Silvio Berlusconi è un personaggio che ha segnato in maniera indelebile mezzo secolo di storia italiana. Oltre alla politica, il suo impatto più grande è stato quello nella televisione. Dagli esordi nella Milano del 1976 all’ascesa degli anni ‘80, fino al trionfo dei ‘90, l’imprenditore ha rivoluzionato profondamente la tv italiana. Il risultato è il panorama mediatico che oggi conosciamo.
La rottura del monopolio Rai
Dall’esordio della televisione italiana nel 1954 all’inizio degli anni ’70, il monopolio del piccolo schermo appartiene alla Rai. La situazione cambia nel 1971, quando l’etere comincia a essere invaso dalle emittenti private che mettono in discussione il ruolo esclusivo del servizio pubblico. Molti nuovi attori del panorama televisivo hanno carattere locale. Tra questi, emerge Telemilano, comparsa nel 1974 come rete via cavo di Milano Due, quartiere del Comune di Segrate costruito dalla Edilnord di Silvio Berlusconi. Rilevata dallo stesso imprenditore edile nel 1976 tramite la controllata Fininvest, due anni più tardi il suo raggio d’azione arriva a coprire l’intera città di Milano. La mossa successiva è la trasformazione in network nazionale e commerciale, facendo di Telemilano il competitor diretto dell’emittente pubblica.
Arriva Mike Bongiorno
L’ambizioso progetto muove i primi passi nel 1977, quando Berlusconi decide di coinvolgere la punta di diamante della Rai. Mike Bongiorno, in quel periodo, tiene incollati allo schermo 24 milioni di telespettatori. Un numero impressionante se si considera che nel 1977, in Italia, vivono quasi 56 milioni di persone. «Disse che voleva incontrarmi, ma io non avevo la più pallida idea di chi fosse. All’inizio pensai addirittura che volesse vendermi un appartamento», ha raccontato Bongiorno a proposito del primo incontro con l’imprenditore. «Dopo un quarto d’ora mi resi conto che quell’uomo era di una brillantezza incredibile. Mi spiegò che aveva in mente di creare la televisione indipendente e di voler lanciare nuovi programmi che la Rai non voleva o non poteva fare perché legata ai partiti politici e al Vaticano». Così, la star della televisione italiana sbarca su Telemilano 58 con il quiz I sogni nel cassetto.
L’assalto al territorio nazionale
Il progetto mediatico di Berlusconi prosegue negli anni ’80. Innanzitutto, il cambio di nome della rete, che nel 1980 diventa Canale 5. Nel nuovo decennio, l’aspirazione nazionale è ostacolata dalla legge, che impedisce di creare un network territorialmente più esteso collegando tra loro emittenti locali differenti. La soluzione adottata è il cosiddetto «Pizzone»: cassette su cui sono registrati i programmi, incluse le pause pubblicitarie, nell’ordine corretto di messa in onda. Trasmesse nello stesso giorno e alla stessa ora da circuiti diversi, creano una programmazione uguale sull’intero territorio nazionale.
La televisione privata e commerciale di Berlusconi continua a crescere con l’acquisizione di Italia 1 nel 1983 e di Rete 4 l’anno dopo. Dopo aver preso possesso delle due grandi emittenti Rusconi e Mondadori, l’imprenditore arriva a insidiare il mercato pubblicitario della Rai, superandolo a livello di entrate già nel 1983. Nello stesso anno acquista TV, Sorrisi e Canzoni, che diventa in breve tempo la principale vetrina di Fininvest.
Il ruolo della pubblicità
In un’epoca di far west dell’etere, le reti di Berlusconi vivono grazie a due fattori principali: la pubblicità e una precisa scelta dei contenuti.
Grazie alla concessionaria dedicata, Publitalia ‘80, il Cavaliere è in grado di dare sfogo a un mercato dalla domanda spietata ma dall’offerta limitata. La Rai, unico network davvero nazionale, ha vincoli strettissimi sul numero di spot giornalieri da trasmettere. Fininvest, al contrario, non può ancora trasmettere in diretta. Potendo quindi organizzare le trasmissioni registrate in maniera più libera, le televisioni di Berlusconi e le loro sussidiarie offrono a migliaia di aziende la visibilità che l’emittenza di Stato non può garantire.
Scelta di contenuti nuovi
Forte degli elevati ricavi pubblicitari, l’imprenditore milanese può scegliere cosa mandare in onda. Bisogna accaparrarsi un mercato che la Rai non può coprire, a causa dei vincoli informativi, dei programmi in diretta – che hanno la precedenza – e del budget limitato per l’acquisto dei diritti esteri. Fininvest opta quindi per la serialità televisiva americana, in piena espansione in quegli anni, e sui film. Inoltre, non manca la ricerca di contenuti frivoli e ammiccanti, vietatissimi in una Rai ancora controllata dalla Democrazia Cristiana.
Il trionfo si chiama duopolio
Con gli ascolti di Fininvest alle stelle, in Italia si sviluppa un vero e proprio duopolio televisivo. Ma iniziano anche i problemi. Ufficialmente, infatti, l’emittenza privata è permessa solo a livello locale. I tre canali Fininvest, al contrario, all’inizio degli anni ‘80 coprono ormai l’intera penisola grazie al già citato sistema del «Pizzone». Nell’ottobre 1984, i pretori di Torino, Pescara e Roma impongono lo stop a questa pratica nei rispettivi territori. A sbloccare la situazione è l’intervento dell’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi, amico personale di Berlusconi. Tra mille polemiche, le reti dell’imprenditore tornano a trasmettere come prima, in attesa di un complessivo riordino delle regole arrivato solo nel 1990, con la Legge Mammì. Legalizzato il duopolio di Rai e Fininvest, la norma stabilisce l’assegnazione delle frequenze e obbliga le emittenti nazionali a realizzare il telegiornale. Da questo momento, anche le reti del Cavaliere hanno la loro quota informativa: nascono Tg4, Studio Aperto e Tg5. Nel 1996, Fininvest diventa Mediaset.
Berlusconi ha creato un impero televisivo e mediatico che, nel 2022, ha generato ricavi per 2,8 miliardi di euro, dando lavoro a quasi 5mila persone.