico condizioneranno la sua prima fase artistica. Così, il Marchese Dalì inizia ad essere sempre più attirato dalle opere dei maestri dell’inconscio su tela. Max Ernst, Joan Mirò e Yves Tanguy, i nomi che lo ispirano. Nel 1929 (anno in cui sposa la moglie Gala, sua musa) arriva a fare il suo ingresso nel mondo del Surrealismo. Così, giunge alla creazione degli oggetti surrealisti a funzione simbolica nel 1931, lavorando con André Breton – poeta, saggista e critico d’arte.
Il percorso verso la definizione del proprio personalizzato Surrealismo prende il via, andando a creare uno stile ricco di richiami alla teoria psicoanalitica di Freud ed unito ad una tecnica molto dettagliata. Fondamentale il tuffo all’interno di un mare di delirio deformante, dai tratti macabri e mescolato ad un realismo dallo stampo accademico.
Dalì…a là
L’importanza del suo personaggio permette a Dalì di partecipare all’Esposizione Internazionale dei Surrealisti a Parigi e ad Amsterdam e di avvicinarsi anche al mondo della moda. Nei suoi anni di vita a New York, dal 1940 al 1948 – dopo i quali l’artista fa ritorno in Europa – Dalì espone le proprie opere al MoMA, Museum of Modern Art. Negli Stati Uniti collabora alla realizzazione dei disegni di scena del film di Alfred Hitchcock, Io ti salverò, attività che porta avanti anche in Italia, insieme a Luchino Visconti.
Negli anni successivi, molte sono le città che ospitano le sue opere: Roma, Venezia, Washington, Londra. Importante l’antologica del 1983, vernice di una mostra a Barcellona e Madrid. In seguito, il Guggenheim di New York decide di esporre le sue opere e viene inoltre nominato membro dell’Accadémie des Beaux-Artes di Parigi. Ricordiamo anche la sua retrospettiva al Centre Pompidou di Parigi.
Nel 1983, a maggio, dipinge il suo ultimo quadro, La coda di rondine e, sei anni dopo, nel 1989, muore nella torre Galatea a causa di un colpo apoplettico. Il mondo ha perso, sì, la sua presenza fisica e reale, ma non quella surreale.